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 2012  maggio 23 Mercoledì calendario

IL SINDACO VENDOLIANO E PACIFISTA CON LA PISTOLA ALLA CINTOLA — È

come scoprire che Bambi gira con arco e frecce. Che la nave di Greenpeace trasporta bazooka nella stiva. Che don Abbondio mena sciabolate peggio del Griso. Incredibile, no? Eppure non si scappa, le foto sono inequivocabili e... a mano armata: lui, Ippazio Stefàno, detto per comodità «Ezio» da fan e detrattori, appena rieletto sindaco di Taranto, devoto vendoliano e pacifista della prima ora, se ne sta in mezzo ai suoi a festeggiare quel quasi 70 per cento di voti con cui ha chiuso senza se e senza ma la formalità del ballottaggio; alza le braccia trionfante nel suo comitato elettorale di via Principe Amedeo, sfodera un ghignaccio da coniglio feroce, e, tac, sulla camicia ancora candida a fine giornata gli si staglia il calcio d’una pistola a tamburo infilata nei pantaloni.
Roba degna di Cito senior, che governò la città dei Due Mari negli anni Novanta e adesso, in galera per un cumulo di reati e pene, ha tentato invano di spedire in cima al municipio il figlio Mario con lo slogan surreale «Cito libero, Cito sindaco»: ma Cito, si dirà, era un ex mazziere fascista, il primo telepredicatore del «vaffa» in diretta, uno che faceva le ronde e non disdegnava di allungare qualche sberla anche dopo avere indossato la fascia tricolore, insomma un tipaccio di strada. Cosa c’entra il vellutato Stefàno con gli stereotipi dello sceriffo giustiziere?
«Che domande, vuol farmi ammazzare?», sbuffa lui, dalla poltrona con vista sull’incerto futuro dei tarantini, dove s’è seduto nel 2007 e da cui non s’è più alzato. Ma, scusi, conferma? La foto è vera? «Certo che confermo, ho una vecchia pistola a tamburo, con regolare porto d’armi: no, non so la marca, non sono un guerriero». E qui bisogna capire lo stupore dei suoi concittadini che, per ore, quando un paio di giornali locali hanno fatto uscire l’immagine, continuavano sul web a considerarla taroccata, insomma una truffa della Spectre contro il sindaco della pace. Stefàno è un tipo che negli spot elettorali vi apparirà aggressivo quanto Nonna Papera, un non belligerante che, per dribblare le rogne sui fumi assassini dell’Ilva, può sostenere coi cronisti di non avere «letto i giornali». E’ tuttavia anche molto amato perché, da pediatra, ha la lodevole abitudine di battere le periferie curando gratis i bambini delle famiglie meno abbienti. Lo chiamano U’ Dotto’ e lo votano in massa. Eppure... «Eppure mi hanno minacciato, durante la campagna elettorale m’è arrivata una lettera a casa: ritirati, mi dicevano, se no tu e la tua famiglia rischiate. Io ho denunciato tutto alla Digos, ma non voglio la scorta, non voglio che qualcuno si giochi la pelle per me, non uso nemmeno l’auto di servizio. E non mi sono ritirato. Quindi...». Quindi? «Mica posso avere scariche di adrenalina ogni volta che uno mi viene incontro». Ma Vendola lo sa che lei gira armato? «Uffa. Adesso l’ha saputo, dai giornali! Senta, avrei potuto strillare in campagna elettorale, prendevo dieci punti in più. Invece sono stato muto. Non volevo infangare il nome di Taranto, non volevo che si pensasse che i tarantini sono violenti».
In verità non è la prima volta che la pistola fa capolino dalla cintura del buon Ezio. In un’altra foto, meno recente, il sindaco è in marcia con i compagni di lotta e di governo, e la dannata berta gli s’affaccia da sotto la giacchetta conferendogli un’aria da comparsa in Le mani sulla città. Certo, tocca ammetterlo: è anche facile fare gli spiritosi quando non si è costretti a vivere giorno per giorno in una bolgia di duecentomila anime avvelenate dall’inquinamento e dalla disoccupazione e tutte, una per una, decise a darti la colpa di quanto succede. «Sa, ho cominciato trent’anni fa... presi la pistola quando giravo di notte per i quartieri degradati e facevo la campagna contro l’Aids. Poi l’ho tenuta nel cassetto, chiusa lì per un sacco di tempo. L’ho ritirata fuori da sindaco. Lei non lo sa, ma mi hanno fatto di tutto».
Vita agra a Palazzo di Città, eh? «Può dirlo forte. Quattordici aggressioni m’hanno fatto, quattordici. Coi coltelli, a schiaffi, pure la benzina addosso m’hanno tirato. Poi non le dico gli insulti. Lo Stato non consegna le case? E quelli vengono da me. Sprofonda la statale? Sempre da me, vengono. Quindici vigili urbani sono finiti in ospedale, e allora io dicevo: ragazzi, scansatevi, me la vedo io. Tutti sanno dove abito, e mi aspettano sotto il portone, quasi sempre per parlarmi, ma certe volte non solo per parlare. Io sto lì». Con la pistola, però. «Mai tirata fuori». Nemmeno davanti ai ceffoni e ai coltelli? «Nemmeno. Sono molto equilibrato, sa? Mi controllo, faccio le visite. Poi, dovessi tirarla fuori, magari è la volta che mi ammazzano, mica sono sicuro che avrei il coraggio di usarla». L’uomo è un paradosso vivente. Sobriamente descritto appena pochi anni fa come «il sindaco dei miracoli» da qualche giornale amico, questo medico tarantino dal viso mansueto e dal baffetto morbido si ritrova nella bizzarra posizione di succedere a Giancarlo Cito nella fama di pistolero. Persino l’Africa a volte, gli appare un posticino tranquillo, stretto com’è tra sfrattati, senza lavoro, cassintegrati e attaccabrighe professionali d’una città che cova brace sotto l’apparente rassegnazione. «In Africa ho fatto il volontario per un anno, mai nessuno ha provato ad assalirmi». Qui, invece... «Sono diventato iperteso. Fare il sindaco al Sud è un inferno. Ho perso quattordici chili». Un chilo ad aggressione, di questo passo rischiava di diventare l’Uomo Invisibile. Meglio Tex Willer.
Goffredo Buccini