Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  marzo 02 Mercoledì calendario

Nel 1993 in Italia c’erano un milione di giovani di età tra i 15 e i 24 anni disoccupati, metà nel Centro-Nord e metà nel Mezzogiorno

Nel 1993 in Italia c’erano un milione di giovani di età tra i 15 e i 24 anni disoccupati, metà nel Centro-Nord e metà nel Mezzogiorno. Nei quindici anni successivi nel Centro-Nord i giovani disoccupati si erano drasticamente ridotti, diventando appena 160 mila nel 2007, e anche nel Mezzogiorno si erano più che dimezzati, diventando 214 mila. Eppure ancora ieri la notizia sembrava essere che oggi un giovane su tre è disoccupato. L’Istat ha fornito le cifre. A gennaio il 31,2% delle persone fino a 25 anni risultava senza un lavoro. Il problema è che quel dato si riferisce ai giovani attivi, cioè a quelli occupati o in cerca di impiego. E quindi non alla totalità dei giovani. La percentuale altrimenti sarebbe drasticamente ridotta ben sotto il 10%. Il rapido calo del quale si diceva all’inizio è dovuto infatti al forte incremento di studenti superiori e universitari, oltre che all’istituzione e alla diffusione di contratti di lavoro flessibile, che hanno permesso una crescita dell’occupazione maggiore dell’aumento del prodotto. Questo non significa che il problema sia risolto. Anche perché con la crisi le cose cambiano. I giovani disoccupati sono comunque più di mezzo milione, e rispetto al 2007 sono aumentati soprattutto nel Centro-Nord. Nello stesso tempo, il problema affligge anche i loro fratelli maggiori. I disoccupati di età tra i 25 e 34 anni — fra cui anche molti laureati — sono oggi un milione e 200 mila, ossia 300 mila in più rispetto al 2007. Quindi, neanche contratti di ingresso assai favorevoli per le imprese riescono più a garantire un numero sufficiente di nuovi occupati. Il problema perciò resta e suggerisce due riflessioni. I giovani proprio in questi mesi stanno scegliendo la scuola superiore e l’università. Forse in questi tempi difficili conviene privilegiare buone scuole e buone università, e indirizzi più appetiti dal mercato del lavoro, mettendo in secondo piano inclinazioni personali. Perché oggi — a differenza di qualche anno fa — una laurea qualsiasi non basta per trovare un buon lavoro. In secondo luogo non sembra ragionevole pensare che una riforma del mercato del lavoro — per quanto ben costruita e lungimirante — possa spingere verso l’alto l’occupazione. Quanto sta accadendo in Europa durante questi mesi dimostra che solo una sostenuta crescita economica può garantire nuovi posti di lavoro. Perché solo se le prospettive di profitto diventano concrete, alle imprese conviene investire su nuovi occupati, perché ricaveranno dal loro lavoro un profitto maggiore del costo. Le imprese italiane che continuano ad assumere sono quelle che sono riuscite a cogliere il vento di ripresa che soffia sul mondo, ma fatica a varcare i confini dello stivale. Se e quando il refolo di vento si irrobustirà, i giovani lavoratori diventeranno una «merce rara», e la disoccupazione diminuirà. Gianpiero Dalla Zuanna