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 2012  maggio 22 Martedì calendario

La crisi di Siena manda in tilt il Pd - La triste giornata che vedrà sfu­mare la presa di Parma e di Paler­mo si apre a Largo del Nazareno, la sede nazionale del Partito de­mocratico, con una notizia a dir poco pessima: Sie­na è caduta, ad ap­pena un anno­dal­le elezioni il sinda­co ha dovuto getta­re la spugna, la cit­tà è in crisi e senza bilancio

La crisi di Siena manda in tilt il Pd - La triste giornata che vedrà sfu­mare la presa di Parma e di Paler­mo si apre a Largo del Nazareno, la sede nazionale del Partito de­mocratico, con una notizia a dir poco pessima: Sie­na è caduta, ad ap­pena un anno­dal­le elezioni il sinda­co ha dovuto getta­re la spugna, la cit­tà è in crisi e senza bilancio. E sicco­me Siena significa prima di tutto Monte dei Paschi, la «banca rossa» per eccellenza nonché il terzo isti­tuto bancario del Paese, l’allarme è scattato all’istan­te. Franco Ceccuz­zi, democratico di rito bersaniano, si è dimesso domeni­ca notte, al termi­ne di un infuocato consiglio comunale che ha sanci­to la rottura della sua maggioran­za: 8 consiglieri del Pd (7 prove­nienti dalla Margherita, uno vici­no alla Cgil) avevano infatti votato con l’opposizione contro il bilan­cio presentato lo scorso 27 aprile. Motivo del dissenso: il rinnovo dei vertici del Monte. L’altra notte il sindaco dimissionario li ha pub­blicamente bollati come «politi­canti, traditori e voltagabbana»,ri­cavandone un’ovazione dal pub­blico presente e l’ordine di sgom­bero dell’aula da parte del presi­dente del consiglio comunale (Alessandro Piccini, uno dei «ri­belli »). Non era mai accaduto che le ten­sioni interne alla sinistra senese esplodessero al punto da far cade­re sindaco e giunta a dodici mesi dal voto. Il Comune di Siena, insie­me alla Provincia, nomina 13 dei 16 consiglieri della Fondazione che a sua volta controlla il 37,5% del Monte dei Paschi. E siccome Comune e Provincia sono da sem­pre roccaforti rosse, il Monte è da sempre la banca della sinistra ita­liana. Ma litigare furiosamente in pubblico e portare la città alle ele­zioni anticipate - sempre che la li­te non si ricomponga- non è certo il modo migliore per gestire una banca che è anche- e per Siena so­prattutto - il polmone finanziario di una delle province più ricche d’Italia. Lo scontro era scoppiato un pa­io di mesi fa, in occasione del rin­novo dei vertici del Monte Paschi: i «ribelli» dell’ex Margherita non avevano condiviso i nomi che il sindaco Ceccuzzi aveva deciso di indicare alla fondazione Mps per il nuovo Cda di Banca Monte dei Paschi di Siena. Tra questi, anche quello del neo presidente del Monte, Alessandro Profumo. Cec­cuzzi difende le sue scelte: «Se do­po il mercoledì nero che ha porta­to la Guardia di Finanza a Rocca Salimbeni non ci fossero stati Ales­sandro Profumo e Fabrizio Viola a rassicurare i mercati, non ci sareb­be stato un giovedì di speranza», ha detto domenica sera in Consi­glio comunale. Aggiungendo che chi l’ha criticato in questi mesi non lo ha fatto «perchè non ritene­va Profumo adeguato, ma, al con­trario, perchè è troppo adeguato e soprattutto non condizionabile». Accuse pesantissime, che difficil­mente resteranno senza conse­guenze. Intanto nel partito toscano vola­no gli stracci. Il Pd di Siena ha an­nunciato che è stato presentato un esposto alla commissione dei garanti del partito contro i dissi­denti. E il segretario Giulio Carli ha anche chiesto al gruppo tosca­no consiliare del Pd le immediate dimissioni dal consiglio regiona­le di Alberto Monaci, giudicato «la regia politica della caduta di Cec­cuzzi », leader dei ribelli margheri­tini ed ex bancario del Monte dei Paschi, nonché marito di Anna Gioia, una delle consigliere che hanno affossato il sindaco. La quale non arretra di un milli­metro e si dice delusa perché «do­po tutti gli sforzi fatti per garantire una nuova classe dirigente alla cit­tà, invece di procedere ad una ri­flessione approfondita sulle diffi­coltà come richiesto, si vuole an­dare avanti a testa bassa per ingan­nare un discorso nuovo che non c’è». La prosa è stentata, ma il suc­co è chiaro: la redistribuzione del potere non è andata come richie­sto (o sperato) da tutte le compo­nenti della maggioranza, e il pez­zo di Pd che non proviene dal Pci vuole prendersi la sua quota. A tut­ti i costi. La Toscana è già il teatro del con­tinuo e stucchevole duello fra il «rottamatore» Matteo Renzi (ex Margherita come i ribelli senesi) e il governatore Enrico Rossi, bersa­niano duro e puro, che non perde occasione, ogni volta che il sinda­co di Firenze apre bocca, di dire tutto il contrario e conquistarsi co­sì un trafiletto sui giornali. Il risul­tato è che il Pd è diventato una con­fraternita di bande che si guarda­no in cagnesco. Ora tocca a Siena, e la guerra esplode su una questio­ne cruciale come la gestione di una grande banca. Per Bersani, nel giorno della vittoria di Grillo e di Orlando, proprio una brutta gra­na.