Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2012  maggio 22 Martedì calendario

«IL KILLER DAVANTI ALLA SCUOLA ANCHE UNA SETTIMANA FA». LE STUDENTESSE: CI FISSAVA —

La lunga giornata di caccia finisce davanti al portone sbrecciato di una casa popolare nel quartiere Sant’Elia.
All’ultimo piano vivono due fratelli, uno di loro avrebbe tutto per essere la preda che l’Italia intera vuole catturare. Ha una età compresa tra i 50 e i sessant’anni, ha competenze elettrotecniche, come dimostra la sua vecchia Punto dotata di avveniristica antenna e qualche strumento sul tetto del palazzo. Ha il braccio destro leso che gli vale una pensione di invalidità e molti sospetti, perché si tratta delle stessa menomazione dell’uomo ripreso dalle videocamere mentre fa esplodere l’ordigno. In casa custodisce riviste di guerra e di tiro tattico sportivo, fa vita molto appartata: molto vicino al profilo fisico e psicologico dell’assassino, ma solo in teoria.
Qualche indizio, però manca la prova, almeno quella definitiva. E quindi questa mattina si ricomincia da capo, i mostri sono ancora là fuori, la voglia dei media di avere una risposta cresce. Ma non è vero che il tempo passa inutilmente. I due fratelli escono da uomini liberi dalla Questura dopo un lunghissimo interrogatorio. Il loro ritorno a casa avviene dopo che da Roma è arrivata la risposta sul confronto delle loro foto con le immagini del bombarolo ripreso dalla telecamera del chiosco davanti alla scuola. Non corrispondono, almeno non abbastanza per emettere un provvedimento di fermo. La voce che questa fosse la volta buona intanto ha preso piede in città, e alle nove di sera sotto agli uffici della questura c’era un discreto numero di passanti convinti della loro colpevolezza e animati da pessime intenzioni di giustizia fai da te.
Il clima è questo, e non aiuta certo chi deve fare indagini tutt’altro che semplici. La speranza di ottenere un Dna, finora dato come acquisito, rimane tale, perché la progressione del video ripreso dalle due telecamere del chiosco mostra una sorta di continuità nei gesti dell’attentatore, che arriva, preme il pulsante di quello che si suppone possa essere un congegno capace di attivare l’ordigno, e prima di andarsene nella direzione opposta si nasconde per una quarantina di secondi nello spazio tra il muro e la parete del baracchino, poco per lasciare sul posto mozziconi di sigaretta. I controlli vengono fatti su tutte le «cicche» raccolte nel piazzale, complicando così la possibilità di isolare un unico Dna.
Gli investigatori sono arrivati ai due fratelli stringendo il campo, che ormai si riduce a persone con determinate caratteristiche. Il plurale non è un errore, perché la convinzione che l’attentato sia opera di più persone prende piede ogni giorno di più, corroborata anche da elementi logici: a conti fatti il cassonetto con dentro le tre bombole a gas doveva avere un peso superiore ai cinquanta chili, probabilmente troppo per un assassino solo.
Quel che c’è, oltre che dall’ormai celebre filmato e da due testimonianze notturne sull’uomo che ha spostato il cassonetto, arriva dal lavoro fatto nei giorni scorsi mostrando il fotogramma a coloro che vivono di fronte alla scuola e frequentano il giardinetto antistante. C’è un discreto numero di persone che afferma di aver visto una persona compatibile con quella fisionomia nei giorni che hanno preceduto l’attentato, 7 o 10 a seconda delle testimonianze.
Raccontano di averci fatto caso per la sua insistenza nel fermarsi in quel posto senza fare nulla, qualcuno aggiunge di averlo visto consultare un computer su una delle quattro panchine che circondano questo piccolo spazio verde davanti all’Istituto Francesca Morvillo Falcone. Una specie di sopralluogo, dicono gli investigatori, oppure una inchiesta preliminare su un attentato da compiere.
Dicono i magistrati che le testimonianze vanno soppesate con la giusta cautela, a causa di possibili imprecisioni dovute all’emotività o alla sincera tanta voglia di dare il proprio contributo, come accade in queste ore, dove la Questura di Brindisi e le caserme dei carabinieri sono sommerse di segnalazioni su persone appassionate di elettrotecnica e soprattutto con invalidità alle braccia, come dovrebbe avere l’uomo ripreso dalla videocamera durante l’attentato.
È un discorso che vale per tutti. «Quell’uomo guardava proprio noi, lo ha fatto per giorni interi». Vale anche per le ragazze ferite, alle quali sono state mostrate in ospedale le immagini del video e un identikit, definito ancora come «provvisorio». Due di loro hanno raccontato di aver notato una persona con quelle caratteristiche che fissava con insistenza la scuola. Una presenza fissa per qualche tempo, che quando incrociava lo sguardo con qualche ragazza, abbassava gli occhi. «Lo chiamavamo il maniaco».
Ci vuole cautela, perché l’emotività è davvero tanta. Un’altra ragazza ferita ha detto agli inquirenti di sentirsi in colpa. È effettivamente parente di un pentito della Sacra Corona Unita, ma nonostante le sue parole l’ipotesi di una ritorsione nei suoi confronti è considerata poca cosa. La convinzione crescente di un attentato studiato con cura tramite appostamenti, qualche persona più sospettata di altre, tante perquisizioni in giro per la città, presunti colpevoli esposti al pubblico ludibrio. Così è dura.
Marco Imarisio