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 2011  ottobre 27 Giovedì calendario

Ecco la verità sulle pensioni: gli altri stanno peggio di noi - Quasi occultata in uno dei soli­ti, ponderosi studi della Commis­sione europea, c’è una tabellina fit­ta di cifre

Ecco la verità sulle pensioni: gli altri stanno peggio di noi - Quasi occultata in uno dei soli­ti, ponderosi studi della Commis­sione europea, c’è una tabellina fit­ta di cifre. Vi si racconta, prenden­do in esame i principali Paesi del­l’euro zona, il peso sulla ricchezza complessiva di ciascun Stato del Welfare, cioè pensioni, assistenza sanitaria e i vari meccanismi di pro­tezione contro la disoccupazione. L’analisidiBruxellescopreunperi­odo che va dal 2010 al 2060. L’arco temporale è sostanzialmente lo stesso più volte citato dall’Inps per ricordare la sostenibilità del nostro sistema previdenziale. Il rapporto non entra nel merito, ma proprio dai numeri si può capi­r­e che non siamo messi poi così ma­le. Oggilaspesapensionisticaequi­vale nel nostro Paese al 14% del Pil. È una percentuale tra le più eleva­te, anche se bisogna considerare che la penisola fa parte a livello mondiale- insieme con Giappone, Germania, Grecia e Svezia - del club degli Oldest 5, ovvero delle cin­que nazioni con il più alto tasso di persone sopra i 65 anni. A una popo­laz­ionepiùvecchiadellamediacor­risponde, ovviamente, una mag­gior spesa destinata al pagamento delle pensioni. Ciò non è però al­t­rettantoautomaticoperquantori­guarda le spese per la sanità: in Ita­lia si destina quasi il 6% del prodot­to lordo, contro il 7,6%, per esem­pio, in Germania. L’elemento più interessante è però quello relativo al «carico» pensionistico, che nelle stime della Commissione scende­rà dello 0,4% nel 2060 rispetto al 14% attuale. Un comportamento virtuoso che può essere esteso an­che al peso complessivo sul Pil del­l’intesa struttura di Welfare, che passerà in 50 anni dal 26 al 27,6%. Lo stesso rapporto sottolinea come in altre aree dell’Unione gli incre­menti saranno ben più onerosi per le casse pubbliche. La Francia ve­drà crescere la spesa di oltre due punti percentuali, la Germania di più di 5 punti e la Spagna di oltre 8 punti. Il più contenuto impatto del­la sp­esa pensionistica sul Pil è stret­tamente legato alle riforme effet­tuate dall’Italia negli ultimi 15 an­ni. Sette per l’esattezza (firmate da Amato, Dini, Prodi, Maroni, Prodi-Damiano, Sacconi-Brunetta e Tre­monti), etutteconuntripliceobiet­tivo: innalzare l’età pensionabile; aumentare i contributi previden­ziali; ridurre l’importo degli asse­gni attraverso i diversi metodi di cal­colo delle pensioni, con il passag­gio dal vecchio e più oneroso siste­ma retributivo a quello contributi­vo. L’apripista,nel 1992,fu il gover­no Amato che cominciò a porre le basi per alzare l’età pensionistica a 65 anni per gli uomini e a 60 per le donne, oltre a prevedere 35 anni di contribuzione sia per i lavoratori privati, sia per quelli pubblici. Con la successiva riforma Dini (1995), ecco l’introduzione del sistema di calcolocontributivo:l’importodel­la pensione viene misurato in base alcalcoloretributivosoloperquan­ti­hanno cominciato a lavorare pri­ma del primo gennaio 1996; per gli altri, scatta il sistema basato sui contributi versati, mentre per quanti al 31 dicembre 1995 risulta­no in possesso di un’­anzianità con­tributiva inferiore ai 18 anni la pen­sione viene calcolata col sistema misto (retributivo-contributivo). Da allora,e passando per lo“scalo­ne“ introdotto dalla riforma Maro­ni, siamoarrivatiall’attualemecca­nismochelega, apartiredal1˚ gen­naio 2015, l’aumento dell’età pen­sionabile all’aspettativa di vita con cadenza triennale (non più ogni 5 anni). È un sistema che non trova ri­scontri in Europa e che, da qui al 2060, aiuterà ad alleggerire il peso delle pensioni sui conti pubblici.