Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  luglio 10 Martedì calendario

Italia divisa (quasi) a metà Alle Olimpiadi sbarcano le pari opportunità - Pochi o a scelta rigorosi, per stare in linea con il Paese: la spedizione italiana a Londra è smilza, 292 atleti convocati e bisogna tornare al 1988 (255) per trovare squadre più piccole

Italia divisa (quasi) a metà Alle Olimpiadi sbarcano le pari opportunità - Pochi o a scelta rigorosi, per stare in linea con il Paese: la spedizione italiana a Londra è smilza, 292 atleti convocati e bisogna tornare al 1988 (255) per trovare squadre più piccole. Certo non siamo in forma smagliante, ma nessuna comunità europea o olimpica potrà dirci che non abbiamo rispettato le regole. Abbiamo seguito ogni criterio di qualificazione, aderito a richieste di tempi e misure, censurato le deroghe per giovani di belle speranze arrivati a un soffio dai canoni stabiliti o vecchie glorie con ambizioni di gettone presenza. Tagli drastici, ci presentiamo asciutti, con sogni moderati e con i conti in regola e pazienza se mostrare i muscoli alla Balotelli sarà complicato. Scavando dentro i numeri un’evoluzione si trova solo che non è sportiva, miglioriamo sul fronte sociale e se è vero che gli azzurri ai Giochi sono una fetta rappresantativa della Nazione allora la missione pari opportunità è quasi raggiunta. Le donne toccano quota 43,5 per cento e il traguardo arriva da una crescita costante . Per celebrare il risultato ci sarà una signora a portare la bandiera, Valentina Vezzali è la quarta ad avere l’onore. Siamo stati pionieri, nel 1952 è toccato alla ginnasta Miranda Cicognani, era una bambina più che una donna, 16 anni ancora da compiere e un viaggio da incubo per arrivare a Helsinki. I genitori non le permisero di prendere l’aereo, era pur sempre femmina e serviva un mezzo di trasporto meno audace quindi treno fino a Stoccolma e traversata del mar Baltico per raggiungere la Finlandia. Una sfacchinata. Nelle foto d’epoca l’esile Miranda sparisce avvolta da un tricolore massiccio. Dietro una nazionale quasi tutta maschile, le ragazze ferme al dieci per cento. Era la seconda Olimpiade del dopoguerra e per parlare ancora di una donna simbolo bisogna fare un salto di 32 anni. Nel 1984 la faccia ce la mette Sara Simeoni, icona dell’atletica italiana e anche un po’ immagine della donna nello sport. Una capace di tutto e magari a guardarla, così asciutta, quasi distratta, non si direbbe però la competizione la trasfigurava. Anche lei era a capo di una spedizione di ragazzi. A Los Angeles le donne sono ancora inchiodate al 18 per cento, la situazione si sblocca nel 1996 quando Giovanna Trillini raccoglie il testimonial della portabandiera e sfila in una squadra che ormai si può dire mista. Oggi siamo praticamente divisi a metà, un viaggio faticoso se si considera gli anni impiegati, ci mettiamo meno a inserire i naturalizzati. Il talento è un ottimo passaporto e l’Italia ha bisogno di nuova linfa. Se non vogliamo stare a ranghi ridotti bisogna essere permeabili, sull’aereo per Londra ci saranno 25 atleti nati all’estero e ci siamo abituati. Non ci scandalizziamo più come altrove dove pesano attaccamento e partecipazione. Quattro sono anche nati nella benestante Germania e hanno scelto l’Italia, questioni di origini o di cuore. Cinque arrivano dal Sudamerica e tra loro c’è Amaury Perez, italocubano per stare alla definizione d’ordinanza e arcitaliano se si considera l’inno cantato a squarciagola prima di ogni partita di pallanuoto e i baci alla bandiera dopo il titolo mondiale del 2011. Non servono altri esami da cittadino modello. Sottotraccia si muove anche altro , la portabandiera mamma non è un caso isolato, aumentano i genitori, ci sono pure un paio di coppie di fatto con figli senza matrimonio. Lo sport una volta era bacchettone oppure lento ad aggiornarsi e poi a 30 anni si era già in pensione e la famiglia andava messa in coda alle medaglie. Non che adesso il professionismo e la baby sitter siano facilmente conciliabili e certe discipline non concedono troppe scelte, però non esiste più la parola impossibile. Abbiamo una marciatrice che si è presa un anno sabbatico tra un’Olimpiade e l’altra per fare un figlio, Elisa Rigaudo, bronzo a Pechino, si è fermata, ha testato le gambe agli ultimi mondiali con un quarto posto e adesso è pronta per risalire sul podio. E non ci sono solo storie di donne che sanno moltiplicare le ore, Daniele Meucci non si è fatto mancare nulla, si è laureato in ingegneria robotica, è diventato papà, ha vinto un argento europeo e ora va a i Giochi. L’atleta italiano contemporaneo è un po’ meno mito e un po’ più umano: si divide in sette, proprio come ogni altro comune mortale.