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 2012  luglio 10 Martedì calendario

Non ho mai letto un giudizio chiaro e esaustivo su Enver Hoxha, il dittatore comunista (stalinista?) albanese che per 45 anni ha isolato, in un grande carcere, il suo popolo lontano dal mondo occidentale e orientale

Non ho mai letto un giudizio chiaro e esaustivo su Enver Hoxha, il dittatore comunista (stalinista?) albanese che per 45 anni ha isolato, in un grande carcere, il suo popolo lontano dal mondo occidentale e orientale. Lavdrim Lita lavdrimlita@yahoo.it Caro Lita, I l migliore ritratto italiano di Enver Hoxha è probabilmente quello scritto da un diplomatico, Gian Paolo Tozzoli, che fu ambasciatore a Tirana dal 1978 al 1981 e pubblicò nel 1989, presso l’editore Franco Angeli, un libro intitolato Il caso Albania, l’ultima frontiera dello stalinismo. Non lo conobbe personalmente perché il dittatore non si offriva allo sguardo degli estranei, ma si immerse nella interminabile lettura dei suoi scritti autobiografici e poté parlare con persone che lo avevano frequentato, fra cui un uomo d’affari italiano, partigiano in Albania durante la guerra, che ne era diventato amico. Hoxha nacque cittadino ottomano ad Argirocastro nel 1908, in una facoltosa famiglia di commercianti musulmani, e poté completare i suoi studi all’Università di Montpellier. In Francia, nel tempestoso clima politico dei primi anni Trenta, fece il suo apprendistato comunista nella redazione de L’Humanité. Al ritorno in patria insegnò il francese ai ragazzi borghesi di Corizza, nell’Albania sud-orientale, sotto lo sguardo vigile di poliziotti che conoscevano i suoi legami politici, ma lo trattarono, tutto sommato, con una certa benevolenza. Il suo momento venne dopo l’occupazione italiana e lo scoppio della guerra. Tozzoli non può fornire molti particolari sulla partecipazione di Hoxha alla guerriglia contro le truppe italiane e tedesche, ma il conflitto fu certamente la scuola dove apprese a destreggiarsi fra le diverse fazioni della resistenza e a sbarazzarsi degli amici-nemici che lo separavano dal potere. Alla fine della guerra, quando fu solidamente istallato alla testa del partito, capì subito che il principale Paese comunista della penisola balcanica — la Jugoslavia — era più pericoloso, per l’indipendenza albanese, delle detestate potenze capitaliste dell’Occidente. Per sottrarsi a Tito scelse di essere il più devoto e inflessibile seguace dello stalinismo nella regione. La protezione di Stalin, soprattutto dopo l’espulsione della Jugoslavia dal Kominform, gli garantì il potere e gli dette le occasioni necessarie per eliminare ogni possibile concorrente. Ma la svolta di Kruscev, la destalinizzazione e il riavvicinamento fra Mosca e Belgrado lo esposero a molti rischi e lo misero di fronte a una scelta difficile: ricercare una intesa con Tito e accettarne le condizioni o trasformare l’Albania in una sorta roccaforte assediata, orgogliosamente isolata dal resto del mondo? Scelse la seconda strada e si spinse sino a cacciare il presidio sovietico da Valona, dove l’Urss aveva installato una base per i sommergibili della sua flotta. L’operazione riuscì anche perché Hoxha poté sostituire Stalin con Mao, la protezione di Mosca con quella di Pechino. Cina e Albania erano straordinariamente diverse — un gigante la prima, un nano la seconda — ma avevano nemici comuni e ciascuno dei due poteva trarre dall’amicizia qualche vantaggio. Fra alti e bassi questo matrimonio ineguale durò 17 anni e permise a Hoxha di stroncare sul nascere qualsiasi opposizione. Alla fine del suo ritratto Tozzoli scrive che il dittatore albanese fu contemporaneamente un inflessibile comunista e un testardo nazionalista, tenace e irriducibile, ma dotato di una «notevole capacità dialettica e di un’intelligenza lucida e acuta». In gioventù invece, secondo il suo amico italiano, era stato «un simpatico ragazzo di bell’aspetto, amante del buon vivere, allegro, di ottima compagnia, dalla battuta scherzosa, spigliato narratore di barzellette salaci». Ma anche di Stalin si dice che fosse, dopo qualche bicchiere di vino georgiano, un simpatico compagno di bagordi.