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 2011  dicembre 31 Sabato calendario

QUANDO LA LADY DI FERRO VOLLE PAGARSI L’ASSE DA STIRO —

La data è il 25 giugno 1979. Il titolo: «Spese per la ristrutturazione di Downing Street». Una sotto l’altra, le voci che assieme compongono l’ammontare totale: 1.836 sterline. Pulizia tappeti 527 sterline, lavaggio biancheria 25 sterline, e così via, tutto annotato con precisione in due colonne perfettamente allineate (macchina da scrivere e inchiostro rosso).
Le contestazioni del titolare dell’abitazione, la neo-eletta Margaret Thatcher, spiccano in blu, tratti decisi e angolari: 19 sterline per un’asse da stiro? «Posso usare la mia, desidero pagarla di tasca mia». 464 sterline per sostituire cuscini e biancheria? «Dato che Denis ed io usiamo solo una (sottolineato due volte) camera da letto possiamo tenere il resto da parte». 123 sterline per rilucidare i mobili? Pesante cerchio blu attorno alla cifra.
Tempi di crisi economica, di tagli alla spesa pubblica, di violenti disordini e anche, per completare la somiglianza con i nostri giorni, di un matrimonio reale. Allora erano Carlo e Diana, non William e Kate, ma le nozze provocarono, proprio come quelle celebrate quest’anno all’Abbazia di Westminster, «un tangibile miglioramento nell’umore del Paese».
Passano trent’anni ed ecco che dall’archivio nazionale di Kew emergono gli incartamenti relativi al primo mandato della Lady di Ferro, documenti in alcuni casi inediti che oggi causano un certo scalpore: come il pronunciamento del Cancelliere dello Scacchiere della Thatcher, Geoffrey Howe, adesso Lord, che avvertiva la premier che investire a Liverpool per invertirne il degrado economico poteva essere uno spreco di risorse, per altro già limitate. Il terreno della contea di Merseyside dove sorge Liverpool secondo Howe non era fertile alla crescita, bensì «roccioso». L’impresa sarebbe risultata simile a un tentativo di «far scorrere l’acqua al contrario». Soldi sprecati, insomma, meglio abbandonare la città dei Beatles a un «declino vigilato».
Howe, che a differenza della Thatcher gode di buona salute ed è in grado di difendere le proprie opinioni, ha sottolineato ieri che la lettera è solo una piccola parte del dibattito che in quei giorni infuriava su come e dove investire all’indomani dei disordini e alla luce di un tasso di disoccupazione altissimo, soprattutto tra i giovani. «Mi premeva — ha detto — che i fondi che avevamo fossero investiti in zone dove potessero produrre veri cambiamenti. In più volevo assicurarmi che i soldi che avevamo già versato a Liverpool fossero utilizzati al meglio, prima di aggiungerne altri».
Per Michael Heseltine, che fu ministro dell’Ambiente e della Difesa della Thatcher prima di innescare la crisi che portò alle dimissioni della Lady di Ferro nel novembre del 1990, «non si può giudicare oggi quello che venne fatto allora senza capire tutte le circostanze». «La vera questione — ha sottolineato — è se abbiamo fatto la cosa giusta, e senza dubbio l’abbiamo fatta». Margaret Thatcher oggi è incapace di parlare e spiegare, anche volendo non potrebbe confermare il ritratto che emerge dagli archivi di Kew, che comunque non è sostanzialmente diverso dall’immagine che si è sempre avuta della prima e finora unica premier donna del Regno Unito. Forte e intransigente — pronta ad esempio ad armare la polizia per arginare i tumulti e ad alimentare artificialmente i detenuti dell’Ira come Bobby Sands che a Belfast stavano facendo lo sciopero della fame — ma anche incapace di accettare la realtà sociale e storica di un Paese diviso. Stando al resoconto di un cardinale irlandese, la Lady di Ferro gli espresse nel 1982 una certa incomprensione della continuata ostilità irlandese nei confronti dell’Inghilterra. Dopotutto anche i tedeschi oggi sono disposti a essere nostri amici, disse. Forse, le rispose il cardinale, è perché l’Inghilterra non occupa più la Germania.
Sorprendente, invece, la Thatcher in versione domestica. Perfetta amministratrice, madre e moglie attenta, pronta anche, nonostante i tanti impegni, a lamentarsi con un celebre produttore di pigiami sulla scomodità di un modello indossato dal marito Denis.
Paola De Carolis