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 2012  luglio 10 Martedì calendario

L´INQUISIZIONE INESISTENTE


In via Solferino dei chierici curano anime moderate. A parte lo stile, stavolta il sermone (Ernesto Galli della Loggia, Corriere della Sera, 3 luglio) è arabesco psicologico, tra Flaubert, Proust, Virginia Woolf, in atmosfere da Carolina Invernizio: «Lo stato d´animo d´un ex ministro»; e dentro c´è rude politica. Prendiamola con le molle. N. M., possibile testimone su foschi retroscena, risponde al pubblico ministero: colloqui intercettati segnalano «inquietudine angosciosa»; teme d´essere vittima d´un «teorema» o «partito preso», che da testimone lo convertano in imputato, donde «lo smarrimento». Le frasi tra virgolette dicono poco: cosa cercano costoro? (era chiaro, se gli constino negoziati Stato-mafia); sono passati vent´anni; in che paese viviamo? (quesito pertinente); «perché devo essere messo in un angolo?» (tema irrilevante). Insomma, è turbato: non che sia reticente, assicura l´introspettore, forte dei lumi intuitivi (spesso nei romanzi la voce narrante legge pensieri e sentimenti): era atterrito dai «meccanismi inquirenti della macchina giudiziaria italiana»; tanta fiducia ispirano i tribunali, quanto panico seminano le procure.
L´incubo parrebbe modellato sul romanzo kafkiano, ma N. M. non siede sullo sgabello nella posa tremebonda dell´inquisito davanti al basilisco inquisitore (vedilo in Philip a Limborch, The History of the Inquisition, Gray, London 1731, 242-43 f.t.) né subisce anacronistiche coazioni a confessare (un missionario della stessa scuola, però, quasi gemello, ammetteva la tortura nella lotta al terrorismo, giustificata dal cosiddetto stato d´eccezione, pro servanda re publica). L´uomo in questione è catafratto dalla lunga e cospicua carriera. Era seconda carica dello Stato, ministro degl´Interni, candidabile al Quirinale, vicepresidente del Csm. Ecco il punto: sa con quali «profonde distorsioni» lavorino quei meccanismi, sotto pulsioni «inconfessate e inconfessabili»; al posto suo chiunque avrebbe paura; perciò chiede aiuto al Quirinale. Lo stesso «pavor iudiciarius» taglia le gambe alle Camere, dissimulato nel centrosinistra: pour cause; nessuno vuol svelarsi nemico della magistratura, quindi berlusconiano, secondo «una delle più malefiche proprietà transitive». Al culmine della trance omiletica erompe l´appello alle toghe good natured: aprano gli occhi; la «cosiddetta cultura della legalità» è «autoinganno dettato dalla paura».
Abbiamo ricapitolato l´essenziale: bell´esempio d´una furba patologia verbale; il contraddittore spende fatiche inutili, come sferrasse sciabolate nell´aria; siccome siamo fuori del repertorio logico (pianto, biasimi, sdegno, aborrimento, pugni sul tavolo, anatemi, smorfie), non è roba confutabile. Guardiamo piuttosto nel fondo pratico: l´audience credula rimane senza fiato davanti alla giustizia italiana inquinata dalla peste requirente (pubblici ministeri maligni e loschi); esiste rimedio? L´oratore l´aveva indicato varie volte: «carriere separate», nel senso più o meno sottinteso che comandi le vie del processo un apparato diretto dal ministro (in procedura d´Arcore, «avvocati d´accusa»); e cada il feticcio dell´obbligo d´agire; de facto erano scelte discrezionali, tanto vale dirlo. Casi minuscoli o anche importanti sono liquidabili sine strepitu: N. M. non sarebbe perseguitato da belve in toga quaerentes quem devorent; ragioni di Stato raccomandano usi discreti della leva penale. Quanto alla cosiddetta criminalità economica, siamo sicuri che non sia l´effetto efflorescente d´una economia in pieno sviluppo? La mafia esiste, prendiamone atto distinguendo le schiume sanguinose da ormai incivilite strutture economiche. Se l´avvocato Cesare Previti fosse guardasigilli (così voleva vestirlo Dominus appena issatosi a palazzo Chigi), non nascerebbero mai i processi nei quali sarà condannato perché comprava sentenze, essendovi fortunosamente prosciolto grazie a dei cavilli il beneficiario della baratteria. I riformisti salmodiavano «carriere separate» ma l´obiettivo era e rimane un pubblico ministero inquadrato nell´esecutivo. Après de quoi, chi governa ha mano libera: garantisce l´impunità dei suoi; quando voglia, scatena i mastini contro l´avversario politico. Per chi non lo sapesse, l´immunità parlamentare more antiquo difendeva gli oppositori dalle soperchierie sovrane.
Notiziari, editoriali, commenti officiano una cura d´anime politica nella quale i fatti pesano relativamente poco (ad esempio, i mercati, lo spread, recessione, debito pubblico, una corruzione che divora sessanta miliardi l´anno): fanno più sensazione mirabilia e bestie nere, fantasmi evocati dallo stregone; negli ultimi vent´anni abbiamo visto che gioco facile sia. Stavolta qualche lettore può contrarre la paura d´un male oscuro annidato nelle procure: era il motivo d´una sordida retorica berlusconiana (dagli «assassini della Uno bianca» al cancro); servito al pubblico sotto insegna rispettabile, penetra meglio. Materia fluida, muta nell´attualità quotidiana. L´indomani, 4 luglio, lo stesso pulpito comunica un´assai tardiva scoperta, che l´establishment forzaitaliota e annessi sia tanto diverso dall´austera destra storica (la impersona l´attuale premier, estraneo alla rissa partitocratica), e in questa differenza, stupendosene, vede una «strabiliante anomalia», quasi non l´avessimo sotto gli occhi da 18 anni: bastava guardare le persone e da dove venissero; allora però i chierici cantavano laudi della «moderna democrazia liberale», mentre gli occupanti istupidivano e tosavano l´Italia, dandole a intendere d´essere fortunata, bella, ricca. L´allegria carnevalesca finisce in cenere. Analisi virtuali ammettono vari possibili quadri, dal moderatamente lieto al funesto, ma nemmeno le Parche sanno cos´avverrà prima che dalle urne esca la XVII legislatura: grava sul futuro l´incognita delle masse elettorali disgustate, indifferenti o indecise; ed è ancora wishful thinking qualche novità cromosomica nell´inamovibile classe politica.