Paolo Lepri, Corriere della Sera 11/07/2012, 11 luglio 2012
L’EUROPA APPESA A QUEI GIUDICI VESTITI DI ROSSO — È
un osso duro, Andreas Vosskuhle. Nella foto di famiglia del «Secondo Senato» della Corte Costituzionale federale, cioè gli otto giudici vestiti di rosso che stanno tenendo in scacco l’Europa malata, appare meno imponente di quanto lo sia in realtà. Forse lo hanno sistemato più in basso, in una piccola buca, come del resto si attaglia al suo compito di grande suggeritore del potere, per non far sfigurare i colleghi (tra cui tre donne) che lo affiancano nella missione di tutelare la Costituzione tedesca. Dall’alto dei suoi quasi due metri, la visione di questo occhialuto studioso quarantottenne non è affatto nebulosa, come si capisce leggendo un’intervista alla Frankfurter Allgemeine Zeitung: «Non c’è più molto spazio per una cessione di ulteriori competenze all’Unione europea. Se si volessero varcare questi limiti, la Germania dovrebbe darsi una nuova Costituzione. Ma allora si renderebbe necessaria una consultazione referendaria. Non si possono fare queste cose senza il popolo». Attenzione, però. È lui stesso, presidente di un organo insignito della massima autorità e totalmente indipendente, a riconoscere che attraversare quel confine invisibile, ma ben tracciato nella sua mente, tra la fedeltà alla «Legge fondamentale» e lo sviluppo dell’integrazione europea, «può anche essere politicamente legittimo e desiderabile». Bisogna in ogni caso riflettere bene. Non si può correre il rischio di mettere in discussione le fondamenta dello Stato.
E la Corte Costituzionale tedesca lo sta facendo da ieri, senza farsi condizionare dal clima febbrile di questi giorni difficili. Si tratta di decidere sull’ammissibilità dei sei ricorsi contro l’Esm, il nuovo meccanismo di stabilità europeo, e contro il Fiscal Compact, il patto di bilancio concordato in marzo a Bruxelles. La legge di ratifica non è stata firmata dal presidente federale Joachim Gauck proprio per permettere alla Corte di dire la sua parola su quanto lamentano, da versanti diversi, i parlamentari della Linke, l’inaffondabile deputato euro-dissidente Peter Gauweiler, cristiano-sociale, e l’associazione «Più democrazia». «È un lavoro difficile», ha annunciato Vosskuhle, ricordando comunque che dovrà essere tenuta in considerazione anche la «discrezionalità» del Parlamento, dove sia l’Esm che il Fiscal Compact hanno ottenuto il 29 giugno la maggioranza qualificata dei due terzi dei voti, che nel secondo caso era peraltro indispensabile.
Tutti ormai prevedono che ci vorranno settimane, forse anche mesi. Il mondo politico tedesco è preoccupato, anche se diviso. C’è chi parla di una cancelliera molto amareggiata per questi ostacoli parzialmente imprevisti. Altri, come il ministro della Giustizia, Sabine Leutheusser-Schnarrenberger, liberale, dicono che non bisogna fare pressioni sulla Corte. E l’Europa, intanto, aspetta. La Germania è infatti indispensabile per l’entrata in vigore dell’Esm, la cui operatività era inizialmente prevista per i primi di luglio (è necessario il concorso dei Paesi che rappresentano il 90 per cento del capitale, e da Berlino arriverà il 27 per cento del totale). Il Fiscal Compact, invece, ha bisogno dal primo gennaio del 2013 di essere stato approvato almeno da dodici appartenenti al club della moneta unica. È stato il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble, intervenuto in udienza, a dire senza esitazione che ritardi significativi nell’entrata in funzione dell’Esm potrebbero scatenare nuove turbolenze dei mercati. Non la pensa esattamente così, invece, il presidente della Bundesbank Jens Weidmann.
I giudici vestiti di rosso hanno ascoltato Schäuble con il rispetto che gli è dovuto, ma hanno fatto sapere che ritengono opportuno prendersi il tempo necessario. I ricorsi verranno esaminati con attenzione nella palazzina di vetro e cemento costruita a Karlsruhe, nel Baden-Württemberg, dove hanno svolto il loro compito, per un mandato di dodici anni non cumulabile, i giuristi più autorevoli della Germania. Come Udo Di Fabio. Il nonno era un operaio siderurgico della Thyssen arrivato dal lontano Abruzzo, lui faceva parte della Corte all’epoca del sofferto via libera al Trattato di Lisbona, condizionato però ad un ruolo maggiore del Parlamento nell’elaborazione delle politiche europee. La sentenza più famosa prima di quella che tutti, da ieri, stanno attendendo.
Paolo Lepri