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 2012  luglio 12 Giovedì calendario

ANGELINO LIBERATO DA UN PESO

Dicono, gli amici suoi, che ad Angelino Alfano non gli pareva vero. Ieri sera, a casa, avrà stappato una o due bottiglie di quello buono. Fine. Fine di tutto. Fine della tortura. Fine di una lenta e inesorabile morte politica. Fine delle maledette spettegolate in Transatlantico, di quel flebile e incessante piagnisteo sul partito acefalo e tosto come un budino. Di quelle esasperanti filastrocche, benevole e un po’ malandrine («Angelino / che meraviglia / piace al papà, alla mamma e alla figlia»), che lo aveva accolto il primo giugno del 2011 - solamente tredici mesi fa -, quando Silvio Berlusconi aveva calato Excalibur sulla sua spalla nominandolo segretario del Pdl; ed erano lentamente evolute, le filastrocche, in parodistiche canzonette checcozaloniane, sulla musica dei Ricchi e Poveri: «Che confusione / sarà perché c’è Alfano / Che delusione / è proprio questo Alfano / Disperazione / abbiamo solo Alfano...». E infine basta - e non è questione da mettere in fondo alla lista - con tutte le marachelle di Silvio Berlusconi, che da simpatico figlio di buona donna dice e smentisce, e attribuisce la colpa a quelle anime birbantelle dei retroscenisti; ma a Bruxelles (si parla dello scorso marzo) era già da qualche giorno che andava dicendo ad amici e semplici interlocutori che quell’Angelino era bravo, fedele, gran lavoratore, ma un po’ senza sugo, senza spessore, senza un guizzo di quelli che a lui gli accendono le pupille; sinché non riuscì a eludere la ferrea marcatura dello stopperone Paolo Bonaiuti, e incontrato il primo giornalista realizzò il gol da gelido bomber: «Angelino non ha il quid». Non c’è niente da fare: Alfano avrà tutti i difetti di questo mondo, ma il problema è che Berlusconi non troverà mai un successore che gli piaccia tanto quanto sé stesso. Sono stati, per il povero Alfano, tredici mesi d’inferno, col partito sempre più perplesso e sarcastico, e intanto il pontefice di Arcore che se le inventava dalla mattina alla sera pur di rompere le scatole al giovane erede. Per esempio, tutta questa tirata sulle liste civiche, che a Berlusconi piacciono tanto: la lista civica degli animali domestici della Michela Vittoria Brambilla, la lista degli scapigliati di Vittorio Sgarbi, la lista delle Erinni di Daniela Santanché; e Alfano a dire e ripetere che le liste non servivano a niente, anzi erano un danno, una dispersione del voto, e Berlusconi che non ci sentiva, voleva liste, solo liste, sempre più liste. E poi l’altro giorno a palazzo Grazioli ha detto che la lista che va meglio arriva allo zero virgola sette, e non se ne parli più. Ecco, non per niente già qualche settimana fa, allargando le braccia, Berlusconi diceva: «Finirà che grideranno “aridatece er Puzzone”».

Già questo sarebbe sufficiente per indebolire la volontà più ferrea; ma c’è da aggiungere che se il passato lo stava fiaccando, quello che terrorizzava Alfano era il futuro. Dopo la tragedia infinita delle amministrative, innanzitutto di quelle palermitane, gli sarebbe toccato di intestarsi la probabile demolizione del partito al voto per il presidente della Sicilia; e nulla c’è da aggiungere su che sarebbe accaduto al Pdl nelle politiche del prossimo anno. Ora torna Berlusconi, così magari limiterà i danni, così non sarà veramente colpa di nessuno, così Angelino avrà qualche annetto per affinare l’arte del comando e farsi un po’ più farabutto, ché senza un adeguato pelo sullo stomaco, in politica, non si va da nessuna parte. «Tanti chiedono al presidente di ricandidarsi. Io sono in testa a questi», ha scritto ieri su Twitter il segretario. Aveva l’aria di una mesta e dovuta esultanza. Tanto è vero che i non molti fedelissimi (e qualche pentito dell’ultima ora) ieri dicevano che era il momento di stringersi attorno ad Alfano, di non lasciarlo solo. «Dobbiamo aiutarlo a riprendere il volo - dicevano - e soprattutto aiutarlo e a volare con le sue ali». Ma lui si chiama Angelino, mica Angioletto. Ricordarselo