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 2012  luglio 10 Martedì calendario

Storia d’Inghilterra

2– REGINA VITTORIA, 1837 INSUCCESSO FINANZIARIO DEI WHIGS Durante il regno di Guglielmo IV i Whigs, per influenza delle teorie di Bentham e sotto la pressione dei radicali, avevano dato al congegno governativo un principio di efficienza moderna e di rappresentatività democratica mediante il Reform Bill e il Municipal Corporations Act. Era appena un inizio, ma conta molto come è compiuto il primo passo. Se tra i Whigs fosse sorto un grande statista capace di intendere i problemi sociali del giorno o almeno ci fosse stato tra loro un ministro delle Finanze esperto, essi avrebbero permesso al paese di avanzare rapidamente sulla via che gli avevano aperta, verso la soddisfazione delle urgenti esigenze di tanti cittadini oppressi e incolleriti dalle difficoltà. Ma quel partito che un tempo aveva disposto di uomini come Charles Montagu, Godolphin e Walpole, paralizzato nella sua iniziativa finanziaria, dovette lasciare a Peel il compito di risolvere con la tassa sui redditi e col libero scambio l’enigma finanziario ed economico del suo tempo. Quando Vittoria salì al trono, come osservò Peel in una delle sue rare e mai improvvisate battute umoristiche,(1) il Cancelliere dello Scacchiere Whig appariva « seduto su una cassa vuota cercando di pescare un bilancio dal suo fondo irraggiungibile ». PEEL E IL NUOVO PARTITO CONSERVATORE Sei anni dopo l’entrata in vigore del Reform Bill era ormai chiaro che i Whigs avevano sparato tutte le loro munizioni: che non avevano più nessuna misura da proporre per sollevare il paese dalle sue tuttora acute ristrettezze economiche e dalle difficoltà di ordine industriale. Fu provvidenziale per le fortune del governo parlamentare sotto il nuovo regime che si potesse formare un governo mediante l’opposizione parlamentare. Dai rottami del partito Tory che il Reform Bill aveva distrutto, Peel aveva formato un nuovo partito « conservatore »; e ora vi stava attirando quei Tories che, come Stanley e Graham, erano passati ai Whigs per contribuire all’abolizione dei rotten boroughs. Un avvenimento caratteristico dell’Inghilterra XIX secolo, che la distinse da gran parte degli altri paesi, fu che gli elementi delle classi più alte, private dei loro vecchi privilegi, non per questo si ritirarono dalla vita pubblica, ma per rimanervi si adattarono alle circostanze nuove. Molti storici moderni criticano la riforma del 1832 per la sua portata molto ristretta; ma proprio questa sua limitata efficacia impedì che le classi superiori rompessero i loro legami con la vita politica, e impedì che si formasse una categoria di «professionisti della politica». Un processo di estensione dei diritti politici che si svolse con tanta lentezza può apparirci illogico; ma può essere molto utile ad una comunità che la sua evoluzione ininterrotta verso un sistema democratico si svolga per gradi. Nel 1834 Peel col «manifesto di Tamworth » aveva preso atto del Reform Bill come di un fait accompli, accettandone le conseguenze; e per lo meno lui, Peel, capiva bene quali fossero tali conseguenze. La sua origine borghese, l’affinità che lo legava alla categoria dei commercianti e degli industriali, gli permettevano di intendere le necessità economico-finanziarie del suo paese meglio della gran parte dei Whigs e dei Tories. Peel capiva la mentalità della classe borghese almeno nei riflessi economici, e d’altra parte era solidale con le sofferenze della povera gente più che con la mentalità del partito di proprietari di cui era il capo. Finì per vedere nel suo partito uno strumento politico di cui servirsi per raggiungere i risultati che gli parevano giusti. Resta che i conservatori nella loro maggioranza nutrivano dei sentimenti e interessi loro propri. Detestavano gli industriali che erano i beniamini di Peel; avevano profondamente a cuore la difesa delle leggi sul grano (Corn Laws) non meno che quella della Chiesa ufficiale. La proposta dei Whigs di ammettere i dissidenti ad Oxford e a Cambridge e quella di destinare a usi secolari la parte in eccesso dei beni ecclesiastici in Irlanda sembravano loro minacciose per le sorti della Chiesa; anche se c’era la Camera dei Pari sempre in grado di impedire l’attuazione di tali disegni criminosi. Questi problemi non era che non stessero a cuore a Peel come ai suoi seguaci, ma il cuore di Peel e la sua mente erano sempre più attratti dagli aspetti finanziari del problema di sostenere il commercio e da quel « problema delle condizioni del popolo » che Cariyle ed altri con lui tendevano ormai a vedere come il compito principale di cui dovevano occuparsi un Parlamento e un governo. A Peel mancava però quella personalità comunicativa, quell’ascendente che gli occorrevano per rendere solidale alle sue idee la massa del partito; mentre gli riusciva con i suoi colleghi e in genere coi collaboratori più stretti, i futuri Peelites come Graham, Aberdeen, Cardwell e Gladstone. La sua preparazione politica si era compiuta in un periodo anteriore al Reform Bill e a Canning, quando le decisioni prese dal Gabinetto erano legge. Dopo il successo del Reform Bill, egli riuscì a ravvisare i nuovi rapporti tra il Gabinetto e il paese meglio che non intendesse i suoi nuovi rapporti coi membri del partito al potere. LA NEW POOR LAW I Whigs prima di cedere finalmente le redini a Peel per effetto delle elezioni generali del 1841 avevano preso, col pieno appoggio dello stesso Peel e di Wellington, un’iniziativa importante per la riorganizzazione della società: avevano varato nel 1834 la nuova legge per l’assistenza ai poveri (the New Poor Law). Seguendo il parere della commissione diretta da Nassau senior avevano abolito il sistema di Speenhamland che consisteva nell’integrare i salari attingendo ai proventi fiscali.(2) In tale modo avevano dato il via al riscatto economico della classe proletaria nell’Inghilterra meridionale e l’avevano avviata a ritrovare la sua dignità e la sua autosufficienza economica. Sfortunatamente questa impresa necessaria era stata realizzata con una crudele, astratta noncuranza per l’aspetto umano del problema. In un momento in cui il soccorso nei centri di distribuzione era il mezzo quotidiano di sussistenza per migliaia di persone nelle città e nelle campagne, era stato un atto crudele interromperlo da un giorno all’altro senza imporre nel contempo delle paghe minime che assicurassero il necessario a tutti e senza fornire agli operai disoccupati e alle loro famiglie altro ricovero che quello del work-house. Per di più, giustamente allarmati dall’immiserimento che era l’effetto del sistema di cui avevano deciso l’abolizione, i membri della commissione di Nassau avevano stabilito che la vita nei work-house, dovesse essere molto più squallida di quella che viveva il lavoratore fuori della loro cinta. Le teorie economiche in onore non permettevano che si affrontasse il problema all’altro capo, che si studiasse cioè la maniera di rendere la situazione del lavoratore libero più desiderabile di quella di coloro che vivevano nel work-house. Persino i vecchi e gli ammalati, per i quali non esistevano allora nè le pensioni nè l’assicurazione sociale, e che non avevano un tetto, nel work-house erano trattati con la stessa durezza che se vi fossero entrati per loro colpa. Fu allora che il giovane autore di Oliver Twist, descrivendo le condizioni di vita del work-house, elevò una indiretta protesta contro le astrazioni di Bentham adottate dalla commissione richiamando l’attenzione della nuova generazione vittoriana, più sensibile alla voce della pietà, sulla realtà viva trascurata da quei teorici. Erano state dunque delle misure drastiche; ma grazie ad esse fu possibile sradicare la pianta della miseria. La vecchia Poor Law aveva presentato tra gli altri difetti quello di lasciare troppa differenza tra le varie parti del paese e troppa autonomia alle autorità locali nella sua attuazione. La nuova Poor Law era unica per tutto il paese, la sua attuazione era demandata a un’unica autorità centrale; per il tempo di una generazione questo ne fece uno strumento crudele ma in seguito, anche per la pressione del sentimento pubblico, fu possibile adoperarla per migliorare notevolmente la situazione delle classi povere. A poco a poco i work-houses cessarono di essere delle case di pena; e oggi, col sistema delle pensioni e delle assicurazioni sociali, sono quasi deserti anche nei momenti peggiori. IL CARTISMO Lo sdegno della classe dei salariati per la crudeltà della nuova Poor Law, e la scoperta di quanto era impotente a far valere il suo sdegno, la posero seccamente davanti alla realtà: occorreva una ulteriore riforma elettorale perchè la voce della povera gente si facesse udire e valere a Westminster. L’agitazione per la legge delle dieci ore (the Ten Hours Bill), mirante a ottenere un limite legale delle ore di lavoro in fabbrica, agitazione che fu condotta da Lord Shaftesbury e da un grande industriale della filatura, Fielden, portò a una discordia in seno al partito liberale e al partito conservatore; e ciò impedì che la legge fosse varata prima del 1847.(3) Un effetto delle continue agitazioni nelle zone industriali e del perdurare della miseria, fu il fiorire del Cartismo (1838). I cartisti infatti reclamavano semplicemente quanto doveva venir concesso nel 1867 e nel 1884: l’estensione dei diritti politici alle classi che ne erano state escluse dalla legge del 1832. I sei punti definitivi del People’s Charter erano puramente politici. Ma il movente e il vero carattere del Cartismo erano sociali. Il Cartismo rifiutava i soccorsi della borghesia al popolo. Era un grido di rabbia, un’espressione violenta della coscienza di classe da parte del proletario diseredato. Ebbe una certa influenza in Parlamento, perchè ora il Parlamento era più sensibile che in passato all’opinione pubblica. Fu l’ombra minacciosa del Cartismo nello sfondo ad accelerare il varo dei Factory Acts, l’abrogazione della Corn Law, le leggi contro i pagamenti in natura, la legge sulle miniere del governo Shaftesbury e infine la legge per la salute pubblica (Public Health Act) del 1848 che, lungamente reclamata, fu votata dalle Camere quando finalmente la Relazione di Chadwick le ebbe convinte che l’igiene era un tema di interesse pubblico. Fu così che indirettamente il Cartismo giovò alla causa della classe lavoratrice, raggiungendo in una certa misura quelli che erano i suoi scopi essenziali. Quanto al suffragio universale, che era al centro del suo programma politico, esso non si poteva realizzare finchè era rivendicato in nome di una classe senza invocare la solidarietà e la guida del ceto borghese e anzi presentandone la richiesta come un attacco ai datori di lavoro. I capi del movimento cartista valevano poco sul terreno della politica concreta. Se il movimento fu coronato dal successo tra il ’60 e il ’70, fu perchè a quel punto i ceti medi (per metà ancora esclusi dall’esercizio del diritto di voto) si affiancarono al proletariato nella lotta, condotta da Bright e da Gladstone, per il suffragio universale. ABROGAZIONE DELLE CORN LAWS Se tra il ’60 e il ’70 la borghesia e la classe lavoratrice raggiunsero una relativa solidarietà che non esisteva nei primi tempi del Cartismo vero e proprio, in parte fu merito del maggior benessere che frattanto si era diffuso in ogni strato della società; col diminuire delle ristrettezze era diminuito anche il livore che esse producevano. Vi concorsero la salutare politica finanziaria del ministero Peel e le circostanze notevoli in cui si era venuti all’abrogazione delle Corn Laws nel 1846. Accortamente la lega di Cobden contro le leggi sul grano (Anti-Corn-Law League) aveva allineato in attiva concordia i sentimenti borghesi e quelli della classe operaia in un tema dove il loro interesse coincideva. La vittoria spuntata in comune contro la tenacia dei proprietari di campagna e che coronava circa sei anni di continua agitazione, giovò molto a impedire che un confine preciso venisse tracciato fra la classe operaia e il resto della società. Essa apri la via alla graduale trasformazione del partito Whig di Melbourne e di Palmerston — che era stato un’alleanza fra parte dell’aristocrazia e il ceto borghese — nel partito liberale di Gladstone —che era un’alleanza fra borghesia e classe operaia. Grazie a questa complessa evoluzione delle classi e dei partiti, a questa fitta rete di suddivisioni in seno ai partiti e di intese fra i settori dei vari partiti – un giuoco che non impedì al sistema dei due partiti di funzionare perfettamente nel mondo parlamentare — l’età vittoriana potè avanzare senza che scoppiasse quel violento conflitto sociale che era sembrato inevitabile negli anni del Cartismo (1838) e al tempo della Grand National Trade Union di Robert Owen.(4) La lotta di classe, in una qualche forma, non avrebbe potuto essere evitata se, specie nelle zone più o meno industrializzate, non ci fosse stato un miglioramento sensibile e continuo nel tenore generale di vita. L’ordine sociale si salvò per gli sforzi e per il buon senso presente a più livelli della società, ma anche per il fiorire dei commerci e in genere per la prosperità raggiunta negli anni tra il 1840 e il ’50. Nel pieno dell’età vittoriana la Gran Bretagna era il maggior centro dell’industria mondiale. Da lei dipendevano numerosi altri paesi, per il carbone e per vari manufatti che ricevevano in cambio dei loro prodotti agricoli e delle loro materie prime. In questo quadro era naturale che la classe media inglese fosse interessata a una politica di libero scambio integrale. E in questo campo essa la spuntò contro la classe dei proprietari agricoli da cui per il resto era ben lieta di lasciarsi governare. Era ormai nella tradizione inglese che la città si lasciasse guidare dall’aristocrazia terriera, a patto di poter far sentire all’occorrenza la sua voce in capitolo. I piccoli borghesi che nel 1832 avevano ottenuto il diritto di voto, scelsero spesso di farsi rappresentare in Parlamento da qualche gentiluomo di campagna. Fino al secondo Reform Bill, del 1867, la presenza sui banchi della Camera dei Comuni di elementi borghesi per origine e mentalità come Cobden e Bright fu o tollerata come una curiosità o male accolta come un’impertinenza dai gentiluomini campagnoli del partito Whig o del partito Tory che li circondavano. In quegli anni era ancora viva la distinzione fra la classe della piccola nobiltà terriera e la borghesia ricca o benestante: non era ancora sopravvenuta a livellarle l’educazione standard delle scuole private. Spesso le separava anche l’appartenenza a confessioni diverse, che allora aveva rilievo in quanto corrispondeva a una differenza sociale; ne offre un esempio il fatto che i dissidenti non potevano entrare nè a Cambridge nè ad Oxford. Una delle due classi aveva una cultura prevalentemente classica, l’altra una cultura basata sulla Bibbia. Una si interessava solo agli sports, al governo del paese e all’amministrazione della terra; l’altra era dedita al commercio e si concedeva meno svaghi che non se ne conceda l’uomo d’affari moderno. Ancora dopo il 1832 la borghesia continuò a tollerare in buona misura il tratto altezzoso e il tono protettivo delle sfere sociali superiori; ma sulla questione del libero commercio del grano si erano fatta la loro idea, e nel difenderla avevano l’appoggio della massa popolare ancora priva di diritti elettorali. In Parlamento i Tories erano contrari ad abolire le norme protettive in materia di grano, e i Whigs erano divisi. Peel subito all’inizio della sua magnifica amministrazione (1842-1845) rimise in vigore l’imposta sul reddito e si servì di questo nuovo cespite per ridurre o abolire i dazi sull’importazione di una quantità di articoli, con grande vantaggio per il commercio inglese con l’estero. Però non era ancora in grado di abolire il dazio sul grano importato; e il grano rimase l’oggetto delle vive controversie dell’epoca. L’Anti-Corn-Law League rappresentava nell’Inghilterra industriale una potenza quasi pari alla Catholic League di O’Connell nelle campagne irlandesi. Peel, che aveva ceduto all’una nel 1829, cedette all’altra nel 1846, in parte perchè riteneva che si dovesse governare col consenso dei governati in parte perchè i discorsi di Cobden ai Comuni lo avevano convinto sull’aspetto economico della questione, e perchè in seguito alla malattia che aveva distrutto il raccolto delle patate in Irlanda nel 1845-46 la scelta che gli stava davanti era tra sospendere le Corn Laws e lasciar morire di fame gli Irlandesi a decine di migliaia. Una volta sospeso il regime dei dazi sul grano straniero, era difficile reinstaurarlo senza provocare in Gran Bretagna dei movimenti di rivolta. L’abbandono « totale e immediato » delle Corn Laws fu dunque un effetto imprevisto dell’Act of Union di Pitt. (5) DISRAELI E PITT L’abrogazione delle Corn Laws è da considerare per più ragioni l’avvenimento più importante nella vita politica inglese tra il Reform Bill del 1832 e quello del ’67. In primo luogo essa ruppe l’unità del partito conservatore e permise in tale modo ai Whigs di salire al potere dove sarebbero rimasti insediati, tolti brevi intervalli, per vent’anni di seguito, arricchendoli inoltre del consiglio e del voto di alcuni insigni politici del gruppo dei Peelites come Aberdeen, Cardwell e Graham, e mettendo a loro disposizione l’eccezionale acume finanziario di Gladstone. Nel 1846 la ribellione dei membri conservatori della Camera elettiva contro Peel giunse quasi inattesa. Fu Disraeli col calore oratorio e col sostanziale vigore delle sue filippiche contro il capo traditore a forzare i parlamentari di secondo piano ad ammutinarsi, con la stessa ineluttabilità con cui deve prender fuoco la polvere pirica se le si avvicina una fiamma. È incerto se Disraeli credeva gran che nell’utilità economica di mantenere in vigore le Corn Laws; di lì a poco, egli avrebbe accennato quasi incidentalmente alla politica protezionistica come a una politica « morta e sepolta ». Ma come Bolingbroke prima di lui, Disraeli si era assunto in certo modo la parte dell’avvocato dei membri del « partito agrario », e si sentiva obbligato a farsi loro portavoce. Su questo osservatore estraneo le « grandi famiglie storiche inglesi » esercitavano un fascino particolare (benchè egli dovesse eccettuare dalla sua ammirazione le « grandi case » appartenenti al partito Whig). Abbandonando la difesa delle Corn Laws, Peel aveva tradito e ferito il fiore della nobiltà inglese, che non aveva parole per esprimere la sua indignazione. Così, Disraeli se ne fece portavoce contro un avversario che era anche l’uomo che gli intralciava la strada. L’azione compiuta da Disraeli costringendo il governo di Peel a dimettersi ebbe l’effetto di bandire dal potere il partito conservatore per vent’anni; ma lo tolse dalla sua posizione di oscuro parlamentare e gli permise di assumere, dopo Stanley, la direzione del partito. Essa gli permise quindi di «preparare il suo partito» a compiere nel 1867 un voltafaccia non meno completo e non meno discutibile di quello che lo aveva sdegnato ventun anni prima, e a motivo del quale egli aveva causato coi suoi attacchi la caduta di Peel nel momento in cui questi era al vertice della popolarità. Il genio ha dei privilegi che non ha senso contestargli, perchè solo il genio riesce a fare delle azioni parlamentari qualcosa di vivo, per il palato dei contemporanei e poi degli storici, come i ben più pericolosi sviluppi della guerra e della rivoluzione. Si direbbe che Palmerston, Disraeli e Gladstone vennero portati alla ribalta dal destino, in quel preciso tratto della storia, per accarezzare, ciascuno alla sua maniera, la fantasia della generazione democratica e così arricchire il sistema di governo parlamentare di quell’elemento personale per mancanza del quale gli istituti democratici in altri paesi si sono disseccati come piante private d’acqua. La vittoria della Anti-Corn-Law League fu la prima notevole vittoria della borghesia sull’aristocrazia campagnola e dell’industria sull’agricoltura. Ma il fatto è che gli interessi agrari, nel loro insieme, in questa occasione erano vari e discordi. I proprietari e i grossi conduttori agricoli si erano dovuti battere isolati perchè non c’era, ad affiancarli, una categoria numerosa di piccoli proprietari e piccoli conduttori. Il bracciantato agricolo, per quel poco che la sua opinione interessava ai politici, nel complesso era favorevole alle misure che gli permettevano di acquistare il pane a più buon mercato. Ma presto anche i proprietari e i grossi conduttori si accorsero che l’abrogazione delle Corn Laws non li aveva affatto rovinati. La libera importazione del grano impedì ai suoi listini di salire persino quando la scoperta di giacimenti d’oro in California e in Australia fece cadere sensibilmente la valuta; ma nemmeno vi furono dei deprezzamenti sensibili nello spazio di una generazione e il miglioramento economico generale fece molto aumentare il consumo del pane. In nessun altro periodo la case padronali e le fattorie furono più prospere, più popolate e più ricche che nel pieno dell’età vittoriana: l’età dei romanzi di Trollope e dei dipinti di John Leech. Il fatto che era caduto ogni vero motivo di ostilità fra la città e la campagna assicurò per altri trent’anni una posizione sociale invidiabile alle « grandi case » inglesi. Poi la costruzione delle linee ferroviarie transcontinentali e lo sviluppo poderoso della navigazione permisero all’America di mandare in Inghilterra una tale quantità di prodotti alimentari che negli anni verso il 1880, sotto il governo di Disraeli, la produzione granaria inglese finì per risentirne seriamente. La rete mondiale dei commerci britannici portava verso le isole britanniche dei generi alimentari di ogni provenienza, e questo preparò la nuova situazione, quella che dura ancora oggi nell’agricoltura inglese. La vittoria della Anti-Corn-Law League, nel 1846, era stata conseguita grazie ai nuovi metodi di istruzione e propaganda politica, i quali costituivano di per sè un passo avanti sulla strada della democrazia. Nei due decenni di prosperità e di armonia sociale che seguirono, quei metodi restarono pressochè inutilizzati; ritornarono di attualità e divennero l’attrezzatura normale di ambedue i partiti in seguito alle riforme del 1867 e del 1884 che estesero il diritto di voto ad altri milioni di inglesi. L’urto aspro tra proprietari agricoli e industriali tessili, nato dalla controversia pro e contro le Corn Laws, aveva fatto di ciascuna delle due parti la protettrice delle vittime dell’avversario. Gli oratori della Lega declamavano sulle paghe e sulle abitazioni miserabili dei lavoratori agricoli; l’altra parte reagiva descrivendo l’oppressione della manodopera industriale. Fu così che le due categorie, prive ancora del diritto di voto, poterono dare pubblicità all’ingiustizia di cui erano vittime e qualche volta ottennero anche di vederle lenite. Fu in quegli anni di baruffa tra industriali e proprietari che nacquero nel 1842 la legge sulle miniere di Shaftesbury e nel 1847 il Ten Hours Bill per gli operai delle fabbriche. (6) La manodopera agricola ricevette meno attenzioni in quanto era più sparpagliata, mentre gli operai dell’industria erano organizzati nelle Trade Unions e riuniti nelle fabbriche: era meno temibile e d’altra parte era più difficile aiutarla. IL REGIME DI PALMERSTON E DEI WHIGS Con la fine delle controversie intorno alle Corn Laws venne a coincidere l’inizio della grande espansione commerciale e industriale: quell’età d’oro, nel pieno del regno di Vittoria, che sotto un’ondata di prosperità seppellì l’urgenza dei problemi sociali e l’impazienza della parte più sfavorita e indigente della popolazione. La distensione economica si riflettè nella politica. Il periodo dal 1846 al 1866, fu un periodo di governo tranquillo spartito tra i Whigs e i Peelites, in cui dominò la figura del grande favorito popolare, Lord Palmerston. L’attività di Palmerston era idealmente adatta a un periodo di sicurezza esterna ed interna, in cui nessun problema pareva molto urgente, e anche entrare in conflitto con la Russia significava accollarsi dei pesi economici ragionevoli. IL CIVIL SERVICE Gladstone intanto, che stava compiendo la sua lenta evoluzione dalla vecchia mentalità conservatrice a un liberalismo avanzato, era giunto già a vedere come obbligo principale dell’uomo di Stato verso la comunità quello di governarne bene le finanze. Egli stava creando una nuova tradizione nel governo del pubblico tesoro, imperniandola sulla parsimonia e la probità più attenta nello spendere il denaro della nazione. In vari settori dell’amministrazione statale fu questo il periodo in cui maturarono dei sistemi e metodi destinati a rimanere definitivi, e che avrebbero permesso all’amministrazione di reggere sotto il peso delle sue mansioni moltiplicate nell’età moderna. Contemporaneamente si stava sperimentando il sistema degli esami per l’accesso ai pubblici impieghi, sistema che doveva mettere fine al traffico dei posti. Questa preferenza per gli esami come strumento di selezione tra aspiranti agli uffici si era venuta irradiando da Oxford e da Cambridge dove il sistema era venuto in grande favore fin dall’inizio del secolo. Palmerston, nella sua mentalità formata ai tempi della Reggenza, disapprovava di cuore l’idea di abbandonare completamente il sistema delle clientele politiche rimettendo tutto il potere di alimentare i quadri dell’amministrazione a una commissione d’esame. Ma i tempi erano cambiati, c’era nell’aria una diffusa intolleranza dei favoritismi e degli aristocratici inetti che ne beneficiavano. Poco dopo la morte di Palmerston (1870), Gladstone, a cui la questione stava molto a cuore, riuscì finalmente ad imporre il sistema dei pubblici concorsi in quasi tutte le carriere che portavano a Whitehall. Certo una generazione più oculata avrebbe approfittato di questi anni di prosperità eccezionale che si ebbe nel periodo centrale dell’età vittoriana per attrezzarsi in vista del ritorno dei tempi difficili con un sistema legale di previdenza sociale e affidando allo Stato l’istruzione elementare e media. Si fece qualcosa (1847-65) solo nel campo della legislazione sanitaria. Nel complesso, approfittando del fatto che il benessere aveva quasi messo a tacere le voci di protesta, i governanti dei due partiti erano ben lieti di riposare sugli allori; speravano che le ingiustizie reali e gli antagonismi momentaneamente coperti dall’ondata di prosperità non giungessero mai a farsi notare dal Parlamento. Quanto al problema dell’istruzione pubblica, non ci si dimenticava che il principe Alberto era un tedesco e l’educazione popolare era ritenuta largamente un’ubbia da lasciare alla gente industriosa dell’Europa centrale che doveva compensare la mancanza delle doti e dei privilegi britannici: la superiorità del carattere degli inglesi e il loro prestigio nel mondo. Comunque sarebbe stato il colmo della storditaggine politica sollevare il problema dell’educazione: cioè agitare un tema in cui niente si poteva fare che non rendesse furibondi o gli anglicani o i dissidenti. La politica presente dei Whigs (come già al tempo di Walpole) era di non svegliare a nessun costo il cerbero della Chiesa che sonnecchiava legato solidamente alla porta della Camera dei Pari. Alleati com’erano ai conservatori di Peel, i Whigs non potevano nemmeno far nulla per acquietare le proteste dei non-conformisti contro le decime obbligatorie e per la loro esclusione dalle università. Del resto in un mondo così prosperoso e agiato era improbabile che una qualunque categoria di cittadini si sentisse oggetto di torti insopportabili; solo Bright continuava a far sentire un ringhio che forse un giorno o l’altro si sarebbe trasformato in un coro di latrati. Con una situazione interna così tranquilla era naturale che l’interesse del pubblico si concentrasse sulla politica estera. Palmerston era l’uomo fatto apposta per brillare in questo campo, e brillò con un fulgore che nessuno può negare, ma restava e resta ancora da vedere quanto costò questo lustro. Palmerston come Peel era entrato nella vita politica come membro di un governo Tory, al tempo della guerra in Spagna; più tardi era diventato un seguace di Canning e nella sua salda vecchiaia si poteva definire un incrocio di Tory del gruppo di Canning e di aristocratico Whig. Il suo modo di farsi portavoce dello sdegno popolare contro le tirannie europee era quello di Canning e dei Whigs. Era da aristocratico Whig il suo rifiuto di intervenire nelle questioni ecclesiastiche ; e così la sua resistenza alle pressioni della Corte. Mentre in sede di politica interna era contrario a un’ulteriore democratizzazione e in particolare all’estensione del suffragio popolare, non era contrario a un certo controllo dell’opinione pubblica sulla politica estera : come ministro degli Esteri si riteneva responsabile più di fronte al pubblico che di fronte al sovrano o ai suoi colleghi nel governo. Come già Canning, usò appellarsi all’opinione della borghesia per difendere la sua linea in politica estera osteggiata dalla Corte e dal Gabinetto; ma talvolta lo fece con minor ragione e profitto del suo maestro. Palmerston godeva di una grande popolarità nel paese, di una popolarità discreta alla Camera dei Pari, piccola in seno al Gabinetto, nulla a Corte. Il suo ascendente presso il pubblico derivava in parte dall’idea che il «vecchio Pam» era un « gentiluomo » e in parte dalla sostanza della sua politica. La sua condotta come ministro degli Esteri toccava opportunamente due corde nell’animo popolare. Egli esprimeva nel contempo un disprezzo come quello dei liberali per i dispotismi russo, austriaco, napoletano e pontificio, e quella convinzione di un supremo diritto britannico che più tardi si sarebbe chiamata Jingoism. Per adoperare la sua vivace espressione : per Palmerston ogni suddito di Sua Maestà britannica era civis romanus, e—fosse pure un ebreo maltese che trafficava ad Atene — poteva contare sull’appoggio della flotta britannica. Fu questo spirito composito che si espresse in modo particolarmente felice nella solidarietà da lui manifestata con le vittime della tirannide austriaca e russa in Ungheria, in Italia e altrove dopo l’insuccesso dei moti liberali nel ’48. L’atteggiamento che egli prese a nome dei suoi connazionali, sfidando l’ostilità della regina e del principe Alberto, non fu privo di nobiltà e fu tutt’altro che infruttuoso perché rese noto al mondo che la libertà, il principio costituzionale, disponeva di una voce amica nel consesso delle potenze. LA REGINA VITTORIA Il suo conflitto con la Corte fu per Palmerston, amante della vita avventurosa, una fonte costante di soddisfazione e di divertimento; e fu causa di molto cruccio per la regina. Dopo l’ascesa di Vittoria al trono la Corte era diventata l’opposto di quello che era stata sotto Giorgio IV reggente e re. Probabilmente Palmerston aveva una certa nostalgia della Reggenza — benchè non certo del reggente. Al tempo di Giorgio IV nessuno si aspettava di vedere un re, un Pari o un ministro pagare il debito contratto con un mercante o comunque offrire alla povera gente un modello di virtù. Anche nella politica il cambiamento si rivelava profondamente mutato. Giorgio III e Giorgio IV personificavano l’ostilità dei Tories estremisti ad ogni riforma. Ma la regina Vittoria, quando era una giovanotta impressionabile, aveva imparato dal suo mentore, il vecchio Lord Melbourne, qualcosa che non avrebbe mai più dimenticato: cioè che la fortuna della monarchia britannica si sarebbe difesa assai male intrigando contro i ministri e tenendo in scacco le aspirazioni popolari. Da giovane, è vero, Vittoria si era dimostrata troppo parziale a favore dei Whigs; ma in seguito aveva imparato ad apprezzare Peel come meritava. L’influenza del principe Alberto doveva rafforzare la sua simpatia personale per i membri delle altre dinastie europee, le tedesche in particolare; ma in materia di politica interna le sue tendenze liberali furono semmai rafforzate, e certo diventarono più intelligenti, per merito del suo intellettuale Consorte. Ancora la Corona non aveva raggiunto l’importanza che avrebbe ottenuto alla fine del secolo nel sentimento popolare e come elemento della nuova struttura dell’Impero; ma essa si stava già liberando dell’impopolarità acquistata sotto alcuni predecessori della regina Vittoria. Nel suo lunghissimo regno Vittoria seguì sempre con attenzione meticolosa l’attività dei suoi ministri; difese con vigore i suoi punti di vista quando non coincidevano coi loro e spesso li fece anche valere in una certa misura; però una volta messo in chiaro il suo pensiero, se i ministri restavano fermi nel loro essa si guardò sempre dall’interferire. Vi furono casi in cui la regina influì sull’opposizione specie nella Camera dei Pari; e nella seconda metà del suo regno, tornato di scena sotto Gladstone un certo liberalismo militante, ripetutamente l’azione della regina dissipò un’atmosfera critica evitando il conflitto tra le due Camere (1869-84). LA CRIMEA E L’ITALIA I due decenni di vita politica quieta e di clamorosa prosperità al centro del regno di Vittoria furono interrotti dalla guerra di Crimea (1854-56). Erano passati quarant’anni da Waterloo e quindi non era difficile svegliare nella generazione nuova un umore bellicoso. La stampa, che aveva già dei caratteri moderni, specie la parte della stampa più o meno controllata da Palmerston, alimentò quell’umore con notizie ben scelte e commenti adatti ad alimentare l’odio per la Russia. A prima vista possiamo trovare piuttosto arbitraria la scelta della Russia come avversario; ma sia in India che in Europa, negli ultimi anni la potenza russa cominciava a farsi temere. Le potenze confinanti con la Russia, l’Austria e la Prussia, non vedevano affatto in quel momento la necessità di ristabilire un equilibrio delle forze a spese dello Zar. Ma la Francia e la Gran Bretagna si ritennero obbligate a scendere in lizza contro di lui come campioni di alcune cause tra cui quella dell’ «indipendenza germanica». In parte il motivo reale era di natura politica. Austria, Prussia e Russia erano solidali nel voler tenere in vita il principio della Santa Alleanza; e in nome di questo principio di recente erano stati repressi i moti del’48. La Gran Bretagna di Vittoria e la Francia di Napoleone III sostenevano, ciascuna alla sua maniera, un principio più liberale. Il sentimento liberale degli Inglesi era stato oltraggiato dal trattamento della Polonia e dall’aiuto che lo zar reazionario Nicola aveva dato all’Austria nel soffocare la rivolta ungherese del ’49. Ma il pretesto per litigare con la Russia, Palmerston e Russell lo trovarono nella loro solidarietà con la Turchia. Benché la Russia accettasse lo schema dell’Inghilterra per la soluzione del problema turco nella Nota a Vienna del luglio 1853, e fosse la Turchia a respingerlo, tuttavia gli Inglesi si schierarono con la Turchia contro la Russia. Questo tratto di incompetenza diplomatica ridusse il ministero a difendersi in modo molto debole dalle critiche di Bright alla Camera dei Comuni ; ma nel generale entusiasmo per la guerra questo importava poco. A quel tempo gli Inglesi sapevano poco delle condizioni in cui vivevano, anzi della stessa esistenza di nuclei cristiani oppressi nei Balcani. Perciò non facemmo nemmeno delle proposte che fossero intese a creare una libera Bulgaria e una libera Serbia e così frenare l’espansione russa (che era la ragione per cui Canning aveva ottenuto l’indipendenza della Grecia). Si ragionò come se l’Impero turco fosse la sola possibile barriera alle mire russe. Lo zar Nicola era considerato, non a torto, il principale paladino della reazione europea fuori dei Balcani. Insomma l’entusiasmo inglese per la guerra di Crimea era fondato su quella mescolanza di liberalismo e di Jingoism che le circostanze del momento alimentavano facilmente e che si trovava incarnata in Palmerston. Tuttavia questa guerra non fu combattuta come una guerra di liberazione, o non si sarebbe invitata l’Austria a partecipare all’alleanza anglo-francese. Solo quando l’Austria ebbe rifiutato, si accettò in suo luogo la partecipazione del piccolo Piemonte di Cavour. La sostituzione del Piemonte all’Austria nell’impresa di Crimea ebbe poi l’effetto di accelerare la liberazione dell’Italia; ma i paesi che ebbero l’iniziativa della guerra allora non pensarono affatto a tale conseguenza. Fra i buoni risultati della guerra di Crimea è da includere l’incoraggiamento che essa diede all’amicizia fra I’Inghilterra e la Francia di Napoleone III, in un periodo in cui la Francia tendeva a rimettersi sul sentiero di guerra e gli Inglesi non erano inclini ad ammettere una nuova era di conquiste napoleoniche. L’uomo singolare che con tanta abilità era salito sul trono di Francia non aveva studiato inutilmente le vicende di suo zio. Aveva capito che per la Francia sarebbe sempre stato rovinoso avere per avversari il dispotismo orientale e la potenza inglese. Perciò aspirava ardentemente all’amicizia britannica. Palmerston fu il primo a credere nella sua sincerità, ma la maggioranza degli Inglesi ne diffidava. E per un certo tempo l’alleanza con Napoleone contro la Russia fornì agli occhi inglesi un’assicurazione contro il pericolo di una guerra con la Francia. L’andamento della guerra in Crimea non tardò a dimostrare la bontà dell’addestramento militare e delle tradizioni militari inglesi, la totale incapacità dei generali, la mancanza di organizzazione dell’esercito, l’insufficienza dei servizi, in particolare di quello medico. A meno di dieci chilometri dalla nostra flotta ancorata nel porto di Balaclava i soldati inglesi morivano di fame e di malattie perché i rifornimenti non giungevano. Le recluto non addestrate che furono spedite a sostituire le magnifiche truppe distrutte da questo disservizio, fallirono l’assedio del ridotto di Sebastopoli e con ciò diminuirono sensibilmente agli occhi dell’Europa il prestigio ottenuto dall’esercito inglese l’anno prima (settembre, novembre 1854) con le vittorie dell’Alma e di Inkerman. È pacifico che a quel tempo l’organizzazione militare era disastrosa, in netto contrasto con l’efficienza industriale e commerciale inglese. Era un frutto dell’oscurantismo delle Guardie a cavallo e del Ministero della Guerra dove fino allora non si era fatto il minimo caso all’opinione pubblica che reclamava la riforma dell’esercito. Il vecchio sistema elettorale, il sistema delle amministrazioni locali, le università, la Chiesa anglicana, l’amministrazione dello Stato, in vari gradi erano stati costretti ad evolversi sotto la pressione dell’opinione pubblica; ma nel lungo periodo di pace seguito a Waterloo la nazione si era abituata a non incaricarsi delle condizioni dell’esercito finché esso pesava poco sul bilancio. Poi di punto in bianco, in un accesso di spiriti guerrieri, John Bull si era ricordato di possedere una scarsa schiera di eroi in divisa rossa e li aveva mandati a battersi coi Russi, sicuro di vederli vincere come avevano vinto in Spagna. Senonchè dell’armata di Wellington non rimanevano più che lo spirito e i vecchi moschetti Brown-Bess di cui parte della truppa era ancora dotata. Le vicende della guerra di Crimea produssero un’ondata di sdegno contro i generali e contro il Ministero della Guerra; ma appena finita quella guerra si ripiombò nell’indifferenza di prima. La riforma dell’esercito fu messa in disparte per almeno un’altra dozzina d’anni: fino a quando Cardwell diventò ministro della Guerra nel primo governo Gladstone del 1868. I riflessi della guerra di Crimea sulla vita politica inglese non furono notevoli. Per qualche tempo vi fu una diffusa ostilità per Cobden e Bright perchè avevano contestato l’opportunità di quella guerra. Però numerosi altri uomini di tinta radicale l’avevano favorita calorosamente. Tutto sommato fu piuttosto la classe dirigente aristocratica a rimetterci di prestigio per il modo inetto con cui era stata condotta la guerra. Intanto William Russell, inviato del Times, aveva creato la nuova figura professionale del corrispondente di guerra costringendo i generali che dirigevano le operazioni sul campo a subire delle critiche dirette ed esplicite come non ne aveva mai subite nessun militare inglese e come nessun militare le doveva subire in futuro. È vero che le sue corrispondenze al Times avevano rivelato al nemico un segreto militare: quello delle condizioni spaventose in cui erano ridotte le truppe britanniche di fronte a Sebastopoli; ma la pubblicità data a quello stato di cose era giovata in maniera incomparabile a svegliare l’opinione pubblica e a costringere il Parlamento ad agire prima che fosse troppo tardi. Molto opportunamente Lord Palmerston era diventato Primo Ministro nel momento della piena crisi, sostituendo Lord Aberdeen che non era mai stato favorevole alla guerra. Le venticinquemila esistenze (7) sacrificate in Crimea permisero di salvarne molte di più in seguito. In certo senso, il vero eroe della guerra di Crimea fu Florence Nightingale. L’esito principale di quella guerra fu la creazione di un sistema sanitario moderno sia militare che civile; e in coincidenza con questo, un’idea nuova dell’utilità, del posto che meritava nel quadro sociale la donna istruita ed evoluta. A sua volta questo progresso causò negli anni intorno al 1870 il movimento promosso da John Stuart Mill per l’estensione del suffragio alle donne — movimento che ebbe l’appoggio di Florence Nightigale — e fece nascere delle scuole superiori femminili e produsse un miglioramento delle scuole femminili in genere: finalmente si faceva qualche cosa per l’educazione, fino allora del tutto trascurata, di metà della nazione britannica. Dalle nostre trincee gelate e insanguinate di fronte a Sebastopoli e dagli orrori dei primi ospedali militari a Scutari era nata una concezione più umana dei diritti individuali del soldato; e ne erano nate diverse altre cose che a prima vista parrebbero senza rapporto con la guerra e coi patimenti dei nostri eroi barbuti sul gelido altipiano. Il settore dove la politica estera britannica fu più felice, nell’età vittoriana, fu senza dubbio l’Italia. Senza provocare nè rischiare di provocare una guerra, superando l’opposizione delle altre potenze europee, la Gran Bretagna col solo mezzo di un’azione diplomatica regolare e che rispondeva al sentimento deciso della nazione collaborò alla nascita di un nuovo Stato mediterraneo indipendente, destinato a pesare sulla bilancia internazionale. Venne così liberato il corpo dell’Europa da una piaga infetta. Fin dall’origine il nuovo Stato fu legato all’Inghilterra da un’amicizia che doveva avere notevoli riflessi politici in più circostanze e particolarmente nella Grande Guerra dove l’Italia entrò al nostro fianco. Nel 1848 Palmerston era ministro degli Esteri. Sulla questione dell’indipendenza italiana le opinioni in Gran Bretagna era divise press’a poco a seconda dell’appartenenza a questo o quel partito politico. Palmerston, favorevole alla causa italiana, sperava di indurre l’Austria a ritirarsi dalla pianura lombarda facendo appello alla visione del suo stesso interesse ultimo. Ma in quell’anno di rivoluzioni Palmerston poteva far poco di concreto per le aspirazioni italiane: come ministro britannico il suo primo obiettivo doveva essere di evitare una guerra europea e in special modo di evitare che la Francia attaccando l’Austria si trovasse indotta a dare inizio a una nuova era di conquiste e di militarismo. Ma, come poi i fatti mostrarono, solo un conflitto fra la Francia e l’Austria poteva avviare l’Italia sulla strada dell’indipendenza. Fu nel momento in cui la questione italiana si faceva acuta, nell’estate del 1859, che Palmerston formò il suo secondo governo destinato a durare fino alla sua morte nel 1865. Nel nuovo governo Russell era ministro degli Esteri e Gladstone come Cancelliere dello Scacchiere occupava il terzo dei tre posti chiave nel Gabinetto. Se le loro viste differivano su altri punti, sull’Italia erano tutti e tre concordi; e per buona combinazione ciascuno dei « triumviri » conosceva a fondo la situazione italiana mentre era notevolmente all’oscuro dell’America, della Germania e del vicino Oriente. Così essi poterono agire con energia e buon senso, e con ottimo risultato, di fronte alla crisi decisiva del 1859-60. A differenza dal 1848, ora l’Inghilterra aveva in mano la chiave del problema italiano. Gli sforzi del governo precedente di Lord Derby non avevano impedito che nel ’59 Napoleone III si alleasse col Piemonte di Cavour ed entrasse in guerra con l’Austria. Lo scopo dell’imperatore era di eliminare l’influenza austriaca in Italia per sostituirvi un’influenza francese meno opprimente e avvilente per la nazione italiana, che Napoleone aveva in sincera simpatia. La sua intenzione non era di dar vita a un’Italia unitaria, ma a un certo numero di Stati italiani su cui egli contava di esercitare il suo controllo. Cavour, d’altra parte, si servì di Napoleone per far sloggiare gli Austriaci contando poi di dare a un’Italia libera quel nuovo assetto che la rendesse completamente autonoma. Era il più astuto dei due, e vinse la partita, ma difficilmente l’avrebbe spuntata senza l’appoggio inglese. La Russia e la Prussia erano solidali con l’Austria che non voleva l’indipendenza italiana sotto alcuna forma. Ma dopo la guerra di Crimea la Russia non era più forte quanto prima, nè così ben disposta verso l’Austria. Nella situazione complessa che si era formata, l’Inghilterra, prendendo le difese della causa dell’indipendenza e dell’unità italiana ancora più apertamente e calorosamente della Francia, permise a Cavour di affrettare i tempi. Alla liberazione della Sicilia da parte di Garibaldi seguì nel ’60 il crollo della monarchia reazionaria napoletana e la liberazione di gran parte dell’Italia centrale dal dominio della Chiesa, a cui Napoleone dovette consentire suo malgrado: non potendo evidentemente tollerare che l’Austria riprendesse le regioni perdute, l’imperatore di Francia d’altra parte non era in grado di opporsi alla corrente nazionale italiana che premeva vesso l’unificazione sotto la dinastia piemontese dal momento che essa aveva l’appoggio diplomatico del governo inglese, e l’incoraggiamento entusiastico del popolo inglese. Ma l’età di Russell e di Palmerston si chiuse con un episodio meno fortunato per la politica britannica nel Continente. Covava da tempo una disputa tra la Danimarca e gli Stati tedeschi che confinavano con la Danimarca, a proposito di quelle province dello Schleswig-Holstein da dove quattordici secoli prima era emigrato il nucleo della futura nazione inglese. (8) C’erano delle ragioni e dei torti dalle due parti, e i buoni uffici di un terzo paese amichevole e sinceramente bene intenzionato avrebbero forse approdato a qualcosa. Palmerston e Russell preferirono assumere un atteggiamento spavaldo ; si schierarono a favore della «piccola Danimarca» con dichiarazioni a cui, quando Bismarck volle « vedere » le loro carte, non poterono far seguire i fatti. Palmerston aveva dichiarato che se qualcuno osava aggredire la Danimarca « non avrebbe avuto da fare i conti solo coi Danesi ». Tuttavia quando la guerra scoppiò, la Danimarca si trovò sola: l’esercito britannico, che dopo la guerra di Crimea avevamo trascurato di mettere a punto con le riforme necessarie, non poteva certo scendere in campo contro le forze coalizzate della Prussia, dell’Austria e in sostanza di tutta la Germania. Il famoso movimento dei Volontari, nato nel tratto di mezzo dell’età vittoriana, aveva ancora per scopo la difesa territoriale. E non potevamo contare sull’aiuto della Francia o della Russia perché il nostro comportamento diplomatico in altri settori ce le aveva alienate. Perciò l’era di Palmerston si chiude con uno smacco umiliante. L’episodio dello Schleswig-Holstein era assai più importante che non si potesse capire allora: perché solo con la vittoria sull’Austria nel ’66 e sulla Francia nel ’70 la potenza del moderno strumento militare in mano alla monarchia prussiana si sarebbe rivelata in pieno. Le eleganti e popolari evoluzioni diplomatiche di Palmerston avevano fatto il loro tempo. Il loro impiego ulteriore sarebbe stato pericoloso, nell’età terribile che stava nascendo : quando cioè le nazioni conscie della loro individualità stavano imparando a prepararsi per la guerra con tutte le risorse prodigiose della scienza moderna e dei moderni mezzi di trasporto. PROSPERITÀ E DISTENSIONE SOCIALE Il fatto che dei « due vecchi caporioni » Palmerston morì per primo, ebbe effetti importanti nelle vicende politiche che seguirono. Russell, ora Earl Russell, rimase a capo del partito liberale Whig. Malgrado un tempo lo avessero soprannominato finality John, (9) da parecchio egli era favorevole a una nuova estensione del diritto di voto, e in genere intendeva portare il suo partito fuori del liberalismo aristocratico, verso un’impostazione liberal-democratica. Se fosse sopravvissuto a Russell, Palmerston si sarebbe opposto a una simile evoluzione e probabilmente si sarebbe staccato da Gladstone che era il suo perfetto rovescio sia per temperamento sia per idee politiche. Russell, ormai troppo vecchio per avere una funzione direttiva in un tempo di profonde trasformazioni, diventò Primo Ministro ma lasciò che di fatto la guida del partito fosse assunta da Gladstone che aveva raggiunto il momento di maggior vigore. Diventato così nel 1866 il nocchiero della vita pubblica, Gladstone si alleò a John Bright che era alla testa del movimento per l’estensione del diritto di voto agli artigiani delle città e alla piccola borghesia. Sul piano politico la forza del movimento operaio derivava, durante questo decennio, dalla sua alleanza coi radicali di estrazione borghese: alleanza basata sul fatto che tutt’e due le categorie erano prive del diritto di voto. Un effetto del benessere raggiunto in quegli anni era stato di spegnere quella coscienza di classe che aveva animato il primo movimento cartista. (10) Di questo movimento Bright era il capo, e ne era il portavoce alla Camera dei Comuni. La causa che egli rappresentava, e lui individualmente, avevano accresciuto ultimamente il loro prestigio grazie alla correttezza del suo giudizio sulla guerra civile americana: Bright era stato il paladino vigoroso quanto bene informato della causa dei nordisti. Gran parte degli uomini di Stato Whig e conservatori si erano pronunciati più o meno a favore dei sudisti. Finché era durata quella guerra (1861-65) l’opinione pubblica inglese era rimasta divisa tra i due campi, secondo l’orientamento di ciascuno in senso democratico o aristocratico e pro o contro un’estensione del diritto di suffragio in Gran Bretagna. La vittoria era andata a Lincoln e alla democrazia degli Stati del Nord, e questo fatto doveva avere in Inghilterra delle ripercussioni difficili da misurare ma certo rilevanti. Gladstone, facendo eccezione alla regola, si era schierato decisamente coi sudisti, benché negli affari interni fosse per una rapida democratizzazione. La sua alleanza con Bright, avvenuta dopo la morte di Palmerston e la fine della guerra civile americana, fece della questione di una nuova estensione del suffragio popolare il tema più importante della politica interna inglese. (11) LE AGITAZIONI PER I DIRITTI POLITICI IL SECONDO REFORM BILL DEL 1867 Il secondo Reform Bill fu varato in modo molto diverso dal primo. E la diversità tra i due episodi indicava a che punto, negli ultimi trentacinque anni, la classe conservatrice che dominava il paese si era venuta abituando a considerare le innovazioni come naturali nella vita politica del paese e non più come fatali alla sua sopravvivenza. Si è tentati a pensare che la dottrina dell’« evoluzione » di Darwin, allora tanto avversata, era già entrata nella nostra coscienza politica. L’episodio però fu contrassegnato da vivaci lotte. Il progetto di estensione del diritto di voto alla classe lavoratrice presentato da Gladstone nel 1866 era molto blando. Però i membri Whig-liberali che costituivano la maggioranza ai Comuni, avevano ricevuto il loro mandato l’anno prima per appoggiare Palmerston, non per dare il voto ai lavoratori. Un gruppo di Whigs scontenti (Bright disse che erano i « fuggiaschi nella caverna di Adullam ») (12) guidati dall’eloquente ma imprudente Robert Lowe, si associarono a Disraeli e ai conservatori per sconfiggere quel modesto campioncino di riforma. Era una cattiva tattica anche dal punto di vista dei loro interessi; e per di più Lowe ebbe l’idea di dichiarare esplicitamente che la sua opposizione alla riforma era basata sulla considerazione dell’inferiorità morale e intellettuale della classe lavoratrice in confronto con la bourgeoisie. La sua incauta incursione in questo tema senza dubbio interessante mise su tutte le furie il ceto preso di mira; e l’agitazione popolare per la riforma salì a una violenza minacciosa. Nei grandi centri industriali le Trade Unions, fianco a fianco con la borghesia, fecero delle grandiose dimostrazioni di massa (in cui vennero arringate da Bright), tanto più notevoli in un’epoca in cui i comizi politici erano una rarità. Bocciato ai Comuni il progetto di Gladstone, il governo liberale si dimise. Senza che la Camera fosse sciolta, si insediò un nuovo governo conservatore con Lord Derby Primo Ministro. Disraeli, come Cancelliere dello Scacchiere, prese le redini dei Comuni e dello stesso Gabinetto come aveva fatto il suo rivale Gladstone nel governo di Lord Russell alcune settimane prima. Ora Disraeli, quando non lasciava divagare consciamente la sua fantasia orientale, aveva l’occhio pronto a cogliere le circostanze reali di una situazione. Seppe valutare lo stato d’animo del paese e capire che occorreva acquietarlo con qualche concessione. Egli provava, inoltre, per la classe operaia una simpatia ben maggiore di quella di Lowe; e in astratto si era anche espresso qualche volta in modo lusinghiero per il lavoratore privo del diritto di voto paragonandolo al suo padrone che magari sciupava il suo voto dandolo a un candidato Whig. È vero che poco prima Disraeli aveva bollato la proposta di estendere il diritto di voto fatta da Gladstone come un prodotto della « dottrina di Tom Paine »; ma, fosse di Tom Faine o di un altro, ora egli si rendeva conto che era ormai tempo di tradurre quell’idea in fatto. Del resto Disraeli non aveva altro modo di far fronte alla situazione parlamentare; infatti il governo conservatore non si reggeva su una propria maggioranza e aveva bisogno dei liberali, di cui gran parte erano stufi di veder negata al paese anche una lieve estensione del diritto di voto. Fuori del Parlamento gli umori erano bollenti. La regina Vittoria consigliava di « sistemare » la questione. Lord Derby (che quando era ancora il giovane Edward Stanley, il «Rupert of Debate», (13) aveva svolto una parte di primo piano nel preparare il varo del primo Reform Bill) ora era pronto a « mangiarsi i Whigs » facendo quello che egli chiamava « un salto nel buio ». Con molta abilità Disraeli chiuse il dibattito e ridiede la tranquillità al paese facendo votare una legge che, nella sua veste definitiva, era molto più avanzata di quella che l’anno prima gli « Adullamites » e i conservatori avevano bocciata perché troppo progressista. I braccianti agricoli e i minatori nelle circoscrizioni rurali erano ancora privi del diritto di voto, ma almeno in questo secondo Reform Act era stabilito il principio del voto per ogni lavoratore non salariato nei centri urbani. Essendo presentata da un governo conservatore la legge passò liscia anche alla Camera dei Pari. Lord Cranborne, destinato a diventare famoso come Lord Salisbury, fu uno di coloro che videro nella transazione da cui usciva il nuovo Reform Act uno sfacciato tradimento dei principi del partito. Ma forse si trattava solo di un effetto del buon senso che si faceva strada. Comunque non c’era nessuno nella vita politica del momento che sapesse trattare Disraeli come questi aveva trattato Peel in un momento simile. Accettando quel notevole mutamento senza rompere la sua compagine, il partito conservatore si preparava a mantenere una funzione importante nel mondo democratico a venire. Ma lì per lì ad avvantaggiarsene nelle elezioni generali del 1868 furono Gladstone e il partito liberale. Essi si presentavano al paese con un programma di riforme mature da gran tempo. Solo una volta attuate queste riforme poteva venire la vera, grande età del conservatorismo britannico. NOTE 1 O’Connell, che detestava Peel (e aveva le sue ‘buone ragioni), disse che il suo sorriso pareva un vassoio d’argento posto sopra un feretro. Peel, che era un timido, veniva preso per freddo e altezzoso e questo fatto, isolandolo dalla gran parte dei suoi compagni di partito, contribuì in qualche modo nel farlo ripudiare da loro nel 1846. I colleghi nel governo che lo conoscevano meno superficialmente lo difesero e diventarono Peelites. Anche la regina Vittoria prima lo aveva in antipatia e cambiò sentimento quando lo conobbe meglio 2 V. pp. 694-696. 3 V. pp. 736-737. 4 Robert Owen mirava a distogliere la classe operaia dall’agitazione politica per concentrarne le energie in un’azione economica di natura semi-rivoluzionaria e per avviarla al socialismo. Ad Owen, che in partenza era semplicemente un industriale dalla mentalità autocratica e interessato solo a organizzare la vita dei suoi dipendenti per il loro bene, non importò mai nulla del suffragio universale. Ma come nel caso di Bentham, fu la realtà a convincerlo alla fine che la società non poteva essere riformata dall’alto. 5 Con un tratto caratteristico Wellington appoggiò Peel nel suo volte-face non perché fosse d’accordo nella sostanza, ma perché credeva in Peel come ministro. Il suo commento rassegnato fu: « Ci volevano le patate marce per terrorizzarlo. » 6 Il Ten Hours Bill stabiliva un massimo quotidiano di dieci ore per i giovani e per le donne; ma in pratica, per la necessità di coordinare il lavoro nei reparti, il limite si trovò esteso a tutti gli operai. Fu questa la legge osteggiata da Bright, il quale non si oppose mai a misure legislative per la protezione dei bambini dallo sfruttamento nell’industria (come si sente spesso affermare erroneamente). Sul Ten Hours Bill vi furono discordie sia in seno al partito conservatore sia tra i Whigs. Quanto alla protezione degli inferiori ai tredici anni nell’industria, essa era già stata istituita con una legge del 1853 sotto un governo Whig: la stessa legge che dava vigore a un nuovo importantissimo principio stabilendo che l’esecuzione della legge sarebbe stata controllata da ispettori governativi. Sul tema complessivo v. HUTCHINS e HARRISON, Hisfory of Factory Legislation, e HAMMOND, Shaftesbury, 7 Secondo Florence Nightingale, di queste 25.000 vite sacrificate 16.000 erano da imputare all’inefficienza dei servizi di retrovia. Un effetto della sua opera fu di ridurre il tasso di mortalità negli ospedali militari di Scutari dal 42 per cento al 22 per mille. 8 V. pp. 34-36 e pp. 45-47. 9 John Russell, dopo essere stato forse il principale promotore del Reform Bill del 1832, aveva dichiarato che quella legge era una finality cioè che non si sarebbe più andati oltre. Ciò non gli impedì di patrocinare le ulteriori estensioni del diritto di voto nel 1854, nel ’60 e nel ’68. (n.d.t.) 10 V. pp. 729-732. 11 V. pp. 754-757 sull’Inghilterra e la guerra civile americana. 12 Cioè i seguaci, scontenti di Saul (I Sam. XXII, 1, 2). (n.d.t) 13 Così il futuro 14° Conte di Derby era definito da Lord Lytton in un verso del New Timon, per la vigoria polemica con cui aveva condotto i suoi dibattiti con Daniel O’Connell alcuni anni prima del Reform Bill. Il principe Rupert (1619-82), nipote di Giacomo I, comandava la Cavalleria dei Royalists nella guerra civile, (n.d.t.) BIBLIOGRAFIA Queen Victoria’s Letters, 5 voll.; SPENCER WALPOLE, History of England, voll. IV-VI; THURSFIELD, Peel; KITSON CLARK, Peel; DISRAELI, Lord George Bentick; STRACHEY, Queen Victoria; BUCKLE, Disraeli, 6 voll.; MORLEY, Gladstone, 2 voll. e Cobden, 2 voll.; COOK, Florence Nightingale, 2 voll.; TREVELYAN, Bright; HAMMOND, Staftesbury; COLE, Robert Owen e Working Class Movement; HALÉVY, Histoire du Peuple Anglais, vol. III 1830-41); ARTHUR BRYANT, English Saga.