Diego Gabutti, ItaliaOggi 11/7/2012, 11 luglio 2012
Non è assolutamente vero che in Italia manchino le regole A volte si dice che in Italia «mancano le regole»
Non è assolutamente vero che in Italia manchino le regole A volte si dice che in Italia «mancano le regole». Non è vero, naturalmente. Ce ne sono anche troppe. È solo che si tratta di regole cubiste, nel peggiore dei casi ridicole, nel migliore inapplicabili. Sono regole generalmente sporche e volpine, stabilite oltretutto volta per volta, secondo opportunità e convenienza. Non sono neppure regole, del resto: sono spintonate, o lingue che s’allungano, come tra bambini della scuola materna quando si viene alle corte. Sono regole che servono, come a briscola o a «Monopoli», a disciplinare e coordinare il gioco. Sono pensate esclusivamente per mandare la partita in malora. Prima ci sono le spintonate: surreali sentenze di tribunale, referendum masochisti, scioperi a sbafo. Poi saltano d’improvviso anche le connessioni logiche, sempre come tra bambini, diciamo per esempio tra giocatori di biglie ai giardinetti. * * * All’apparenza a scontrarsi sono le grandi visioni del mondo, come nella Bibbia e nei fumetti di supereroi. Ma che si tratti invece d’una guerra dei bottoni, combattuta da ragazzacci della Via Paal che agitano mutandoni e vecchi stracci al posto delle più o meno onorate bandiere d’una volta, è dimostrato dalla qualità insulsa e fanciullesca delle cause per cui vengano agitate le fionde e si soffia nelle cerbottane, come per esempio la disfida tra il presidente futurista della camera e quella postberlusconiano (ma non troppo) del senato per la nomina del consigliere Rai. * * * Dalle lotte sindacali, per esempio, che decidono il destino dei lavoratori e delle loro famiglie, nessuno pretende morbidezza e neppure lealtà, che sono virtù da moschettieri del re e da eroi cinematografici. Ma devono essere lotte sindacali, dichiarate e decifrabili, senza trucchi, mentre da noi nessuno si scandalizza se le lotte sindacali, e più in generale le lotte politiche, ricorrono ai colpi sotto la cintura o si trasformano in incontri di boxe truccati. Dalla tivù pubblica, tenuta a soddisfare tutta la platea pagante, compresi i telespettatori descamisados che tifano per Michele Santoro e Giovanni Floris e Lilli Gruber, si pretenderebbe invece un minimo di varietà e di pluralismo, anche se chi oggi lo invoca per sé ieri lo negava ai propri avversari. Ma l’idea che un tribunale possa stabilire con una sentenza da curva sud il contenuto del palinsesto televisivo oppure che si possano imporre con un’ingiunzione legale a Sergio Marchionne le decisioni d’un sindacato preistorico è peggio che ridicola. Eppure è quel che avviene comunemente. Puerile come una battaglia a palle di neve, che poi ci mette poco, se qualche adulto non mette rapidamente fine alla rissa, a degenerare in uno scontro a sassate, la lotta politica in Italia ha toccato il fondo da un pezzo, ma non di meno continua a cadere in picchiata, come Alice giù nella tana del Bianconiglio. * * * Bravissimi nel voltarsi di colpo, abbassarsi i calzoni e mostrarsi a vicenda il posteriore, i politici e i sindacalisti italiani non fanno che parlare di ricchezze, da produrre o da distribuire, di crescita, di rigore, di spread e di scudi antispread, ma trasformano in carbone (e in orrendi talk show) tutto quel che toccano. Quelle predilette dai nostri politici sono le situazioni in cui si cacciano continuamente i dodicenni, specie quelli disturbati. È la guerra per la leadership dell’Isola-Che-Non-C’è tra Peter Pan e Capitan Uncino. È la piccola Dorothy contro la Perfida Strega dell’Est. È una mischia in stile West Side Story per il controllo del parco giochi. * * * Viviamo in un’Italia caratteriale, dove problemi seri, la spending review, l’Europa, il mondo, sono raccontati dalle nostre piccole vedette leghiste e dai nostri piccoli scrivani dannunziani con lingua catastrofica e iperbolica: una lingua che priva le cose (e i problemi) d’ogni senso compiuto. È un’Italia mocciosa, che spia i titoli dei giornali stranieri, sempre pronta a chiamare la mamma. Una classe politica così, che quando si mette male è costretta a chiamare la mamma, potrebbe governare al massimo Gardaland o il Paese dei Balocchi.