Cecilia Zecchinelli, Corriere della Sera 10/7/2012, 10 luglio 2012
I media locali parlano di «sisma politico», forse influenzati dal vero terremoto che ieri ha scosso (senza danni) l’Egitto
I media locali parlano di «sisma politico», forse influenzati dal vero terremoto che ieri ha scosso (senza danni) l’Egitto. Lo stratega dei Fratelli musulmani, il miliardario Khayrat Al Shater, insiste nel parlare di «partita a scacchi» tra il movimento islamico che ha portato Mohammed Morsi alla presidenza e i generali al potere da 16 mesi. Sui siti qualcuno paragona quanto succede sul Nilo a una musàlsala, le soap-opera che invadono le tv arabe. E se non fosse in gioco il futuro del più importante Stato della regione quest’ultima sarebbe la definizione migliore, per la trama complessa, i continui colpi di scena e i mille attori della vicenda. Nella penultima puntata andata in onda domenica — impossibile ripercorrere in breve le precedenti — il raìs islamico Morsi ha «annullato per decreto» lo scioglimento del Parlamento deciso dall’Alta Corte il 14 giugno. E ha riconvocato i deputati per oggi. Eletta regolarmente in inverno, l’Assemblea è (era?) per tre quarti dominata dai partiti islamici: l’accusa di tutta l’opposizione è che quella sentenza fosse pilotata dai generali per evitare il «cappotto» della Fratellanza. Di qui quel decreto di Morsi. Che ieri, nella nuova puntata che non sarà l’ultima, è stato respinto dall’Alta Corte: «Il nostro verdetto è inappellabile, il Parlamento è stato eletto con vizi giuridici e quindi illegale». Un parere atteso. Non atteso era invece che Morsi e il capo della Giunta, maresciallo Tantawi, ieri abbiano chiacchierato amabilmente a una cerimonia pubblica, come se niente fosse. Che la sede del Parlamento, da un mese presidiata da soldati e blindati, proprio ieri sia stata sguarnita dai militari. Che il fronte laico si sia platealmente spaccato. Molti candidati moderati e anti-Giunta, battuti alle presidenziali ma ancora importanti, hanno preso le distanze da Morsi e dal suo decreto «che va contro le leggi». Il movimento 6 Aprile, il più importante tra i «giovani di Tahrir», invece lo ha appoggiato. E lo stesso ha fatto Alaa Al Aswany, l’autore di Palazzo Yacoubian sempre più impegnato politicamente. «Rispetto di quali leggi? Quelle dei generali? Ma non avevamo fatto la rivoluzione proprio per mandarli via?», ha chiesto ieri. Nessuno gli ha ancora risposto, forse qualcuno lo farà oggi: nella nuova puntata che prevede, tra l’altro e non per la prima volta, «un milione di persone a Tahrir contro i militari».