Guido Romeo, Wired n. 41 luglio 2012, 11 luglio 2012
LA CASUALITÀ DELLA VINCITA È SOLO UNA MENZOGNA MATEMATICA
Tre Prendi tutto, un Miliardario e un Turista per sempre, più una manciata di Mille e una notte, Caccia al tesoro, Tris e vinci e Barca di soldi, per finire con un mazzetto di una decina di Tris e vinci. È il lavoro che mi porto a casa per il fine settimana uscendo dall’Aquarius café. La tesi da verificare: che sbancare il gratta e vinci è questione di metodo e di statistica, più che di fortuna. L’ipotesi di fondo è che craccare la matematica che genera i numeri vincenti sui “grattini” sia una missione possibile. Un’idea campata per aria? Mica tanto. L’anno scorso, Joan Ginther, una professoressa di statistica in un liceo di Las Vegas ha vinto per la quarta volta alla Lotteria del Texas proprio grazie a gratta e vinci, incassando un totale che supera i 20 milioni di dollari. Che la sua fortuna abbia qualcosa a che fare con le sua preparazione statistica non è mai stato provato, ma in molti lo sospettano. Nel 2003 uno statistico canadese, Mohan Srivastava, ha scovato nei gratta e vinci dell’Ontario, in Canada, un “baco” che permetteva di riconoscere i biglietti vincenti e ha raccontato la sua storia sulle pagine di Wired US. I gratta e vinci commercializzati in Italia da Lotterie Nazionali sono nati da cervelloni elettronici molto simili a quelli che hanno partorito i biglietti acquistati da Ginther e Srivastava. La disposizione dei numeri sui biglietti italiani è infatti delegata a Scienttfic Games, l’azienda statunitense leader mondiale del settore che, insieme a una manciata di poche altre come GTech Printing (un attore minore, ma altamente tecnologico e partecipato dalla multinazionale italiana del gioco Lottomatica) e Pollard Banknote (che stampava i giochi craccati da Srivastava), offre questo servizio alle concessionarie di tutto il mondo. Certo, i produttori dei giochi sono diversi, ma la mia dichiarata speranza di trovare un “crivello”, simile a quello elaborato da Srivastava, e fare (tanta) fortuna con poca fatica non è del tutto campata per aria. Che dietro alla disposizione dei numeri sui biglietti ci sia una precisa matematica piuttosto che il caso ormai mi è chiaro. È una necessità dettata anche dalla natura stessa di quell’enorme macchina da soldi che è il gioco d’azzardo.
IN ITALIA IL GIOCO LEGALIZZATO, fatto di lotterie, scommesse, Superenalotto e slot machine, è la terza industria nazionale e nel 2011 ha fatturato più di 79,8 miliardi di euro (dei quali 25 vanno all’erario). Un mercato che non sente la crisi e ormai vale più del doppio del mercato dell’automotive. Il gioco, insomma, è un settore industriale di tutto rispetto e come tale deve avere dei controlli di qualità interni che garantiscano un’equa distribuzione delle vincite. In più parliamo di gratta e vinci... Da soli, i “grattini” valgono 10,1 miliardi l’anno e, alla faccia dell’evoluzione tecnologica e delle scommesse online, questi cartoncini colorati e decisamente kitsch sono una passione nazionale che non accenna a scemare: dal 2005 il loro fatturato è aumentato del 600 per cento. L’Italia, infatti, è il primo mercato mondiale per quelle che, in gergo, sono chiamate “lotterie istantanee”. Secondo Lottomatica (che attraverso Lotterie Nazionali li gestisce tutti) sono oltre 17,5 milioni, praticamente un adulto su tre, gli italiani che nel 2011 hanno impugnato una monetina per grattare la vernicetta alla ricerca del loro piccolo Eldorado. Soprattutto, i gratta e vinci sono un prodotto che, proprio nel nostro paese, è in piena espansione. Mentre negli ultimi anni le vendite di “grattini” si sono stabilizzate in tutto il resto del mondo, nel 2010 sono cresciute del 13 per cento qui in Italia.
USCENDO DALL’AOUARIUS, sul marciapiede sfoglio il mio mazzetto di biglietti della fortuna che promettono più soldi di qualsiasi investimento io possa immaginare (sì, anche di Facebook prima della quotazione...) e soprattutto raccolti con molta meno fatica e tempo di un fondo pensione. All’apparenza questi cartoncini colorati sono una scommessa contro il caso, ma la casualità della vincita in realtà è solo una facciata, una menzogna matematica. Molto ben costruita, ma sempre una menzogna, anzi due. «La prima bugia è che questi siano giochi in chiaro», mi ha fatto notare Paola Monari, docente di statistica dell’università di Bologna, che in settembre pubblicherà per Editori Riuniti il volume a più mani Probabilità e giochi d’azzardo. «A differenza di altri come Lotto e Superenalotto o anche della roulette di un casinò, per i quali i numeri vincenti sono pubblici, nel caso dei gratta e vinci il giocatore è completamente all’oscuro: non posso verificare quali numeri siano già usciti e soprattutto se la loro distribuzione segue davvero un andamento casuale». Per contratto con i Monopoli di Stato, da cui ha ottenuto la licenza di vendita dei gratta e vinci, il concessionario, in questo caso Lotterie Nazionali (di cui Lottomatica ha il controllo), deve garantire una certa percentuale di vincite. «Ma i controlli», osserva Monari, «si fanno solo sul fatturato, perché il concessionario deve assicurare una certa percentuale di entrate allo Stato. Sarebbe troppo dispendioso andare a controllare l’effettiva distribuzione dei numeri vincenti». In sostanza i gratta e vinci sono un gioco “opaco”, i cui meccanismi di vincita non sono descrivibili nemmeno dagli statistici professionisti.
LA SECONDA AREA D’OMBRA l’ho toccata stamattina entrando all’Aquarius: sapevo quanto costava un biglietto e quanto avrei potuto vincere, ma non potevo in alcun modo avere un’idea di quanti biglietti vincenti erano in circolazione. E questo è un dato fondamentale. «In un mazzo di carte so che ho quattro possibilità su 52 di pescare un asso, ma qui, ancora una volta, sono completamente all’oscuro». Non che questa opacità abbia scoraggiato il governo italiano dal ricorrervi per fare cassa. I gratta e vinci, introdotti dalla Finanziaria del 1994 varata dall’allora primo ministro Ciampi (era il tempo della Fontana della fortuna, dove vinceva chi trovava una fontana di Trevi sotto la pellicola), hanno permesso di raccogliere 240 miliardi delle vecchie lire per il cosiddetto “piano salvalavoro”. Più recentemente, si è puntato sui giochi anche con il decreto per la ricostruzione dell’Aquila che dovrebbe permettere di raccogliere 500 milioni l’anno fino al 2032. D’un tratto mi rendo conto che quelli che ho in mano non sono semplici cartoncini colorati, ma pezzetti di un’industria multimiliardaria con un’architettura molto sofisticata, il cui punto sensibile è proprio la distribuzione dei biglietti vincenti. Un biglietto Prendi tutto da cinque euro, per esempio, mi permette di vincere da cinque a 500mila euro. Ogni anno ne vengono distribuiti centinaia di migliaia, divisi in pacchi da alcune decine, e chi li produce deve poter sapere dove vanno i biglietti con i premi. Che cosa succederebbe se i biglietti vincenti o i più ricchi si concentrassero nelle stesse ricevitorie negli stessi mesi? Si creerebbe un’asimmetria che insospettirebbe i Monopoli di Stato e un’altalena di vincite che farebbe sparare titoloni ai giornali, ma alla lunga rischierebbe di scoraggiare i giocatori. È per questo che i cartoncini colorati di cui mi appresto a grattare i sottili strati di vernice sono un prodotto molto più tecnologico di quanto sembrino a prima vista. E a ragione: da essi dipendono sia le entrate pubbliche sia il ritorno di investimenti privati. «Il livello di sicurezza fisica contro la contraffazione è altissimo», mi ha spiegato Andrea Ghiglione, un passato in Lottomatica come responsabile del Lotto, oggi a capo di Playtech, la più grande azienda per le forniture del software di gioco in Italia. Ogni tagliando è composto da ben 18 strati sovrapposti, otto dei quali vengono grattati dai giocatori. Ciò non ha impedito tentativi di truffa come, per esempio, quella presso una tabaccheria di Agropoli, in provincia di Salerno, dove l’anno scorso la Guardia di finanza ha sequestrato una serie di biglietti contraffatti perché grattati e (se non vincenti) ricoperti per venire smerciati. Vincere anche un euro era diventato talmente improbabile (ecco l’asimmetria che si vuole evitare) che sono scattate le denunce di alcuni avventori.
IL TRUCCO UTILIZZATO DA SRIVASTAVA in realtà era molto più onesto: nessuna manipolazione, ma un’attenta analisi della struttura del gioco che gli ha permesso di scovare degli elementi che si ripetono nei biglietti vincenti. In pratica è un trucco da ragazzi: una volta scovata una disposizione ricorrente nei biglietti vincenti, quello che i matematici chiamano un “crivello”, Mohan lo ha insegnato con successo anche alla figlia di quattro anni. I biglietti in cui si era imbattuto lo statistico erano infatti un gioco del “tris” con otto diverse tabelle, ciascuna con nove numeri in chiaro e una striscia di 24 numeri da “grattare”. Tre sulla stessa riga di una delle nove caselle in chiaro assicuravano la vincita. Dopo aver applicato un pò di elaborazioni statistiche, l’osservazione di Srivastava è stata quasi banale: tra i 108 numeri di ogni biglietto bastava individuare i “solitari”, quelli che apparivano solo una volta. Se tre solitari apparivano sulla stessa fila: bingo! Quello era il biglietto fortunato da comprare assolutamente. «Poteva essere un difetto del software che creavate combinazioni vincenti», mi ha spiegato Monari, «ma poteva anche essere una “firma”, un segno di riconoscimento per garantire, a chi commercializzava il gioco, un sistema di controllo interno per individuare quanti vincenti erano di fatto in circolazione con una semplice indagine a campione». Quando Srivastava aveva segnalato il “bug” dei biglietti canadesi, la lotteria dell’Ontario aveva ritirato il gioco, ma altre, come quella dello stato del Colorado, negli Usa, anni dopo presentavano lo stesso difetto del “tris dei solitari”. Lottomatica spiega che il design di Scientific Games (che non è quello utilizzato in Ontario nel 2003) è di fatto a prova di questi errori. Le combinazioni numeriche che generano i numeri di ogni biglietto sono immediatamente cancellate dai cervelloni elettronici. «La sicurezza è più alta di una zecca di Stato», spiega Ghiglione, «perché il sistema di Scientific Games è completamente chiuso e l’unica cosa che rimane in mano a Lottomatica è una chiave criptata che non identifica direttamente nessun biglietto, ma permette solo di convalidare il numero di serie che viene trasmesso dal lettore ottico di una ricevitoria e quindi convalidare l’autenticità della giocata».
SEDUTO su UNA PANCHINA DEL PARCO, con le ginocchia ormai coperte dall’appiccicoso pulviscolo multicolore dei miei biglietti della fortuna, mi accorgo che il design dei biglietti di Scientific Games è dotato di un ulteriore livello di sicurezza fisica. I numeri tra i quali devo scoprire i vincenti sono anch’essi coperti e da grattare. Non ho perciò nessun appiglio per applicare il “crivello canadese” che mi sono così attentamente studiato. «In realtà i segni di riconoscimento ci sono sempre», osserva Monari, «ma bisogna saperli trovare: possono essere nascosti nei numeri di serie, nei colori o nei disegni. Mi pare inconcepibile che chi commercializza biglietti di questo valore non abbia un sistema di controllo a posteriori». Da Lottomatica, una laconica risposta scritta alle mie domande sulla progettazione dei giochi e la loro trasparenza precisa che: «Una volta stabilita la distribuzione del montepremi in termini di numero, di biglietti vincenti e di premi per ciascun biglietto, la programmazione di Scientific Games in fase di produzione assicura sia la distribuzione equa delle vincite su tutto il lotto prodotto, sia la rappresentazione degli esiti con combinazioni numeriche sufficientemente varie». Non un granché per soddisfare la curiosità di un giocatore scettico (ma già un po’ dipendente), ma più che sufficiente per i Monopoli di Stato. Mentre cerco di togliermi di dosso la “polvere della fortuna” mi accorgo che, al di là della seccatura di non aver (ancora) scoperto il crivello per diventare Turista per sempre, sono combattuto tra la delusione e l’esaltazione tipiche delle scommesse. Ho vinto una sessantina di euro ed è stato divertente. È a malapena più di ciò che ho giocato, ma il mio primo impulso è di reinvestire tutto in questo gioco, a dispetto della sua bassissima trasparenza. Perché? Mi chiedo. Il vero trucco è psicologico e, non a caso, gli addetti ai lavori li chiamano “baited hooks”: ami con l’esca. «La crisi non c’entra nulla», mi chiarisce Ghiglione, «il segreto del successo del gratta e vinci è una promessa low-cost. L’investimento emotivo è ridotto e giocare costa pochi euro per un tempo di gioco prolungato, un numerino dopo l’altro». E così, inforcata la bici, sono di nuovo davanti all’Aquarius café. Alla faccia delle curve di probabilità e delle esortazioni di Monari, ho inghiottito d’un fiato amo ed esca. E cosi continuo a giocare, anche se so che la fortuna, più che una dea bendata, è un algoritmo tenuto sotto chiave a New York, nel quartier generale della Scientific Games.