Paolo Stefanato, il Giornale 27/10/2011, 27 ottobre 2011
«L’articolo 8 è un passo in avanti ma non basta» - L’articolo 8 della manovra finanziaria cambia le regole del mercato del lavoro dando maggiore importanza alla contrattazione aziendale
«L’articolo 8 è un passo in avanti ma non basta» - L’articolo 8 della manovra finanziaria cambia le regole del mercato del lavoro dando maggiore importanza alla contrattazione aziendale. Ha suscitato dibattito e polemiche perchè attacca temi intoccabili, quale la rappresentatività dei sindacati o un antico tabù come il licenziamento. Chiediamo a Guidalberto Guidi, presidente di Ducati Energia ed ex vicepresidente di Confindustria: le nuove norme si possono dire una spallata? si profilano autentici cambiamenti nei rapporti tra lavoratori e impresa, tra lavoratori e sindacato? «Mi lasci fare una premessa- risponde l’imprenditore bolognese - su come vedo oggi la situazione della nostra industria manifatturiera. La vedo come una piramide: la cuspide è fatta di aziende che hanno saputo delocalizzare, che hanno investito in ricerca e sviluppo, che si sono aperte a nuovi mercati, e che grazie a queste attitudini sono in crescita anche in questi anni di crisi. In altre parole, hanno sostituito le braccia con i cervelli: hanno personale ad alta e altissima specializzazione anche nelle figure operaie. Producono fatturato e reddito in buona parte del mondo». E le altre, la parte bassa delle piramide? «Le altre sono a rischio. Il castello burocratico-sindacal-giuridico su cui è fondato il nostro diritto del lavoro fa pensare all’utilizzo nei nostri mari attuali del codice della navigazione dei fenici: antistorico. Se si guarda poi alle mutazioni del mercato degli ultimi anni, tutto è più difficile: non ci sono ordini, o comunque sono in calo, quelli che arrivano vengono confermati all’ultimo momento, le materie prime hanno andamenti parossistici. L’imprenditore deve quotidianamente destreggiarsi per attutire al massimo i rischi ai quali è esposto. Ma, nonostante tutto questo, si continuano a celebrare le liturgie sindacali, continua a dettar legge lo Statuto dei lavoratori: non è possibile! Quindi, per venire alla sua domanda» Cioè se l’articolo 8 si possa considerare una spallata... «Le dico che gli accordi per le deroghe sono un passo avanti. Ma è come aver fatto dieci metri su una strada di 300 chilometri. Briciole». Non è utile? «Lo è, ma non abbastanza». Perchè? «L’industria in Italia oggi non soffre soltanto per la crisi provocata dai subprime. Sì, la crisi è forte, ma le sue ragioni in Italia risalgono al 1970. Non dico che proprio tutte le colpe siano dello Statuto dei lavoratori, ma questo ha certo le sue responsabilità sull’incapacità di crescere delle aziende e sul nanismo internazionale della nostra impresa. A questo va aggiunta anche la scarsissima propensione degli attori internazionali a investire in Italia. Su tutto questo la legge 300 del 1970 ha profonde responsabilità ». Lei a questo punto che cosa farebbe? «Le dico una cosa: se si buttasse nel cestino lo Statuto, compreso l’articolo 18, il 70% del lavoro precario privato in un anno verrebbe riassorbito». Ne è davvero sicuro? «Ci sono decine, centinaia di azienda da 70-100-120 dipendenti che sono state frazionate in piccole realtà autonome da 14 dipendenti: quegli imprenditori- potrei farle un sacco di nomi, ma non glieli faccio- non vogliono il sindacato in azienda, e allora si fermano sotto quota 15. Prima di superare questa soglia creano un’altra azienda. È un’aberrazione. Vogliono evitare qualunque contenzioso sindacale, partendo dalla radice, dai presupposti. Poi vogliono un’altra cosa, molto sentita». Che cosa? «Vogliono liberarsi di un dipendente che non abbia più il requisito della fiducia con lo stesso metodo con cui ci si separa da una moglie: pagando. In tutto il mondo, Grecia compresa, il licenziamento è un atto semplicemente economico. Il diritto al reintegro non esiste in alcun Paese. Anzi...» Anzi? «In giro per il mondo se parli di reintegro ti guardano come se tu fossi un marziano. Nell’Europa continentale esisteva solo in Italia e in Grecia, ma ad Atene è stato soppresso di recente, anche per il settore pubblico, cosa che sarebbe opportuna anche da noi». Lavoratori e aziende sono più lontane anche in termini retributivi: il salario è lontano dal costo del lavoro. «I problemi delle aziende sono tanti: burocrazia, tardivi pagamenti della Pubblica amministrazione, lentezza dei grandi investimenti infrastrutturali che sono il motore dell’economia, la tassazione: oggi il carico fiscale sulle aziende è tra il 50 e il 60 per cento». Ma la forbice retributiva è troppo ampia. «I numeri sono questi: per una retribuzione lorda di 100, al lavoratore va in tasca 80, ma il costo per l’azienda è di 210. La retribuzione lorda di un operaio è di 9- 10 euro all’ora,cui vanno tolti contributi e tasse. Rispetto alla Cina non ce la faremo mai. Ma conosco, per esperienza diretta, molti altri Paesi: per esempio nell’Europa dell’Est le retribuzioni sono di 2-3-4 euro all’ora». Ma allora,l’articolo 8,che cosa può cambiare? «Poco. È un primo mattone. Non porta reali novità, solo qualcosa. Non è sicuramente un toccasana ». E della crisi che cosa dice? «Che per uscirne non c’è una ricetta, dobbiamo rendercene conto. Sarà un percorso duro e lungo. Non c’è Decreto Sviluppo che tenga. Sarà comunque una crisi duratura e difficile». È ottimista o pessimista? «Sono ottimista per mestiere. Ma il problema è semplice: dal 1970 abbiamo deciso di vivere del 20-30% sopra gli standard che potevamo permetterci. Oggi ci è arrivato il conto. Però le voglio dire una cosa fondamentale, per concludere ». Prego. «Che è semplicemente ridicolo accostare l’Italia alla Grecia, al Portogallo, all’Irlanda, alla Spagna. Noi siamo dieci volte più patrimonializzati e più industrializzati. Non c’è alcun confronto possibile ».