Carlo Bastasin, Il Sole 24 Ore 11/7/2012, 11 luglio 2012
L’EURO NELLA GABBIA DELLA CORTE TEDESCA
La scena è degna della "patafisica", la scienza delle soluzioni immaginarie. Il presidente della Corte costituzionale tedesca chiede ieri mattina al rappresentante del Governo: quanto tempo ci date per valutare se il fondo di stabilità europeo è legittimo, prima che si abbiano conseguenze negative sui mercati finanziari? E lo sventurato risponde: «Qualche settimana...». Dunque un paio di settimane dopo le tre normalmente necessarie, i giudici tedeschi decideranno se far crollare l’euro prima che l’euro sia già crollato. Il ministro delle Finanze Wolfgang Schäuble ha cercato di spiegare il rischio, ma senza esito. «La democrazia ha il suo prezzo», aveva ricordato candidamente la Corte pochi giorni fa. Come negarlo? Stati democratici ed Europa hanno bisogno l’uno dell’altro, ma anche l’Europa ha il suo prezzo. Chi conosce i segnali di fumo che escono dai conclave di Karlsruhe è certo che i giudici non metteranno consapevolmente a rischio l’euro. Nessuno pensa che i giudici fermino i patti fiscali europei (il Fiskalpakt), perché replicano quelli già scritti nella Costituzione tedesca. La preoccupazione riguarda il fondo salva-Stati (Esm). Si teme che dicano che è legittimo, ma a condizione che sia inutile. Cioè solo se disporrà di pochi fondi e certamente non tanti quanti necessari a superare la crisi del debito in Spagna e Italia. I limiti sono rilevanti perché il Consiglio Ue ha accelerato la capitalizzazione dell’Esm che arriverà a 500 miliardi di euro e la cancelliera tedesca studia i progetti di uso "a leva" del capitale che permetterebbero all’Esm di muovere cifre davvero rilevanti. Sarebbe forse il piano risolutivo della crisi, ma cadrebbe se la Corte ponesse un limite alle perdite potenziali a carico del bilancio federale. Le idee di interdipendenza finanziaria, di rischio sistemico europeo o di sovranità relativa non hanno fatto breccia nella cultura di Karlsruhe, che è profonda e ammirevole, ma che non vede il principio di democrazia realizzato altro che entro i confini della comunità politica omogenea della Nazione. È difficile dare la misura di quanto la diffidenza della Corte tedesca abbia pesato sulla crisi europea. Senza le sentenze sui Trattati di Maastricht e di Lisbona la crisi si sarebbe potuta risolvere nel gennaio del 2010, ma per poter violare il divieto di salvataggio della Grecia (la famosa clausola di no-bailout del Trattato Ue) senza l’opposizione della Corte, la cancelliera Merkel ha dovuto motivare l’intervento con la necessità - anzi l’obbligo - di difesa della moneta dei tedeschi (l’euro) che a sua volta era possibile giustificare solo aspettando il maggio 2010 quando, ritardo dopo ritardo, l’euro stesso era finalmente giunto sull’orlo del precipizio. Da allora, dopo essersi estesa a tutta l’eurozona, la crisi non ha più smesso di peggiorare. Nei giudizi più recenti, la Corte ha anche posto dei limiti alla partecipazione di Berlino ai fondi salva-Stati, sostenendo che un impegno potenzialmente troppo elevato avrebbe compromesso l’autonomia finanziaria del Parlamento, una "competenza essenziale" alla democrazia che l’articolo 79 della Costituzione tutela tra quelle indisponibili. Il limite dell’impegno finanziario tedesco in Europa è fissato circa a metà del bilancio federale e sta quindi sotto il livello massimo dell’aiuto necessario alla Spagna, figurarsi quello ipoteticamente necessario a salvare l’Italia. E il problema riguarda direttamente l’Esm: la quota tedesca nel fondo salva-Stati è di 170 miliardi, ma ad esso vanno aggiunti altri impegni europei già presi che fanno variare la stima totale tra 310 e 495 miliardi. Troppo per il bilancio federale (Länder esclusi). Se la logica di Karlsruhe non cambia, non c’è più margine per mettere in comune le risorse con gli altri Paesi benché il Parlamento tedesco abbia approvato la legge sull’Esm con maggioranza dei due terzi. Poiché infine, secondo Karlsruhe, i diritti del Parlamento tedesco in materia di bilancio non possono dipendere da decisioni dei parlamenti di altri Paesi, gli aiuti tedeschi possono essere attivati solo in ragione di criteri e condizioni prefissati e imposti agli altri Stati (cioè non devono essere attivati per volontà degli Stati da aiutare). Ma anche i controlli sugli altri Paesi hanno limiti perché se sono troppo stringenti violano i principi di democrazia. Da questo labirinto non sembra esserci via d’uscita. Se avete avuto la pazienza di seguire queste esemplificazioni, avrete capito che in questi anni lo spazio di manovra della cancelliera Merkel non era affatto agevole, dovendosi aggiustare nei limiti di legge interpretati dalla Corte di Karlsruhe, l’organo costituzionale che ha la più alta credibilità presso i cittadini tedeschi e che può imporre al Governo l’uscita della Germania dall’euro qualora ritenga che i presupposti per l’adesione alla moneta unica - una stabilità monetaria pari a quella del marco - siano venuti a cadere. La sintonia tra la Corte di Karlsruhe, gli economisti delle valli bavaresi e l’ufficio legale della Bundesbank offre una nervatura ai sentimenti euroscettici che in questo momento decisivo sono pienamente mobilitati. E c’è una certa coerenza in questo "scontro finale", visto che il bivio di fronte a cui si trovano la Germania e tutti i Paesi dell’area euro è quello della scelta tra la democrazia nazionale, con i suoi limiti sempre più evidenti, e l’unione politica europea. Una scelta consapevole dei giudici costituzionali a difesa dell’euro potrebbe rivelarsi il passaggio di maturazione politica e istituzionale cruciale. A costo di attendere cinque settimane.