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 2012  luglio 11 Mercoledì calendario

OSTAGGI DI FIDUCIA

Un’aula silente e responsabile. Disciplinata e rassegnata. Regime tecnico vuol dire fiducia, soprattutto. Ieri, la numero 29 in quasi otto mesi, tra Camera (18) e Senato (11). Il decreto legge sul terremoto in Emilia, passato con una maggioranza più larga del solito, 466 sì, perché come spiega Guido Crosetto del Pdl, reduce da sedici fiducie non votate a Montecitorio, “il terremoto è il terremoto e oggi voto anche io”. Per il resto frustrazione assoluta. O impotenza. L’ultimo governo Berlusconi, dal 2008 all’autunno del 2011, ha assommato 53 fiducie. Monti è già oltre la metà, con una media da Guinnes dei primati: una fiducia a settimana. E da qui alle sospirate vacanze estive la vita da deputato della strana maggioranza ABC, succuba della dittatura dei tecnici, è ancora dura.
Forche d’agosto
Forse si finisce il 10 agosto, forse si arriva addirittura al 17. Si materializza la battuta che Fabrizio Cicchitto, capogruppo del Pdl, fece a Piero Giarda, il mastino burocrate che presidia il Parlamento per conto della dittatura dei tecnici: “Se ci volete tenere qui per tutto agosto, scordatevelo”. In ballo ci sono ancora tredici decreti legge da approvare prima della pausa. Fiducia è uguale a velocità. Dopo il decreto sul terremoto, c’è quello sull’editoria. Poi la sicurezza sui luoghi di lavori, i vigili del fuoco. Infine altri tre dl a superischio fiducia: le dismissioni del patrimonio pubblico, la spending review, lo sviluppo e la crescita. Dittatura dei tecnici o anche “oligarchia oppressiva”, come ha detto ieri Fabio Rainieri della Lega, che ha anche descritto il modus operandi del nuovo regime: “Se avessimo avuto la possibilità di esaminare gli emendamenti sarebbe emersa l’anima anti-sociale del governo, invece veniamo tacitati con le continue fiducie”. La questione degli emendamenti è una fatica di Sisifo per i deputati. Il già citato Crosetto racconta l’inizio della sua settimana da parlamentare: “Sono arrivato qui lunedì alle otto e ho lavorato fino alle otto di sera per gli emendamenti al decreto sviluppo. Tutto inutile. So già che quegli emendamenti verranno buttati nel cesso in nome della fretta. Sta cambiando la democrazia senza passare per una riforma costituzionale. Chiunque parli, lo abbiamo visto con Squinzi, viene zittito con la scusa dello spread. Come se bastassero le parole ad alzare lo spread”.
“Allarmi, siam fascisti”
Lo spread è il Santo Graal dei tecnici. Basta citarlo, appunto, e deve calare il silenzio. Una democrazia che cambia può essere anche una post-democrazia. Ieri, a nome del Pri, Giuseppe Ossorio ha annunciato il voto a favore nella fiducia ma sulla Voce Repubblicana ha scritto: “Il governo Monti si potrebbe definire , con una qualche ironia, il primo governo aristocratico della Repubblica italiana. Oppure, senza ironia, il primo governo dell’era post-democratica. Definizioni, entrambe, ben più impegnative delle altre che pure sono state coniate per il governo del senatore a vita: governo dei tecnici, del Presidente”. Chiosa invece l’ex Responsabile Mario Pepe, nipote del fu ministro crociano e liberale Salvatore Valitutti: “Tecnicamente è un Parlamento fascista, anche perché siamo tutti nominati. Manca solo che facciamo il saluto romano a Monti. Le fiducie sono diventate il cancro del Parlamento”. Il paradosso è che Pepe ha però votato la fiducia. Rassegnazione più che incoerenza. Non c’è alternativa al modulo dei tecnici per i peone di ieri e di oggi. E anche di domani, almeno nei disegni di chi lavora per Grande Coalizione perpetua. A Montecitorio, la pattuglia più nutrita dei malpancisti stufi di votare e basta è nel Pdl. Fino al famigerato vertice di Bruxelles hanno sperato nel voto anticipato. Adesso c’è solo la prospettiva di ciondolare in Transatlantico fino alla prossima primavera. Altri, in sonno, sono nel Pd e persino nell’Udc, il partito che sta con Monti senza se e senza ma, ma al momento della verità sono in aula a votare.
Convocazioni via sms
Ormai la fiducia al tempo di Monti ha una sua liturgia ben precisa, meno tesa e solenne di quando andava in scena nell’era del Cavaliere. Manca il pathos perché il voto è sempre scontato. Ieri il dibattito è cominciato alle cinque del pomeriggio. Aula semivuota e dichiarazioni di voto. Dopo le sei, gli arrivi massicci dei deputati, convocati con messaggini dai capigruppo. Poi la prima chiama, la seconda, il risultato del voto. Soddisfatto e sorridente, il ministro Giarda, burocrate nel corpo e nello spirito, è andato via a grandi falcate per un corridoio. Molti, tra i deputati, iniziano anche a parlare di “arroganza” dei tecnici. Un episodio in merito riguarda il superministro Corrado Passera, ex banchiere oggi indagato. La scorsa settimana ha fatto un’audizione in commissione Ambiente e lavori pubblici sulle infrastrutture . Ha letto a una velocità supersonica una relazione di 40 pagine. Francesco Nucara, repubblicano e berlusconiano, lo ha interrotto: “Ministro ci sono spunti per trenta interrogazioni, ma lei non risponde mai”. Passera, stizzito e incazzato, ha alzato il dito: “Questo non glielo consento”. Così pure Nucara si è arrabbiato: “Ministro qui non siamo in banca, lei non può licenziare nessuno. Siamo noi che possiamo licenziare lei, qui siamo in Parlamento”. Almeno questo Parlamento, però, i tecnici non li licenzierà.