Dino Pesole, Il Sole 24 Ore 11/7/2012, 11 luglio 2012
LO SPREAD OLTRE 300 VANIFICA I TAGLI DI SPESA
L’Italia resta "vulnerabile", ha avvertito ieri il Fmi. Pesa l’ingombrante debito pubblico che ci costringe a impegnare oltre 80 miliardi l’anno. È la sfida delle prossime settimane, che si giocherà anche sulla possibilità concreta di attivare le misure antispread che vanno definendosi a livello europeo, «senza condizionalità aggiuntive» e senza passare sotto le forche caudine della «troika». Due giorni fa il differenziale Btp/Bund ha chiuso a 478 punti base dopo aver toccato i 480 punti. Ieri era a quota 463. Un livello non da allarme rosso ma tale da ingenerare non poche preoccupazioni sulla tenuta dei conti pubblici e sugli obiettivi di medio termine. Agosto sarà il mese decisivo per ricalibrare i target di finanza pubblica. La sede è la Nota di aggiornamento al «Def» che il governo metterà a punto a settembre. E ieri il Tesoro ha annunciato che poiché le entrate fiscali vanno bene, non vi sarà l’asta a medio-lungo termine del 14 agosto.
In zona sicurezza saremmo con lo spread sotto i 200 punti, ma già entro i 300 punti sarebbe possibile avvicinarci agli obiettivi, mentre se permanesse l’attuale situazione il costo potrebbe superare i 10 miliardi. Al momento, la stima è quella contenuta nel «Def» di aprile: 84,2 miliardi quest’anno, pari al 5,3% del Pil, 88,4 miliardi nel 2013 (il 5,4% del Pil). Modifiche al rialzo di tale target, per effetto del clima di sfiducia che regna nei mercati sulle prospettive di crescita dell’economia mondiale e su quelle più a breve periodo dell’Eurozona (con l’aggravante dello stop accusato dalla locomotiva tedesca), vanificherebbero l’effetto «spending review», quantificato per l’anno in corso in 3,7 miliardi. Intervento che dovrà servire a evitare l’aumento di due punti delle aliquote Iva del 10 e 21%, sterilizzato al momento fino al 30 giugno del prossimo anno. Per evitare dunque il ricorso a una nuova manovra, occorrerà attivare lo scudo antispread, secondo la linea illustrata ieri da Mario Monti al termine dell’Ecofin.
L’impennata della spesa per interessi potrebbe pregiudicare l’obiettivo del «quasi pareggio» di bilancio nel 2013 e della stabilizzazione di tale target negli anni a venire. S’impone peraltro a breve un nuovo intervento da 6,6 miliardi (concentrato sul fronte delle agevolazioni fiscali) per evitare che l’aumento dell’Iva scatti comunque dal 1° luglio del prossimo anno. E crescono le incognite sulla possibilità concreta di portare effettivamente a casa gli 11,2 miliardi a regime della «spending review». Elementi che pesano evidentemente nel giudizio dei mercati, oltre ai dubbi sul governo che verrà dopo le elezioni della prossima primavera.
Massima vigilanza, dunque, a palazzo Chigi e al ministero dell’Economia, dove si attendono i dati sul gettito dell’autotassazione che saranno effettivamente contabilizzati non prima della fine di agosto. In termini tendenziali, le entrate tributarie dei primi cinque mesi dell’anno hanno messo a segno un incoraggiante incremento del 2,5%, ma quel che conta è il risultato dell’autotassazione in rapporto alle stime contenute nel «Def». Per ora, la parola d’ordine è che i conti tengono. È già di fatto acquisito lo scivolamento del deficit 2012 dall’1,7 al 2%, forse anche qualche decimale in più, a fronte di una caduta del Pil che la Banca d’Italia stima si collochi attorno al 2 per cento. Non è un dramma. La causa è da attribuire a «circostanze eccezionali», quali la recessione e il terremoto, e in ogni caso saremo abbondamente al di sotto della media europea. Ma se lo spread non scenderà (anche grazie al meccanismo europeo di salvaguardia), il quadro finirà per aggravarsi. Appuntamento rinviato dunque a settembre e alla prossima legge di stabilità, e l’aspettativa è che si possano finalmente aprire dei margini concreti di manovra per un bilancio che resta al momento rigidamente blindato.