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 2012  maggio 22 Martedì calendario

LAUREARSI? C’È LA CRISI, NON SERVE

Il rapporto AlmaLaurea sui laureati italiani giunge in un momento particolarmente delicato: trattando ormai quasi esclusivamente di percorsi di studio post 3+2 consente riflessioni su un campione omogeneo, e, prendendo in esame i dati del 2010, fotografa una situazione economica già molto deteriorata, con forte impatto sulla scelta dei giovani di proseguire gli studi dopo la scuola secondaria e ancor più sul destino dei laureati.
Il quadro che emerge dall’indagine (sarà presentata oggi a Napoli, al Centro Congressi Federico II, a partire dalle ore 10) è prevedibilmente in chiaroscuro, ma non sono pochi i segnali incoraggianti sulla qualità dell’esperienza universitaria. Anche se i fuori corso, soprattutto tra gli studenti lavoratori, sono ancora molto numerosi, la regolarità degli studi è in crescita, come pure la percentuale di studenti che frequentano la maggioranza delle lezioni e di quelli che svolgono tirocini, stage o periodi di studio all’estero. L’età della laurea scende, pur restando elevata e rivelando quindi problemi per quanto riguarda sia l’orientamento rispetto alla scelta dei corsi che il difficile equilibrio tra Università e lavoro. La mobilità sociale è anch’essa in aumento, se solo il 24% dei laureati conta un genitore laureato. Non altrettanto può invece dirsi di quella geografica. Oltre la metà degli studenti si iscrive nella provincia di residenza, e l’unico flusso migratorio consistente, quello verso il Centro e il Nord di quasi il 40% dei diplomati meridionali, si spiega più che altro con lo scetticismo sulle prospettive occupazionali nel Mezzogiorno. Non si tratta, insomma, di mobilità accademica in senso stretto, ma di un’anticipazione già a livello degli studi di una tendenza all’emigrazione per motivi economici che spinge a partire anche un quinto di coloro che si sono laureati nelle università del Sud.
I dati più preoccupanti sono proprio quelli sugli sbocchi occupazionali disponibili per chi la laurea è riuscito a guadagnarsela. Tra il 2008 e il 2010 l’Italia, unica tra i principali Paesi europei, ha visto un calo significativo nelle assunzioni di professionalità ad alta specializzazione, sia di tipo manageriale che di tipo scientifico e intellettuale. Eravamo già ben al di sotto della media Ue quanto alla propensione delle imprese ad assumere giovani con un curriculum di studi universitario, ora peggioriamo ulteriormente in numeri assoluti e in percentuale: mentre tutta la Ue, e soprattutto Gran Bretagna e Olanda, ma anche Francia, Spagna e Germania, reagiscono investendo di più in professionalità avanzata, noi facciamo il contrario.
Non può stupire, in questo quadro, il calo degli immatricolati. La realtà demografica è avversa, perché i diciannovenni sono oggi quasi il 40% in meno del 1984 e l’afflusso di immigrati potrà nel prossimo futuro frenare la caduta ma non promuovere un recupero, anche se nel frattempo è quasi raddoppiata, nello stesso periodo, la percentuale di studenti che conclude gli studi secondari, passata dal 40 al 73%. Resta il fatto che mentre nel 2003 il 72,6% dei maturi si iscriveva all’Università, nel 2009 si è scesi al 63,3. Si tratta di un calo pesante che si spiega solo in parte con la minore disponibilità economica delle famiglie affannate dalla congiuntura, mentre un ruolo decisivo sembra essere rivestito proprio dal peggioramento netto delle opportunità di lavoro dopo la laurea. Il divario tra la remunerazione di chi è laureato e chi non lo è resta, anche se in Italia è storicamente meno accentuato in altri Paesi, ma la percezione che gli sforzi compiuti per andare all’Università non trovino poi adeguata ricompensa al momento di entrare sul mercato del lavoro costituiscono un deterrente notevole. Anche l’elevatissima percentuale di laureati che si iscrivono alla specialistica, oltre il 60%, è sintomo della difficoltà di inserimento rapido e soddisfacente nel mondo del lavoro.
Come si esce da questo circolo vizioso, che, tra l’altro, rende sempre più difficile passare dell’attuale 20% alla media europea del 40% di giovani laureati? Il sostegno economico agli studi universitari resta fondamentale, e presenta com’è noto ampi margini di miglioramento sia nella quantità che nella qualità dei servizi erogati. Molto di più si può fare per irrobustire l’orientamento e per far scendere l’età dei laureati. Ma tutto questo rischia di non bastare se il sistema produttivo non punta decisamente sull’innovazione, includendo l’incremento della qualificazione dei neo-assunti tra i suoi obiettivi strategici: investire in talenti è la scommessa migliore che si può fare sul futuro, specie al tempo della crisi.