Gabriele Romagnoli, la Repubblica 2/7/2012, 2 luglio 2012
RICONOSCETE A CESARE QUEL CHE È DI CESARE
Cesare Prandelli resta il vincitore morale degli Europei 2012. Gli altri allenatori hanno assemblato o dissipato campioni, lui ha messo insieme una squadra su rovine etiche e atletiche. E ci sono quelli che si sono illusi spandendo insano ottimismo alla vigilia della finale.
Ora non osino emettere giudizi ingiusti come i pomodori riservati a Valcareggi dopo il secondo posto dietro il grande Brasile ai Mondiali del ´70. Ingiusto era pretendere di più, sciocco era cedere all´esaltazione di Prandelli for vice president, seduto alla destra di Napolitano. Quest´ultimo mese ha segnato, attraverso la rinascita di una nazionale di calcio, l´istituzionalizzazione di un uomo, un allenatore diventato simbolo. Di che cosa? Viene un sussulto di pudore nel dirlo: valori. Più ancora che la sobrietà, da lasciarsi al suo omologo Mario Monti: la meritocrazia, il coraggio delle scelte, la capacità di attendere. Ci vuole un bel po´ di disperazione popolare e presidenziale per investire tanto in un "(c) ct". Resta un ottimo allenatore, un uomo perbene, ma non può diventare un padre della patria e ha la modestia e l´intelligenza per saperlo. L´ho incontrato alla vigilia della partenza, quando nessuno credeva nell´impresa. Gli ho chiesto: «Tornei di Viareggio a parte, lei non ha mai vinto niente. Ha paura di riuscirci?». Ha risposto: «Se posso dirlo, si può essere dei vincenti anche senza aver vinto niente». Difficile a sostenersi in Italia. Eppure è così: Prandelli ha vinto. Vediamo perché.
Nel reame dei voltagabbana e degli opportunisti è un uomo che segue le proprie idee. Senza essere un fondamentalista, semplicemente perché ci crede. Difesa a quattro, centrocampo a rombo con i piedi buoni, una coppia di inventori pazzi a chiudere. Ha deviato per necessità e si sentiva la stonatura. È tornato allo spartito e, dopo poco, la musica è ripartita. Si è fermata quando gli esecutori non hanno più avuto fiato. Laddove gli altri sono impazienti, lui si siede e aspetta. L´ha sempre fatto: individua il talento, se ne innamora, gli resta fedele. Ama i giocatori e le persone difficili, li sa accettare per quel che sono, consapevole che uno sgarbo non vale un disamore. Morfeo, Mutu e Adriano non sono mai più stati all´altezza dei momenti trascorsi con lui. Ha cominciato due anni fa da Balotelli e Cassano, li ha persi per strada, è andato ad attenderli all´incrocio più importante. Credere in qualcuno non significa credere di essere ripagati. Poi, a volte, succede perfino. E allora un gentiluomo stringe il pugno, allarga il sorriso, riabbottona la giacca blu. E si risiede.
Questo ct non è infallibile, ma sa ammettere i propri errori e rimediare. Uno che non aveva capito, ai tempi della Fiorentina, era il terzino Balzaretti. E tu guarda chi ti sbuca nella difesa della Nazionale, proprio nelle partite che contano. Poi risbaglia certo, lasciandolo fuori dalla formazione contro la Spagna: ci mette una pezza il caso, benché troppo tardi. Prandelli è stato l´autista di Miss Daisy, ovvero il mediano di Michel Platini. Se non impari un po´ di umiltà in quella circostanza, quando? L´ha fatto. Parla abbassando lo sguardo, non si è fatto amici potenti, considera ideale una giornata tra i vecchi ragazzi di Orzinuovi o nei corridoi di un museo d´arte, in una città sconosciuta.
Quando, due anni fa, diventò commissario tecnico, feci un´inchiesta su di lui. Chiamai persone che l´avevano conosciuto nelle diverse città in cui era stato. Non venne fuori un solo giudizio negativo. Qualche perplessità sulle ultime scelte nella vita privata, ma quelli son sacrosanti affari suoi. Giusto una debolezza che molti notavano: dovunque fosse andato si portava dietro un tizio che partecipava agli allenamenti ma non aveva incarichi di alcun genere. Un giorno ammise: «È un appassionato: poi mi porta casa in macchina». Mentiva: era il cognato. Ne faceva uso scaramantico. Poi se n´è liberato.
Dà l´impressione di conoscere i propri limiti, ma anche le proprie capacità. «Lei in che cosa è bravo?», gli ho chiesto. Risposta: «So dare un gioco». E si è visto. Perfino nella partita peggiore: l´idea c´era, mancavano i realizzatori. Dopo una vita spesa a cullarci tra le lenzuola ciancicate del cialtronismo nazionalpopolare ci stiamo attaccando a personaggi che sanno di bucato fresco e non si conformano ai cliché dell´italianismo. Non sono maschere, ma volti. Prandelli ha la sua etica e come ogni etica ha un confine. Si tira una linea e qualcosa ne resta fuori. Poi è difficile spiegare perché Bonucci dentro e Criscito fuori (ma c´era una linea: il provvedimento giudiziario), perché suo figlio Nicolò come preparatore (ma c´era una linea: è bravo e a volte capita perfino di avere un parente che lo è). Ha detto cose difficili a dirsi, ma che pensava: basta con il tabù dei calciatori gay. E altre, ancor più difficili, che non pensava: «Se volete, stiamo a casa». È stata la sola provocazione di un uomo tranquillo. Era per sentirsi dire no. Per sentirsi dire: andate avanti, anche se non ci crediamo granché, magari per niente. Andate avanti, e tirateci fuori da questo pasticcio in cui ci siamo cacciati. Andate avanti, spaccate la Germania che ha saputo risanare i conti, ricreare un movimento calcistico, stadi perfetti, giovani campioni. Tanto con noi perde sempre, e dopo averla spaccata non veniteci a dire che occorre risanare i conti, ricreare il movimento calcistico e tutta la filastrocca. Esattamente quello che il ct sta cercando di dire a chi fa orecchie da mercante, perché mercante è.
Alla fine devo una cosa, a Cesare Prandelli. Non è vero che, tornei di Viareggio a parte, non abbia vinto niente. Il giorno del minuto in silenzio per sua moglie Manuela, allo stadio di Firenze, trovò un mazzo di fiori sulla panchina. Alla fine della partita lo prese e se lo portò via, come fosse una coppa. Era una coppa. Uno stadio intero s´inchinava alla dignità di una persona. Puoi aver vinto tutto e non aver vinto niente. O puoi essere così. Che ti diano, prima o poi, un calice di metallo da sollevare è questione di tempo. E tu sai metterti a un incrocio lontano, tra Kiev a Rio, ad aspettare.