BRUNO GAMBAROTTA, La Stampa 11/7/2012, 11 luglio 2012
UN TAZZONE D’ACQUA TIEPIDA APPENA SALATA
Come i nostri vecchi. Torni a casa stravolto e strafuso, spalanchi lo sportello del frigo, ne estrai una caraffa che per la condensa si appanna e forma le goccioline che rotolano verso il basso. Non importa quale bibita contiene, tè freddo o acqua e sciroppi vari, l’importante è che sia bella fredda e tanto zuccherata. Nel dubbio aggiungi una manciata di cubetti di ghiaccio, dai una mescolata e ti accingi a versarne il contenuto direttamente in gola, quando la voce della coscienza ti blocca: ricordati come facevano i nostri vecchi a dissetarsi senza rischiare una congestione. Come facevano? Nella loro millenaria saggezza si dissetavano con un bicchiere di acqua tiepida insaporita con un pizzico di sale o un cucchiaino di aceto. Davvero? Da ragazzo ho trascorso tutte le estati a casa dei nonni. Ho dei ricordi precisi. Mio nonno comprava un pezzo di ghiaccio, lo avvolgeva in un asciugamano, lo pestava con il batticarne e preparava la granatina con un po’ di sciroppo di menta. Riempiendosi la bocca di ghiaccio mia nonna diceva: dovremmo fare come i nostri vecchi; loro sì che erano saggi, per dissetarsi bevevano acqua tiepida con un pizzico di sale. L’altro nonno mi portava qualche volta all’osteria dove, per aumentare la sete, mangiavano le acciughe in salsa verde e bevevano vino. C’era sempre qualcuno che tra un bicchiere e l’altro diceva: dovremmo fare come i nostri vecchi, mangiare tanta frutta e verdura e bere acqua. Loro sì che erano saggi. I miei nonni erano nati nella seconda metà dell’800. Arretrando ai vecchi dei miei nonni arriviamo a Napoleone. Andando ancora indietro arriviamo al 6 settembre 1706. Un cronista dell’assedio di Torino riporta che “il valoroso Principe d’Anhalt, appena terminata la sanguinosa battaglia che poneva fine all’assedio di Torino, entrava in un Caffè presso Porta Palazzo per vuotarvi tutte le boccie d’ogni acqua acconcia a rinfrescare, tanta era la sete da cui era tormentato”. Un altro cronista, rimasto ignoto, completa il racconto scrivendo che il padrone del locale, prima di servire il Principe, cercò di convincerlo a seguire la saggezza dei nostri vecchi porgendogli un tazzone d’acqua tiepida e leggermente salata e che, per tutta risposta, il grande condottiero estrasse la pistola e gli sparò in un piede. La saggezza dei nostri vecchi non è tutta da buttare: non disponendo di armi offensive per contrastare il caldo si comportavano, senza saperlo, come un lottatore di judo, cioè assecondavano il nemico quando li attaccava. Chiudevano ermeticamente le finestre e gli scuri nelle ore calde per aprirle al tramonto, creando quella meraviglia che si chiamava “riscontro”; in pratica una corrente d’aria che si formava tra i due lati della casa. E che anche oggi si può provare a fare. Soprattutto, nella controra, quando il caldo imperversava i nostri vecchi stavano fermi, immobili, come tanti Buddha buttati sulle poltrone di vimini sparse qua e là per casa. E non si lamentavano, non dicevano ad ogni minuto: che caldo che fa. Stare fermi è un’arte che non sappiamo più praticare. Se dovevano uscire, lo facevano all’alba. Io ho provato ad uscire all’alba, ma non so dove andare, incontro solo persone che portano il cane a fare i suoi bisogni sulle piste ciclabili. Ma forse ha ragione Ernest Hemingway quando scrive: “E’ un grande inganno, la saggezza dei vecchi. Non diventano saggi. Diventano attenti”.