LUCA FORNOVO, La Stampa 10/7/2012, 10 luglio 2012
Piazza Affari, l’invasione dei Fondi sovrani - Ormai Piazza Affari ne è invasa, più di una società quotata su tre (il 36% per la precisione) ha come azionista un fondo sovrano
Piazza Affari, l’invasione dei Fondi sovrani - Ormai Piazza Affari ne è invasa, più di una società quotata su tre (il 36% per la precisione) ha come azionista un fondo sovrano. La percentuale scende al 25% alla Borsa di Londra e al 17-19% delle società presenti sui listini di Francoforte e Parigi. In Italia il più attivo è quello della Norvegia, il Government Pension Fund, le cui partecipazioni sotto il 2% spaziano dalle assicurazioni Generali a Telecom. Mentre il colosso bancario Unicredit è una delle società di Piazza Affari con la maggiore presenza: sia il fondo di Abu Dhabi, Aabar, che i libici attraverso la Lia (ex braccio finanziario del colonnello Gheddafi) e la Banca centrale di Tripoli. Un caso emblematico quello di Unicredit che più di una volta ha suscitato i timori di una possibile scalata da parte di questi fondi sovrani. Ma allora è giusto considerali una minaccia o sono un’opportunità? La fotografia scatta da una pubblicazione del centro studi Consob mette bene in evidenza le luci e le ombre. Da una parte danno liquidità ai mercati e sostegno alle società ma spesso sono poco trasparenti e non fanno sapere come investono i loro soldi e se prendono il controllo dei gruppi considerati strategici per l’economia di un Paese allora ora forse è meglio fermarli. In tutto il pianeta a fine 2011 gestivano asset per circa 4.600 miliardi di dollari, circa il 6% del Pil mondiale. Il loro sviluppo è un fenomeno relativamente recente: la maggior parte (il 67%) ha visto la luce dopo il 2000. Complessivamente nelle Borse dei quattro principali Paesi europei citati, possiedono una soglia tra il 2% e il 3% della capitalizzazione della Borsa. E nel mirino ci sono soprattutto società del settore finanziario. Basti pensare che nel 2010 il 40% circa del valore degli investimenti azionari era concentrato in questo comparto. Seguono auto, infrastrutture e industria di lusso, oltre che energia e utility. Tra i più presenti in Italia, si è detto, c’è il fondo sovrano della Norvegia che, secondo i dati di fine 2011, ha 1,08% in A2A, l’1,46% in Generali, l’1,75% in Impregilo, lo 0,96% in Acea, l’,155% in Telecom Italia, l’1,33% in Autostrada Torino-Milano. Secondo la Consob, «l’operatività di questi istituti può avere effetti positivi sui mercati finanziari, in termini di maggiore liquidità e stabilità». Non a caso spesso sono gli alti dirigenti dei grandi gruppi a invocare il loro intervento, come Fabrizio Viola, dg del Monte dei Paschi. Tuttavia, tra gli Stati destinatari di questi aiuti un timore di scalata c’è. Soprattutto, spiega la Consob, se gli investimenti dei fondi non sono effettuati «per motivazioni economiche ma per finalità politico-strategiche». Per queste ragioni un’eventuale trasferimento del controllo di un’impresa strategica in favore di un fondo sovrano può «risultare una minaccia per la sicurezza nazionale», sottolinea lo studio della Commissione. Ecco perché negli Stati Uniti e in molti Paesi europei sono state introdotte normative a difesa dei settori ritenuti strategici. In Italia la regolamentazione aveva registrato un accelerazione con le norme Anti-Opa introdotte dal precedente Governo su richiesta del ministro Tremonti. Allora però la goccia che fece traboccare il vaso non furono i fondi sovrani, ma i francesi di Lactalis che hanno poi conquistato Parmalat e sfilato il tesoretto del gruppo di Collecchio.