Varie, 16 gennaio 2011
APERTURA FOGLIO DEI FOGLI 16 GENNAIO 2011 - «È
la nostra Tienanmen» [1], «’sti comunisti ce stanno a magnà er core» [2]: per la gran parte della giornata di venerdì i tassisti hanno tenuto in scacco le principali città d’Italia per protestare contro la liberalizzazione delle licenze. Grazia Longo: «Nonostante l’interruzione del servizio fosse stata annunciata per il 23 gennaio, da Torino a Napoli, da Milano a Palermo, con la capitale in testa, è stato tutto un disagio. Metropoli paralizzate, aeroporti e stazioni ferroviarie senza un taxi neanche a pagarlo a peso d’oro, turisti e cittadini infuriati. L’Autorità di garanzia sugli scioperi ha scritto ai prefetti per sollecitare la precettazione dei taxi. Richiesta giudicata dai sindacati “fuori dalla realtà”». [3]
Per condurre un taxi in Italia serve una licenza limitata a un’area territoriale circoscritta, i turni di lavoro sono rigidi, le tariffe sono fissate. Alberto Statera: «Un caso da manuale di concorrenza perfetta, tanti produttori, tanti acquirenti, basse barriere all’entrata, diventa così l’emblema della “rendita distorsiva”. Andrea Boitani e Angela Bergantino, due economisti che hanno studiato la questione partendo dalla riforma della Nuova Zelanda sostengono che dove si sono liberalizzate le licenze si sono migliorati i requisiti qualitativi ed è stato introdotto l’obbligo di frequentare corsi di aggiornamento. Le tariffe sono scese e la domanda è aumentata in Olanda, in Svezia, in Irlanda, in Australia». [2]
I tassisti italiani sono circa 30 mila (7.850 nella capitale). [4] Andrea Garibaldi: «Pochi? Guardiamo i confronti europei per città (dati Cgia, Istat e altri). Milano ha 3,7 taxi ogni mille abitanti, meno di Dublino (9,5 ogni mille), ma più di Londra (2,9). Roma è a 2,8, meglio di Parigi (2,5) e di Berlino (1,9). Nella media anche l’analisi dei costi: l’Eurotest 2011, che ha preso in esame la tariffa media per sette chilometri di percorso, dà per Roma un risultato di 11,22 euro, per Milano 12,18. Molto vicini a Parigi (11,18) e a Vienna (12,92), più alti di Lisbona (7,98), più bassi di Amsterdam (22,24). Ma non è sulla speranza di abbassare i prezzi che punta il governo dei tecnici, piuttosto sulla possibilità di sciogliere il mercato e aumentare l’occupazione». [5]
Ogni riforma del settore è complicata da una fondamentale anomalia. Garibaldi: «Le auto pubbliche fanno servizio pubblico, gestito però da privati con interessi privati. Le licenze sono messe a concorso dai Comuni, che le hanno concesse, fino a pochi anni fa, gratis. Solo che poi i vincitori dei concorsi disponevano della licenza, vendendola, a fine carriera o in ogni momento, a caro prezzo. Per questo i tassisti sono come tori dinnanzi al rosso quando si parla di aumento di licenze: la licenza è la loro “liquidazione”, guai a chi minacci deprezzamenti. Indicativamente oggi i prezzi vanno dai 150 mila euro a Roma, ai 200 mila a Bologna, a 180-210 mila a Milano, a 60 mila a Bari. Solo da pochi anni i Comuni possono dare le licenze a pagamento e da pochi anni l’Agenzia delle entrate non tollera finti passaggi di proprietà a titolo gratuito, se non a parenti di primo grado. E, di conseguenza, tassa i trasferimenti di licenza. Per decenni, tutto si è svolto all’insegna del “nero”». [5]
«Le licenze ormai non attraggono più. Quando è morto un nostro collega, ad Ivrea, nei due anni successivi la vedova non è riuscita a trovare nessuno che rilevasse la licenza e neppure il Comune voleva ritirarla» (Pier Giovanni Bestente, presidente della cooperativa 5730). [6] I tassisti italiani dichiarano in media guadagni mensili di 1300 euro a testa. Andrea Garibaldi: «È per questo che difendono, ogni volta, lo status quo? L’altro giorno un tassista di Bologna ha detto al Corriere.it di essere “costretto a evadere il 40 per cento degli incassi per campare”». [5] Statera: «Un tassista in una grande città come Roma o Milano guadagna davvero 2 mila euro al mese o in realtà più del doppio, con un’evasione almeno al 50 per cento? E quei 200 mila euro forse investiti non sono il prezzo per godere di un’evasione fiscale di fatto autorizzata da norme e regolamenti?». [2]
Come funziona nel resto del mondo? In Germania circolano circa 50mila taxi, 7.200 a Berlino, dove non ci sono limitazioni alle concessioni; in Francia per ottenere la licenza occorre passare un concorso che ha validità solo per la regione in cui viene effettuato, a Parigi il guadagno, da dipendente di una società di taxi, arriva a 3mila euro al mese; a Londra non ci sono restrizioni, la domanda per ottenere la licenza costa circa 40 euro, serve un esame (iter 2-3 anni); a New York i taxi gialli (circa 40mila con le limousine) sono di proprietà della New York city taxi and limousine commission (Tlc), un’agenzia municipale che appalta la licenza a numerose compagnie private. [4]
Giovedì il consiglio dei ministri potrebbe dare il via libera alla liberalizzazione. Il Corriere della Sera: «L’aumento delle licenze dovrebbe essere accompagnato delle compensazioni “una tantum” per gli attuali titolari, cui potrebbe essere assegnato l’introito di un’eventuale asta, oppure attribuita una nuova licenza gratuita, con la possibilità di venderla o di affittarla. A fronte di questo il governo ipotizza maggior flessibilità “nella determinazione degli orari di lavoro”, la possibilità di farsi sostituire alla guida da chiunque ne abbia i requisiti, di fare servizi fuori dall’area per la quale è stata rilasciata la licenza, ma anche “maggior libertà nella fissazione delle tariffe e nella loro pubblicizzazione in forma corretta e trasparente”». [7]
«Monti farà la fine di Friedman», diceva venerdì un Luca tassista milanese laureato, ex impiegato in una casa editrice [2]. Che fine ha fatto Milton Friedman? «Ha fallito su tutto, come dimostra la crisi globale del capitalismo liberista e anche sui taxi». Statera: «In effetti, il premio Nobel per l’economia, autore di “Capitalism and Freedom”, già nel 1962 fece un caso di scuola del mercato delle auto pubbliche. Un mercato che sembra semplicissimo - domanda e offerta - ma che è infarcito di regolamenti, lobby, mafie, fino a farne di fatto un insulto al libero mercato. In mezzo mondo hanno provato ad affrontare il problema e in molte grandi città in vari continenti ci sono riusciti. Da noi il tentativo di Pierluigi Bersani del 2006 è fallito ed è costato al centrosinistra la poltrona di sindaco di Roma. Ora mina il governo dei professori». [2]
Tra i taxisti milanesi che venerdì protestavano davanti alla Stazione Centrale c’erano un ex organizzatore lirico, un ex vigile urbano, un ex magazziniere della Rinascente, un ex operaio. Statera: «Come se l’auto pubblica fosse ormai l’ultima spiaggia di un paese senza lavoro e con bassi redditi. Uno di loro sventola un libro con un titolo nero su una fascia gialla intitolato “Taxi driver in rivolta a New York”, autore Biju Mathew, docente di Economia ed effetti della globalizzazione alla Rider University di New Jersey. Il libro racconta la protesta che unì a New York contro Rudolph Giuliani trentamila tassisti di ottanta etnie diverse. “Che farà Monti? - arringa i colleghi uno dei rivoltosi - Getterà le basi di un nuovo oligopolio simile a quello dei broker capitalisti di New York, che affamano poveracci in arrivo dal resto del mondo con bassi salari e turni da schiavi”». [2]
Il “modello New York” terrorizza i nostri tassisti. Garibaldi: «Taxi acquistati da società di investimento e poi dati in affitto agli autisti, condannati ad autosfuttarsi (ore e ore al volante). Così, pensano, in Italia le auto bianche finirebbero nella mani di Confindustria, di nuove compagnie come quella di Montezemolo e Della Valle per i treni, ci sarebbe una trasformazione epocale del mercato, fatto oggi di tanti piccoli “padroncini”, al massimo associati in cooperative. A livello individuale poi, il terrore è che le liberalizzazioni annunciate dal governo Monti facciano crollare il valore della licenza da tassista. Anche se a New York, lo scorso ottobre, due licenze di taxi sono state vendute alla cifra record di un milione di dollari l’una». [5]
Invece di viversi come lobby piuttosto aggressive e tentate dallo scambio politico, le organizzazioni dei conducenti di auto pubbliche dovrebbero trovare la capacità di reinventare il loro ruolo e di mettere a punto soluzioni innovative. Dario Di Vico: «Senza bisogno che arrivi il grande capitale si possono sperimentare o ampliare pratiche di sinergia e di razionalizzazione dei costi. Si può inventare un marketing del servizio taxi che allarghi il mercato, che si rivolga a fasce di utenza che oggi non usano le auto bianche. È “da cinesi” provare a lanciare offerte-abbonamento per i genitori che tutte le mattine devono accompagnare i bambini a scuola e impazziscono per trovare il parcheggio?». [8]
«I periodi delle vacche grasse sono finiti e anche lobby di ben altra consistenza se ne sono dovute fare una ragione» (Di Vico). [8] Segnata da proteste “selvagge” ma isolate, la giornata di venerdì sembra aver convinto l’Esecutivo che in fondo la situazione sia gestibile. Roberto Giovannini: «Se si colpiscono le Ferrovie dello Stato scorporando la rete ferroviaria; se si dà una botta alle Poste liberalizzando la consegna della posta ordinaria; se - come si sta pensando, nonostante Catricalà non ne fosse convinto, si stacca la rete di distribuzione del gas dall’Eni; se tutto sommato i farmacisti sono stati rabboniti e hanno accettato il pacchetto; se i petrolieri perderanno l’esclusiva sulle pompe di benzina; se persino le banche dovranno subire (questo è il progetto allo studio) tagli delle commissioni e dei costi dei conti correnti, la protesta dei tassisti evidentemente diventa un problema poco rilevante». [9]
Note (tutte le notizie sono tratte dai giornali del 14/1): [1] Francesco Prisco, Il Sole 24 Ore; [2] Alberto Statera, la Repubblica; [3] Grazia Longo, La Stampa; [4] Il Sole 24 Ore; [5] Andrea Garibaldi, Corriere della Sera; [6] Augusto Grandi, Il Sole 24 Ore; [7] Corriere della Sera; [8] Dario Di Vico, Corriere della Sera; [9] Roberto Giovannini, La Stampa.