Salvatore Padula, Il Sole 24 Ore 10/7/2012, 10 luglio 2012
ITALIA CAMPIONE D’EUROPA DEL CARICO FISCALE
Campioni d’Europa. Anzi, quasi campioni del mondo. Il presidente della Bce, Mario Draghi, riporta l’attenzione sul tema dell’eccessivo peso delle tasse. E, non c’è dubbio, che sul banco degli imputati ci debba necessariamente finire l’Italia. I dati, d’altra parte, sono impietosi. Che a stimare la pressione sia l’Ocse piuttosto che la Ue, il nostro Paese veleggia sempre tra le primissime posizioni. Il primato è addirittura incontrastato se si prende come parametro il Total tax rate - vale a dire il carico fiscale, contributivo e amministrativo per una impresa medio-piccola, calcolato ogni anno nel rapporto Paying Taxes di Pwc -. Nel 2011, l’Italia si è classificata al 170° posto su 186 Paesi osservati, con un tax rate del 68,5 per cento. Se si esclude la Francia (65,7%), tra l’altro alle prese in questi giorni con nuovi aumenti di tassazione sia sulle imprese sia sui redditi personali particolarmente elevati, tutti gli altri partner europei si collocano a una distanza rilevante, quando non abissale: la Germania è al 46,7%, la Spagna al 38,7, il Regno Unito al 37,3%, per tacere dell’Irlanda che, con il suo 26,3%, sta meno della metà rispetto a noi.
Solo poche settimane fa, lo stesso richiamo alla necessità di ridurre il peso del prelievo è giunto anche dal governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco. Anche in questo caso, la fotografia scattata nella sua prima Relazione annuale appare inquietante. In Italia, nel 2011, la pressione fiscale è stata superiore di 2,3 punti percentuali rispetto a quella media degli altri paesi dell’area dell’euro. Non solo: da noi, il trend indica una crescita di 1,5 punti nell’ultimo decennio, proprio quando in Europa succedeva l’esatto contrario: nello stesso periodo, la pressione fiscale si è ridotta in Germania (-0,4) e in Spagna (-1,9), ed è rimasta sostanzialmente stabile sia in Francia sia nel Regno Unito.
Anche sul cuneo fiscale, calcolato dall’Ocse, l’Italia non se la passa proprio bene: il nostro indicatore, nel 2011, è stato pari al 47,6% del costo del lavoro (dipendente senza carichi di famiglia), più elevato di 5,5 punti rispetto a quello medio degli altri paesi europei, ma inferiore a quello di Germania (49,8), Francia (49,4) e Austria (48,4). La situazione, però, cambia per il lavoratore con carichi di famiglia: in questo caso, infatti, solo Francia e Belgio fanno peggio del 38,6% registrato in Italia.
Fin qui il passato, anche recente. Ma il futuro, se non ci sarà una vera inversione di rotta, rischia di essere ancora più amaro, con una progressione inarrestabile della pressione fiscale: dal 45,1% di quest’anno, dovremmo passare al 45,4 del 2013, con una piccolissima frenata al 45,3 del 2014 (stime del Def di aprile).
Invertire la rotta, si diceva. E facendolo con coraggio. A partire dal principio che il recupero di evasione deve essere "reinvestito" in un’operazione di equità finalizzata a limare un prelievo decisamente eccessivo. Lo stesso vale per i tagli di spesa, finanche per il riordino delle agevolazioni e degli incentivi. Consapevoli che il fisco italiano ha certamente un problema di "quantità" del prelievo. Ma che non si può ignorare il versante della "qualità" del prelievo, sia in termini di semplificazione sia di forme di tassazione che siano compatibili con percorsi di rafforzamento e di crescita delle imprese, dell’economia.
La nuova delega fiscale apre qualche spiraglio in questa direzione. Sappiamo, però, che difficilmente questo progetto potrà vedere la luce prima della fine della legislatura, almeno senza un ulteriore impegno esplicito per la sua approvazione da parte del Governo. Sarebbe una scelta di buon senso. E anche il primo segnale per raccogliere in modo positivo l’invito di Draghi e Visco.