Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 11 Mercoledì calendario

L’Italia multietnica? È in fila all’ufficio postale - C’ è posta per te… in tutte le lingue

L’Italia multietnica? È in fila all’ufficio postale - C’ è posta per te… in tutte le lingue. Arabo, cinese, albanese. Senza saperlo, e in qualche caso senza volerlo, gli altri sono diventati dei nostri. Dall’Africa centrale al Medio Oriente, il mondo si può concentrare in un mercato, in un ufficio pubblico o in un ambulatorio. La globalizzazione non ha soltanto bussato alla nostra porta: è entrata. E se un canale televisivo (Babel, piattaforma Sky) racconta le esperienze degli stranieri che vivono in Italia - bellissima la serie sulle madri-bambine – un’iniziativa molto pragmatica di Poste Italiane è diventata un ponte tra culture. Gli operatori multilingue assunti nel corso degli ultimi anni, alcune centinaia, ma - sembra incredibile nessuno li ha contati, sono un piccolo, significativo esperimento di integrazione. Ognuno di loro parla anche quattro, cinque lingue e ci fa pensare che forse anche noi dovremo impararne qualcuna, oltre al solito inglese. La ragione di partenza è semplice. Il 15 per cento della clientela di Poste Mobile è formata da stranieri, o come alcuni si definiscono, nuovi italiani. Messi in fila sono quasi due milioni. Hanno un conto Banco Posta, una Poste Pay, una Sim, usano MoneyGram (il 30 per cento sono romeni, il 10 polacchi, il 7 marocchini) o Money Transfer per mandare soldi a casa e sono felici quando la voce registrata sul telefono elenca offerte e condizioni nella loro lingua. Arrivano dal Marocco e dal Senegal, arrivano dall’Albania, dalla Romania, dalla Polonia, dall’Ecuador o dallo Sri Lanka con poche valigie e molte speranze. Sono in fuga dalla povertà, dalla guerra, qualcuno sostiene di essere perseguitato dagli spiriti. Spesso non conoscono una parola di italiano. La comunità è solidale, ma poi bisogna mettersi in coda, aprire un conto, compilare un modulo, trovare una casa, una scuola. Karima non riusciva a spedire un pacco in Tunisia. Rashid, perso il cellulare, non sapeva a chi rivolgersi. Blanca ha fermato tutti quelli che entravano in un ufficio di corso postale di Buenos Aires a Milano, finché non ne ha trovato uno che capiva lo spagnolo. Argentina Castro Alvarado (Ecuador) ha ottenuto indicazioni utili sull’ospedale dove portare la figlia allergica. Lazio, Emilia Romagna, Toscana, Lombardia e Veneto sono in questo momento le regioni dove si concentra la maggioranza degli impiegati multilingue che, in parecchi casi sono diventati punti di riferimento della comunità, autorità in fatto di burocrazia, amici da invitare al bar, interpreti non solo delle parole, ma dei comportamenti. E, nonostante per loro questo significhi lavorare anche fuori orario, essere fermati per strada o al supermercato mentre fanno la spesa, sono contenti. Come nell’Italia paesana che credevamo non ci fosse più (ma l’abbiamo ritrovata in «Benvenuti al Sud») l’ufficio postale è un pezzetto di famiglia.