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 2012  maggio 23 Mercoledì calendario

Tra gli imprenditori brianzoli: traditi dal berlusconismo - A Como non si vedono bandiere rosse e neppure quelle arancioni di Pisapia

Tra gli imprenditori brianzoli: traditi dal berlusconismo - A Como non si vedono bandiere rosse e neppure quelle arancioni di Pisapia. Ma si odono parole che danno ancor di più il senso della rivoluzione: «Ho 65 anni e per la prima volta in vita mia ho votato a sinistra», ci confida Graziano Brenna, imprenditore tessile e vicepresidente della Confindustria locale. Orrore! Un imprenditore comasco che vota a sinistra! Ma quando mai? Berlusconi la prenderà come una coltellata. Eppure la sua terra e la sua gente gli hanno voltato le spalle. Como è la capitale del ribaltone, luogo simbolico perché è sempre stata di centrodestra, perché solo cinque anni fa An e Forza Italia avevano insieme il 43 per cento e ora il Pdl ha racimolato un misero 13 al primo turno e incassato un umiliante cappotto (75 a 25) al ballottaggio. «Sono sorpreso dai numeri ma non dalla dinamica di quel che sta succedendo», dice Paolo De Santis, presidente della Camera di commercio, cinquantamila aziende associate. È questo il mondo che credeva nel Cavaliere e adesso non ci crede più. È un mondo che grosso modo si può dividere in tre aree. La prima è quella del lago, cioè a nord di Como e lungo il confine di Stato: qui le imprese vivono soprattutto di turismo e tutto sommato reggono; la gente poi se la cava anche perché la Svizzera fa da ammortizzatore sociale offrendo posti di lavoro. La seconda area è la città: commercio e servizi, il trend non è malvagio. Ma la terza area, la più grande, è la Brianza comasca manifatturiera e qui la crisi si fa sentire in modo pesante. È qui che ci sono le aziende più grosse. «Il grido di dolore che viene dal mondo delle imprese è molto forte», dice ancora De Santis: «Ci si aspettava molto di più dagli ultimi governi: non tanto sull’aspetto fiscale, ma sulla riduzione della burocrazia. È l’eccesso di burocrazia che strangola le nostre imprese e scoraggia gli investimenti stranieri in Italia. Speravamo anche in una riforma della giustizia: ma non di quella penale, che forse interessava a Berlusconi e a qualcun altro, bensì di quella civile. Lei mi chiede perché il nostro mondo è deluso e disorientato. E io le dico questo: l’imprenditore comasco oggi è uno che ha paura di non farcela e non vede segnali dalla politica». Il divorzio tra le categorie produttive e il centrodestra era già evidente da tempo e un giorno la stampa locale aveva titolato in prima pagina «Como, l’economia rompe con il Pdl». Certo ci sono motivazioni anche locali. La città, finiti da un pezzo i tempi d’oro dell’industria tessile, attende dalla politica un aiuto a riqualificarsi, soprattutto verso il turismo, visto che la natura l’ha omaggiata di tanta meraviglia. Ma non solo non è stato fatto nulla: si sono fatti dei danni, come l’aver occultato la vista del lago con una muraglia da Berlino Est. E con l’aver trascurato la gestione delle piccole ma fondamentali cose, come le buche nell’asfalto: «Le strade di Como sono peggio di quelle di Bucarest», aveva detto all’ormai ex sindaco Stefano Bruni (Pdl) l’allora presidente degli industriali Ambrogio Taborelli. Anche Graziano Brenna, quello che a 65 anni ha votato a sinistra per la prima volta («Ma lei non immagina quante persone mi hanno detto la stessa cosa»), conferma che «Como è una delle città più belle del mondo e una delle peggio amministrate, faccia un giro in città a vedere gli scempi, a cominciare dalle rovine della ex fabbrica Ticosa a ridosso del centro». E arrivano conferme perfino da chi è stato assessore di Forza Italia e poi consigliere comunale del Pdl, come Enrico Gelpi, avvocato, ex presidente dell’Automobile Club nazionale e ora membro del Cda della Fia, federazione internazionale dell’automobile. «A Como», dice, «gli ultimi due anni dell’amministrazione Bruni sono stati, per usare un eufemismo, non brillanti». Gelpi è uno che la passione per la politica l’ha respirata in casa: suo zio, Lino Gelpi, democristiano, è stato forse il più importante sindaco di Como del dopoguerra, dal 1956 al 1970; e suo padre Emilio fu primo cittadino di Castiglione Intelvi addirittura per cinquant’anni. Ma due anni fa ha lasciato il consiglio comunale, deluso anche lui: «Oggi i partiti vivono fuori dal mondo. Pensi alle nostre primarie: il candidato che ha perso ha poi fatto una sua lista contro il Pdl. La gente ha pensato: questi pensano alle loro cose interne anziché alla città». Nessuno comunque crede che le beghe locali bastino a spiegare una débâcle che va ben oltre i confini di Como: «Pdl e Lega hanno certamente risentito anche degli scandali», dice ancora Gelpi. Maurizio Traglio, imprenditore comasco che ha investito quindici milioni di euro nella nuova Alitalia, non dà la colpa a Berlusconi («Ci ha provato ma è stato frenato in tutti i modi») ma riconosce che una stagione è finita: «Il Pdl ora sta cercando una via diversa, deve mettere in campo persone credibili, nuove e messe in condizione di poter governare». Gli avevano chiesto di candidarsi a sindaco, ma ha rifiutato: «Il centrodestra era troppo diviso, e il centrosinistra non è la mia parte politica». Attilio Briccola, presidente della Compagnia delle Opere, dice che «il Pdl e la Lega se la sono cercata». Troppe promesse a vuoto: «È svanito il sogno cominciato vent’anni fa, Berlusconi e Bossi hanno deluso perché non hanno fatto quelle riforme che il mondo della piccola e media impresa si aspettava, il mondo che è l’anima di questa terra». Riuscirà il vecchio centrodestra a riscattarsi? Qui non sembra crederci nessuno. «Il tempo sarà fatale e oggi il mondo gira a velocità che non sono più quelle di una volta», dice Traglio. «Berlusconi era un simbolo per noi imprenditori, ci ha deluso», dice Brenna. «È un momento di forte discontinuità, l’approdo al momento non è definibile ma certamente sarà diverso dal passato», dice De Santis. Le parole forse più tranchant sono però proprio quelle di chi ci credeva così tanto da mettersi in gioco personalmente, l’ex assessore e consigliere Enrico Gelpi: «Io ho comunque votato Pdl, ma è un Pdl che non esiste più».