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 2012  maggio 23 Mercoledì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA. IL PDL DOPO LA VITTORIA DI GRILLO


REPUBBLICA.IT
ROMA - Quasi due ore di vertice a Palazzo Grazioli tra Silvio Berlusconi e lo stato maggiore del partito. A via del Plebiscito arrivano, oltre al segretario Angelino Alfano, i coordinatori e i capigruppo del Pdl. Sul tavolo la crisi del Pdl. Accentuata dai disastrosi risultati elettorali. Oltre alle prossime mosse per il futuro del partito il Cavaliere ha trovato sul tavolo anche le dimissioni di Sandro Bondi. "Io e Alfano le respingiamo", ha detto il Cavaliere lasciando la riunione per volare a Bruxelles, dove è atteso al vertice del Partito popolare europeo. Irato Alfano. "E’ in atto un tentativo chiaro di avvelenare i pozzi - dice il segretario del Pdl che nega l’ipotesi di un azzeramento dei vertici del partito - Non ci saranno smottamenti del gruppo dirigente".
Palpabile, però, l’amarezza di Bondi: "Mi dimetto non perchè reputi di avere delle colpe particolari, anzi sono persuaso di avere svolto il mio impegno con assoluta trasparenza, ma soprattutto per sottrarmi ad attacchi e denigrazioni personali che fanno parte della peggiore politica".
Sulle annunciate novità (nuovo nome? nuovo partito?) l’ex premier resta abbottonato e se la cava con una battuta: "Un altro predellino? No, un altro sgambetto...". Poi, da Bruxelles, il Cavaliere torna a parlare: "Montezemolo l’ho visto una sola volta ma non può stare che con i moderati". Arriva a questo punto l’attacco a Repubblica. "Non c’è assolutamente nulla all’interno del partito che corrisponda alla situazione dipinta da ’Repubblica’, che sappiamo essere un giornale ostile al partito". Resterà in campo?, chiedono i giornalisti: "Questo me lo domando anche io". E il Pdl? "Stiamo ragionando su cosa fare, il risultato elettorale non mi ha sorpreso" continua, indicando nella scelta "degli alleati" di andare da soli "l’errore fondamentale" che ha portato al deludente esito. Solo una battuta su Grillo: "E’ figlio dell’antipolitica. E’ una bolla che dà un segnale a chi fa politica".
Battute del Cavaliere a parte la tensione nel Pdl resta alta. Basta leggere le parole dell’ex ministro Claudio Scajola: "E’ andata malissimo, è tempo di cambiare". Per Scajola il risultato del Pdl alle elezioni amministrative "deve portare a una accelerazione dei moderati. Non possiamo aspettare". Per questo l’ex ministro propone di ricominciare da zero "con un nuovo soggetto politico, un’identità precisa e un progetto. Tornare tra la gente. Siamo stati chiusi per troppo tempo nelle nostre stanze".
E al segretario del Pdl arriva l’appoggio di Fabrizio Cicchitto, capogruppo alla Camera. "Se non prendiamo coscienza che il problema fondamentale è quello della linea politica andiamo dietro solo a diversivi. Detto tutto ciò, reputiamo che Alfano sia la personalità politica in grado di portarci fuori da questa situazione di difficoltà".
Ma un forzista della prima ora come Giancarlo Galan alza i toni: "Darei qualche consiglio a Berlusconi per uscire dal pantano: punto primo, cambiare nome al partito. Secondo: cambiare facce con giovani persone che abbiano la credibilità per sostenere . Punto terzo, un programma nuovo. Quarto: cambiare forma del partito pechè le tessere non vanno bene da noi. Infine parli con Montezemolo". Sarà, ma dall’ex An Altero Matteoli arriva una ricetta diversa: "Non so quale sarà la grande novità politica annunciata da Alfano, ma non è Montezemolo".
(23 maggio 2012)

FRANCESCO TITO STAMATTINA SU REPUBBLICA
ROMA - "Il Pdl è finito. Il Pdl non è più il mio partito". Palazzo Grazioli non è più il cuore del centrodestra italiano. In un giorno si è trasformato in un bunker. Nel quale Silvio Berlusconi si è rinchiuso. Paralizzato non tanto dalla sconfitta elettorale, quanto dalla consapevolezza che il suo progetto politico sta effettivamente evaporando.
L’ex premier ammette che la sua creatura ha ormai concluso un ciclo vitale. "Basta con questa struttura senza senso, con questi coordinamenti, con questi congressi. Dobbiamo imparare da Grillo". E inventare un nuovo contenitore. "Solo io posso guidarlo". Una sorta di mossa del cavallo per provare a invertire il trend che contempla anche la necessità di mettere sul tavolo l’ultima carta spendibile: un’intesa sulla riforma elettorale con il Pd per il doppio turno. Nella speranza di sparigliare e aprire un cantiere. "Cambiamo gioco e vediamo che succede".
Nell’ultima trincea berlusconiana, però, solo pochissimi riescono ad avvicinarsi. Gianni Letta, Fedele Confalonieri, Paolo Bonaiuti. Gli altri restano lontani. Il Cavaliere si sente solo, accerchiato. Soprattutto non in sintonia con il suo partito e con una debacle senza precedenti. Ha voluto deliberatamente sconvocare il vertice fissato ieri per evitare l’incontro con i "colonnelli" del suo "ex partito". Il timore che lo scontro potesse degenerare in una guerra totale termonucleare ha preso il sopravvento.
Del resto, il Popolo delle libertà non solo è stato sospinto verso il baratro dell’estinzione dall’ultima tornata amministrativa, ma è diventato una polveriera con la miccia già innescata. La battaglia interna è ormai il più classico "tutti contro tutti". "Il problema - si sfoga l’ex ministro Andrea Ronchi - è che nessuno sa più cosa succede. Non c’è una rotta. Tutti pensano che un’era sia finita".
E già, l’"era berlusconiana". La sua conclusione sta provocando non solo l’inabissamento di questo centrodestra, ma sta costringendo i suoi adepti a lottare per la sopravvivenza e a immaginare un percorso per salvarsi. Anche a scapito dei "colleghi" di partito. Gli ex An di La Russa e Matteoli contro le colombe di Frattini e Gelmini. Verdini e Alfano contro la Santanché. Gli uomini del nord come Formigoni contro quelli del sud come Fitto. A livello locale è ancora peggio. Il terreno frana nelle regioni settentrionali e il gruppo dirigente intermedio parte alla rincorsa di Casini e di Grillo. In quelle meridionali la confusione è anche maggiore. Con i big locali sprovvisti di qualsiasi sponda, anche ipotetica. Una babele di voci e posizioni ormai incontrollabili. Che inseguono un destino già segnato: la fine del Pdl.
Un orizzonte, però, che Berlusconi sembra voler anticipare. Affranto, demoralizzato come non mai, tra lunedì sera e ieri si è lasciato andare a più di uno sfogo. "Bisogna cambiare tutto. Basta con questo partito fatto di coordinamenti, tessere, congressi. Questo non è più il mio partito". Una scelta in parte dettata dalla disperazione. Dalla consapevolezza di non poter fare altrimenti. I contatti con Casini e Montezemolo ci sono stati. Ma l’esito è stato a dir poco drammatico. "Vogliono che Berlusconi non si candidi nemmeno in Parlamento per fare un accordo con noi - sbotta Gaetano Quagliariello - ma questa non è una resa. E’ l’umiliazione". Un percorso senza alternative, dunque.
"Se avessimo fatto già in questa occasione le liste civiche - è il rimprovero che Berlusconi muove al suo stato maggiore - staremmo parando di un’altra storia. E invece La Russa mi diceva che bisognava strutturare il partito, Angelino che disorientavamo. Ecco, invece, così abbiamo orientato. Bel capolavoro". Giudizi che la dicono lunga su quel che l’ex premier pensa dei suoi "coordinatori". Che adesso vuole azzerare. Compreso il suo "figlioccio" Angelino, nei confronti del quale non risparmia nulla: "Purtroppo non esiste. Ci sono solo io. Solo io posso salvare. Solo io posso candidarmi come leader. E lo farò, credetemi".
Il Pdl, nato solo tre anni fa, sembra ormai solo un ricordo. E anche la sua classe dirigente appare avvolta da una nuvola che li rende indistinti. Tutti travolti da un vento che soffia in primo luogo contro il centrodestra. E in qualche modo lo stesso Cavaliere ne prende atto. Nel suo bunker il crollo del Popolo delle libertà perde ogni contorno. Chi gli parla lo descrive assillato da troppe idee e troppo diverse. Eppure su un punto non ha dubbi: "I moderati in Italia non ci sono più. Dove sono? Tutti e tutto è radicalizzato. Perché noi dovremmo fare i moderati? Casini non vuole venire con noi? Bene. I fascisti si vogliono tenere il partito? Meglio, si tengano il Pdl".
A suo giudizio, però, se quello che è stato il centrodestra si può salvare, non è con il partito nato dalla fusione di An e Forza Italia. Serve qualcosa di nuovo. Cosa? Questa volta nemmeno i focus group cui Berlusconi spesso ricorre gli offrono una risposta netta. Nella testa gli ronza sempre il modello dei "Tea party" americani. Ma nello stesso tempo è attratto dall’esempio grillino. "Quel Grillo piace - ha scandito destando non poca sorpresa nei suoi interlocutori - dovrebbe essere uno di noi. O meglio dovremmo essere noi come lui. La gente vuole quello. Vuole sentire quelle cose e non i congressi e i coordinamenti. Ma secondo voi a Parma chi ha fatto vincere il grillino? Noi, i nostri elettori".
Ma per inseguire il paradigma "Cinque stelle", deve sparigliare. Con un problema non da poco. Le carte per farlo non sono ancora nelle sue mani. Nei prossimi giorni, però, una prima mossa intende compierla: aprire alla riforma elettorale a doppio turno. Per dare un segnale ai suoi elettori, aprire un fronte di alleanze non troppo vincolante con la Lega e i centristi. E soprattutto provare a "salvarsi e salvare il suo schieramento" attraverso un patto con il "nemico": con il Partito Democratico. Un tentativo estremo. Che, con ogni probabilità riceverà una risposta negativa da parte di Bersani. Ma nel frattempo l’immenso campo elettorale del centrodestra continua a essere sguarnito. Disponibile per chi voglia ararlo come accadde proprio nel 1994 dopo la fine della Democrazia cristiana.
(23 maggio 2012)

LETTERA DI MONTEZEMOLO AL CORRIERE DELLA SERA DI STAMATTINA
Caro direttore,
rispondo solo oggi all’editoriale di sabato scorso con cui Pierluigi Battista ha chiesto di chiarire la posizione di Italiafutura rispetto allo scenario politico, non per mancanza di attenzione, ma perché l’attentato di Brindisi e il terremoto in Emilia sono eventi così terribili da chiudere ogni diverso orizzonte al pensiero e al ragionamento. Il nostro Paese vive davvero un momento drammatico. Una situazione che impone a tutti di lavorare per la chiarezza e di non aggiungere fattori di confusione o destabilizzazione. Per questo voglio rispondere a Battista in maniera netta.
Italiafutura non è un partito, bensì un’associazione che interviene nel dibattito politico con analisi e proposte. Dare spazio e diritto di tribuna a idee e persone nuove: questo è dal primo giorno e ancora oggi il nostro obiettivo e il cuore della nostra attività. Nei tre anni di vita dell’associazione abbiamo presentato proposte concrete e attuabili su mobilità sociale, contratti, fisco, scuola, cultura, finanziamento dei partiti, riforme istituzionali e molti altri temi. Abbiamo speso la nostra voce per criticare il precedente governo quando era forte e (molto) vendicativo e quando la grande maggioranza delle classi dirigenti rinunciava al dovere di critica e applaudiva incondizionatamente anche quei ministri che sostenevano che l’Italia fosse uscita prima e meglio di altri dalla crisi. Così come abbiamo insistito sulle insufficienze della politica, sul fallimento della Seconda Repubblica e sulla totale mancanza di assunzione di responsabilità da parte dei suoi protagonisti.
Non abbiamo passato gli ultimi tre anni a fare il «gioco della vecchia politica», per usare le parole di Battista. Né certamente vogliamo iniziare ora, parlando di contenitori invece che di contenuti, di alleanze invece che di idee, di leadership individuali piuttosto che di ricambio complessivo di classe dirigente.
Italiafutura potrebbe anche diventare nei prossimi mesi un movimento politico a tutti gli effetti e presentarsi alle elezioni del 2013. Questa svolta la discuteremo insieme alle tante persone che sono parte attiva dell’associazione e che dovrebbero fare la scelta, non facile, di mettersi in gioco intraprendendo un nuovo percorso di vita. In quella sede discuteremo anche di leadership. Su questo punto voglio essere ancora una volta molto chiaro: non ho mai pensato che un mio eventuale ingresso in politica possa fare alcuna significativa differenza per il Paese. La situazione dell’Italia è tale da richiedere il passo in avanti di una nuova classe dirigente e forse di una nuova generazione (visto il disastro combinato dalla nostra), non di questo o di quel presunto superuomo.
Quel che posso dire con certezza già oggi è che, se Italiafutura deciderà di presentarsi alle elezioni, lo farà rispettando i propri valori e le aspettative di profondo e autentico rinnovamento di chi vi ha preso parte. Non siamo interessati ad alleanze gattopardesche né a fare da paravento a operazioni di finto rinnovamento che siano ispirate alla filosofia del «tutto cambi affinché niente cambi». Anche per questo, nei giorni scorsi, abbiamo tenuto a smentire, in maniera netta e categorica, che vi siano in corso colloqui con questo o quel partito.
Ciò non vuol dire mantenere «tutto sul vago». Sappiamo con certezza in quale campo ideale militiamo. Lo abbiamo dichiarato e scritto, non ultimo nel manifesto pubblicato poche settimane fa sul sito dell’associazione, www.italiafutura.it.
Ridurre la pressione fiscale tagliando la spesa pubblica è la priorità fondamentale, la prima condizione per qualsiasi credibile progetto per l’Italia. Riteniamo che questo sia il modo per tornare a giocare in attacco, rimettendo in circolo energie e risorse per la crescita. Pensiamo che lo Stato, oggi debole ma pervasivo, debba ridurre radicalmente il perimetro della propria presenza, dismettendo e tagliando tutto ciò che non rientra nelle sue funzioni fondamentali, per consentire all’iniziativa individuale di rimettere in moto il Paese. Abbiamo fatto in questo senso tante proposte concrete. Pensiamo che cultura e impresa siano i grandi volani della rinascita, sistematicamente trascurati dai governi di destra e di sinistra degli ultimi venti anni. Riteniamo che si debba rifondare il rapporto tra politica e cittadini, non avendo paura di dare agli italiani la possibilità di contribuire a determinare la legge elettorale e la forma di governo attraverso referendum confermativi. Dobbiamo rendere conto ai cittadini come a veri e propri «azionisti dello Stato», coinvolgendoli anche nella vigilanza sui tanti conflitti di interesse che rappresentano il vero rischio degenerativo di una società liberale. Siamo convinti che la risposta alla sempre più drammatica sofferenza di tanti lavoratori e produttori si trovi aumentando le occasioni di mobilità sociale, piuttosto che ingessando ulteriormente il Paese, a scapito in particolare delle donne e dei giovani. Pensiamo che la retorica della ricchezza individuale e dei ristoranti pieni abbia danneggiato la forza persuasiva di un’agenda di crescita e sviluppo, che deve invece mettere al centro il lavoro, il merito e il dinamismo dell’iniziativa produttiva. Abbiamo insomma un’incrollabile fiducia nelle capacità individuali degli italiani, che dovrebbero essere messi nelle condizioni di poter realizzare le proprie aspirazioni e capacità.
Per questo, indipendentemente da un nostro futuro e diretto impegno elettorale, lavoriamo per aprire un cantiere progettuale di tutte le forze sociali, culturali e politiche che si riconoscono nella stessa visione ideale. In assenza di un progetto credibile che sappia unire tutte le forze riformiste, milioni di italiani e una porzione significativa delle migliori energie del Paese rimarranno senza rappresentanza, dando spazio a populismi demagogici e distruttivi.
Luca Cordero di Montezemolo
Presidente di Italiafutura

IL BLOG DI GRILLO
È sempre più estraniante guardare cicciobombi e labbra turgide, megafoni dei partiti nelle televisioni nazionali, nei telegiornali, nei talk show. Provocano un senso di piccole cose di pessimo gusto, richiamano il profumo di fiori marci, l’odore pungente dei cespugli di bosso lungo i vialetti dei cimiteri. Le sagome che si agitano dietro lo schermo con l’estrema vitalità che talvolta precede le ultime ore di vita rammentano il dodo, l’uccello estinto, o gli ultimi giapponesi che combattevano a guerra finita in qualche atollo del Pacifico dopo il 1945.
Il loro lavoro di portavoci e anfitrioni, finora, lo hanno svolto egregiamente, hanno trasformato personaggi come Lupi, Formigoni, Alfano, Veltroni, Alemanno, Fini in giganti della politica. Li hanno tenuti in vita. In caso di difficoltà sono puntualmente accorsi, premurosi come crocerossine, a portargli la flebo. I partiti ora muoiono, cadono come foglie d’autunno. I conduttori sono animali domestici (pappagalli?) dimenticati dal padrone dopo un trasloco. I loro studi, dove hanno manipolato per decenni l’opinione pubblica, sono spogli, tristi. I partiti vi inviano figure di secondo piano, per fare presenza. I conduttori sono costretti a intervistarsi tra di loro, a scambiarsi opinioni di cui non frega niente a nessuno. Santoro intervista Lerner. La Annunziata intervista Santoro. La Gruber intervista Mieli. Hanno inventato l’informazione a ciclo chiuso.
Il programma del MoVimento 5 Stelle per l’informazione li riguarda da vicino, gli offre una via di fuga, l’opportunità di cimentarsi in una vera professione, non è mai troppo tardi. Alcuni punti sulla televisione:
- nessun canale televisivo con copertura nazionale può essere posseduto a maggioranza da alcun soggetto privato, l’azionariato deve essere diffuso con proprietà massima del 10%
- le frequenze televisive vanno assegnate attraverso un’asta pubblica ogni cinque anni
- abolizione della legge del governo D’Alema che richiede un contributo dell’uno per cento sui ricavi agli assegnatari di frequenze televisive
- vendita ad azionariato diffuso, con proprietà massima del 10%, di due canali televisivi pubblici
- un solo canale televisivo pubblico, senza pubblicità, informativo e culturale,indipendente dai partiti
- abolizione della legge Gasparri.
Loro non si arrenderanno mai (ma gli conviene?). Noi neppure. Ci vediamo in Parlamento.