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 2011  ottobre 27 Giovedì calendario

ORIANA E L’UOMO DALLA PISTOLA D’ORO

Muammar Gheddafi, dittatore della Libia per 42 anni, è stato ucciso, con un colpo di pistola al capo, giovedì mattina intorno alle 9 nei pressi di Sirte dai twar guerriglieri della rivoluzione. [1]

La tesi ufficiale di Mahmoud Jibril, primo ministro ad interim: «C’è stata una sparatoria dopo che Gheddafi era stato fermato. I suoi pretoriani hanno cercato di liberarlo. E in quel frangente lui è rimasto ucciso». [2]

Giovedì, alle 6.30 ora locale, poco prima delle preghiere del mattino Muammar Gheddafi con una decina di guardie del corpo tenta la fuga da Sirte verso ovest. Alle 8.30 un raid della Nato colpisce il convoglio a 3 chilometri da Sirte: 15 pickup muniti di mitragliatrice vanno in fiamme. Gheddafi e i suoi trovano riparo in due canali di scolo. [3]

Hammad Mufta Ali, nato a Misurata 28 anni fa, da aprile comandante della Qatiba (brigata) Dawahi (periferie): «Alle otto di giovedì ci hanno detto che dovevamo andare subito con le nostre auto verso l’ultimo quartiere dei lealisti. Via radio mi hanno avvisato che i nemici stavano scappando sui gipponi. Siamo arrivati vicino al lungomare e abbiamo sentito gli scoppi delle bombe lanciate dall’Onu. Subito dopo ho visto una trentina di gipponi quattro ruote passarci vicino. Procedevano con difficoltà. La strada era ingombra di macerie e resa pericolosa dagli ordigni inesplosi. C’è stato uno scontro a fuoco violentissimo. Li abbiamo inseguiti per pochi chilometri. Loro si sono divisi. Non era semplice distinguere le loro auto dalle nostre. L’unico criterio era che loro sono molto meglio equipaggiati di noi. C’era molta confusione». [2]

«Gheddafi era attorniato dai nostri uomini. L’ho visto spintonato, venire trascinato sul selciato. Tanti gridavano, lui farfugliava che era disposto a regalare soldi a tutti, oro, che avrebbe pagato per le scuole dei nostri bambini purché lo lasciassero andare. A un certo punto qualcuno gli ha gridato che al posto di parlare di soldi avrebbe dovuto pregare, da buon musulmano, affidare l’anima a Dio prima di morire» (Hammad Mufta Ali). [2]

Preso a sberle e pugni, grida: «Che fate? Chi siete? Che volete?». Completamente insanguinato si appoggia sul cofano di un fuoristrada. Urla: «Peccato su di voi». Si asciuga il sangue dal volto. Un ribelle solleva un suo stivaletto e lo mostra orgoglioso alle telecamere dei telefonini. Alì: «È deceduto su quel pianale. Perdeva tanto sangue. Probabilmente il fisico non ha retto. Quando sono ripartiti con lui sdraiato sul retro penso fosse già morto». [2]

A togliergli la pistola d’oro dalle mani è stato Mohammed al-Bibi, 20 anni. C’è chi sostiene che sia stato lui a sparare il colpo mortale. [1]

A mezzogiorno i twar portano in trionfo il bottino di guerra trovato sulla Toyota di Gheddafi. Cerruti: «Le mutande di seta viola del Colonnello, il pigiama di seta blu a pois bianchi, lo specchio tondo e il pettine, una blasfema bottiglia di gin, gli occhiali da sole, un fazzoletto verde, i guanti, il cappotto con le mostrine. “E il Viagra!”, urla Hamed agitando una scatola di medicine. Sono pasticche di “Glovit”, soltanto vitamina. Non importa, per i 400 mila di Misurata sarà per sempre Viagra. “Porco!”». [4]

Il cadavere di Gheddafi, sporco di sangue, impolverato, adagiato su di un materasso giallo a fiori marroni, in una cella frigorifera del «Mercato africano», un complesso di palazzine e baracche dove prima si vendeva la carne alla periferia di Misurata. Cremonesi: «A torso nudo coperto di tagli e ferite, sembra avere un paio di colpi d’arma da fuoco in entrata all’addome. Soprattutto ha diversi segni di tumefazione e gonfiori. Un paio di laceri pantaloni militari pendono dalla vita e si fermano alle caviglie». [2]

Cremonesi: «Quando si ricorda che per la legge coranica un morto va seppellito entro le prime 24 ore dal decesso, i guardiani del corpo spiegano: “Per Gheddafi e i suoi figli siamo pronti a fare un’eccezione. Meglio che attendano. Occorre che prima la gente li veda morti. Ci hanno fatto troppo male per decenni. È giusto che la Libia si goda questa vittoria”». [2]

Il 15 febbraio 2011 esplode la rivoluzione contro il regime Gheddafi prima a Bengasi poi in tutto il paese. Dieci giorni dopo l’Onu impone sanzioni alla Libia. Il 5 marzo il Consiglio nazionale di transizione si dichiara unico governo libico legittimo e il 17 l’Onu autorizza la no-fly zone. Il 31 marzo la Nato prende il comando delle operazioni: da allora i raid sono 26.089. [5]

Il 22 febbraio in televisione il Colonnello dichiara: «Mentono quando dicono che sono fuggito in Nigeria o in Venezuela, voglio morire nel mio Paese come un martire». [6]

Un giovane in carrozzella venuto a vedere il dittatore morto: «Sembra improvvisamente rimpicciolito. Quasi un piccolo pupazzo. Mi sembrava molto più alto da vivo». [2]

A pochi chilometri dal Colonnello il figlio Mutassim. Cremonesi: «Lo abbiamo visto in mattinata nel container frigorifero di “campo Abad”, una zona industriale. Nei due container vicini stanno accatastate carcasse di pecore e montoni. “Abbiamo separato Mutassim dal padre per evitare che ci fosse troppa confusione tra i visitatori”, spiega il proprietario del complesso, Najmi Omar. Il corpo di Mutassim sembra comunque meno danneggiato. Alla gola mostra il foro di entrata di un proiettile sparato a bruciapelo. Un’esecuzione vera e propria. E il lobo destro del cervello è stato chiaramente sfondato, la mandibola dislocata, diversi denti rotti. Almeno altri due proiettili lo hanno colpito nella zona dello stomaco. [2] Cerruti: «Mutassim è sui bancali di legno, una coperta arancione come materasso, nudo, solo un lenzuolo di garza azzurra e un altro verde a coprirlo appena. Barba e capelli sono un misto di sangue e sabbia, ha un buco sotto la gola, un secondo in mezzo al petto, un terzo alla gamba sinistra. “E qui sotto – indica Anwar, e pare un esperto becchino – si vede il segno del prelievo per l’esame del Dna. L’abbiamo fatto anche al padre, in modo che nessuno abbia mai più un dubbio. È finita davvero”». [4]

Mu’ammar Abu Minyar ’Abd al-Salam al-Qadhdhafi semplificato in italiano come Muammar Gheddafi, è nato a una ventina di chilometri a sud di Sirte il 7 giugno 1942. «Unico figlio maschio, faceva pascolare capre e cammelli, raccoglieva l’orzo e il grano, e aveva il dovere, l’onore, di imparare a leggere il Corano. I genitori non avevano conosciuto quel privilegio. Del Corano conoscevano a memoria molti versetti, ma non sapevano leggerlo». [7]

A sei anni, mentre giocava con due cugini, è esplosa una mina lasciata dagli italiani durante la colonizzazione. I suoi compagni sono morti e a lui è rimasta una cicatrice sul braccio destro: «Era come un marchio che gli ha ricordato per tutta la vita i dominatori coloniali». Nel 1956 frequenta la scuola coranica di Sirte, la facoltà di Legge e l’Accademia militare di Bengasi. Fa un corso di sei mesi alla Royal Military Academy di Sandhurst nel Surrey. [7]

Il 26 agosto del 1969, Gheddafi, 27 anni, si è autopromosso colonnello alla guida del Consiglio del Comando della Rivoluzione e autoproclamato «faro del mondo arabo», ha cacciato dal trono Idris, con un golpe, che da emiro della Cirenaica era diventato re della Libia. Bernardo Valli: «È un giovane ufficiale di 27 anni, fotogenico, asciutto, i lineamenti regolari, sobrio nel linguaggio, che ha abbattuto una monarchia debole e corrotta. E che ha il coraggio di espellere le basi militari americane e britanniche. Un anno dopo espellerà anche gli italiani, tranne quelli che lavorano alla Fiat e all’Eni». [7]

Nel 1973 inizia una rivoluzione culturale. Valli: «Invita a bruciare libri stranieri, in particolare quelli dei “comunisti ebrei”. La sola lettura nobile resta il Corano, una guida per gli amici della rivoluzione. Nel 1976 esce il Libro Verde, in cui si teorizza una forma di socialismo ispirato a suo avviso dall’Islam. Nel frattempo, sentendosi abbastanza robusto, Gheddafi avvia nel ’77 una forte repressione, e uccide una trentina di oppositori». [7]

Guido Olimpo: «La strage di Ustica con il Dc9 Itavia distrutto dopo una battaglia aerea (era il 1980, 81 le vittime). Si è sempre sospettato che il vero obiettivo fosse il jet del Colonnello». [8]

Dal 1983 all’85 Roma è teatro di attentati devastanti del gruppo di Abu Nidal. I fedayn colpiscono diplomatici, l’aeroporto, il celebre Café de Paris. A coordinare gran parte degli attacchi è un professionista del terrore, Samir Kadr o Kadar, detto «il Serpente». Ex elettricista, diventato ufficiale di Abu Nidal. Olimpo: «Un criminale protagonista di una campagna di sangue finanziata dai dollari del Colonnello». [8]

Il 15 luglio 1986 due missili SS-1 Scud in dotazione alle forze armate libiche, cadono a vuoto nel mare di Lampedusa: avrebbero dovuto colpire un’installazione militare nella base Nato di Loran, come ritorsione per il bombardamento della Libia da parte degli Stati Uniti nell’operazione “El Dorado Canyon”. [9]

Quella volta che la Fallaci si vendicò con la penna di Gheddafi. Gian Antonio Stella: «Oriana Fallaci dopo aver atteso tre ore e trenta di attesa a Bab-el-Azizia piantò una grana delle sue per “fare la pipì” e si ritrovò con un “cerchio di Kalashnikov puntati contro lo stomaco” e si vendicò scrivendone peste e corna (“oltre ad essere un tiranno è un gran villanzone” dalle “labbra maligne e portate al sorrisino compiaciuto, di chi è molto soddisfatto di sé perché oltre a sapersi importante e potente, si crede anche bello”)». [10]

«Gheddafi conosceva persino il mio numero di scarpe» (Francesco Cossiga, ribadendo i suoi ottimi rapporti con la Libia anche quando era presidente della Repubblica). [11]

Il 21 dicembre del 1988, alle 19,03, il volo Pan Am 103 partito da Londra e diretto a New York esplose in volo e si schiantò sulla cittadina di Lockerbie, in Scozia. Morirono tutte le 259 persone che si trovavano a bordo dell’aereo: alcuni furono sbalzati fuori e precipitarono per nove chilometri, molti dei quali a una temperatura di -46 gradi. Morirono anche undici residenti di Lockerbie. L’FBI nel 1991 accusa dell’attentato solo due persone: Abdel Basset Ali al-Megrahi (rilasciato nel 2009). L’ex ministro della giustizia libico, Mustafa Abdel-Jalil sostiene di «avere le prove che Muammar Gheddafi ordinò l’attentato di Lockerbie». [18]

Nel 2003 Gheddafi rinuncia all’atomica e riconquista così la fiducia della comunità internazionale e i favori di Bush. Il 30 agosto 2008 Silvio Berlusconi e Gheddafi firmano un trattato di amicizia tra Italia e Libia. [1]

Muammar Gheddafi su Silvio Berlusconi nel 1994: «Io e lui siamo fatti per intenderci, in quanto rivoluzionari. Prevedo per lui grandi successi nella gestione dello Stato, così com’è stato nella gestione del Milan. La sua personalità è apparsa all’orizzonte cambiando tutto da cima a fondo». [10]

«Gheddafi mi consigliò di prendere Kakà soffiandolo al Milan. Io gli risposi che il Perugia non aveva abbastanza soldi e l’ingegnere replicò: “Se vuole glielo compro io”» (Luciano Gaucci). [12]

Filippo Ceccarelli: «Gheddafi si è autocandidato al Quirinale, ha offerto di salvare Venezia, si è proposto di pagare gli avvocati di Andreotti e di acquistare le quote latte per far cessare le proteste degli allevatori». [10]

Muammar Gheddafi, alla Sapienza nel 2009: «La democrazia è una parola araba che è stata letta in latino. Demos in arabo vuol dire popolo e crasi vuol dire sedia. Cioè il popolo si vuole sedere sulle sedie». [10]

Un moschetto italiano del 1924 («simbolo della fine dei contrasti»), il regalo del Colonnello Gheddafi a Silvio Berlusconi, in occasione della sua visita nella residenza di Bab el Azizia a Tripoli. Già Massimo D’Alema nel ’99 aveva ricevuto un moschetto italiano, ma in quel caso Muammar Gheddafi aveva aggiunto una spada, una sella e un tappeto. [13]

Il celebre bacio della mano di Berlusconi in occasione del vertice della Lega araba a Sirte. Uno slancio così compromettente (una sviolinata tra le tante: «Gheddafi è un grande amico mio e dell’Italia. È il leader della libertà») da costringerlo successivamente a una rara autocritica: «Ho un forte carattere guascone, che qualche volta mi porta in modo spontaneo a comportamenti non strettamente conformi alla forma». [10]

«Cercansi 500 ragazze piacevoli tra i 18 e i 35 anni, ben vestite ma rigorosamente non in minigonna o scollate». Gettone di presenza: 60 euro. Incarico: accettare il dono di un Corano e ascoltare un’omelia del dittatore. Alcune di loro dichiarano di essere diventate istantaneamente maomettiane. [10]

Le Amazzoni, quattrocento soldatesse private per Gheddafi, tutte giovanissime, alcune molto avvenenti. «A vederle alte e formose quel tanto che basta per denotare una forza da cui tenersi alla larga. Crollato il regime di Gheddafi cinque di loro hanno denunciato il Colonnello per stupro: “Noi ragazze più giovani eravamo usate come giocattoli. Prima andavamo da Muammar Gheddafi, poi lui ci passava agli altri. Si divertivano poi si stancavano e ci buttavano via”». [14]

Aisha, la favorita fra le amazzoni, morta per difendere Gheddafi quando alcuni estremisti islamici assaltarono la sua vettura. Era il capo delle amazzoni, forse a sua volta amante del colonnello. «Una ragazza in divisa, addestrata, per difendere e uccidere, pronta ad amare, servire e morire per il Rais. Un altro mito che cade insieme al resto dell’impero». [14]

Il primo matrimonio del leader libico è con Fatiha, insegnante, dura appena sei mesi: i due si sposano nel 1969, pare senza essersi mai visti prima. Dalla loro unione nasce un solo figlio, Muhammad. [15]

Safiya Farkash, sposata nel 1970, madre di sei dei suoi sette figli naturali, è la donna con cui il raìs ha costruito la sua grande famiglia, adottando anche due bambini. Lei, nove anni più giovane del Colonello, è un’ex infermiera. I due si sono conosciuti a Mostar, in Bosnia. Barbara Ciolli: «Safiya Farkash, ha rivelato un paio di mesi fa un giornale bosniaco, altro non è che il nome arabizzato di Sofia Farkas, nata a Mostar e conosciuta da Gheddafi durante le sue frequentazioni con Tito». [16]

Un tabloid austriaco ha visto Safiya fare shopping a Vienna, nelle settimane della rivolta, circondata da decine di guardie del corpo. [17]

I sette figli del colonnello: Muhammad (rifugiato in Algeria ad agosto), Sayf al-Islam (in fuga), Saadi (l’ex calciatore fuggito in Niger), Hannibal (fuggito in Algeria), l’unica femmina Aisha (fuggita in Algeria), Mutassim (morto con il padre), Saif al-Arab (ucciso il 30 aprile), Khamis (ucciso il 27 agosto). [1]

Dopo la morte del colonnello, Berlusconi: «Gheddafi è morto? Finalmente la guerra è finita. Sic transit gloria mundi».

(a cura di Jessica D’Ercole)


Note: [1] Tutti i giornali del 21/10; [2] Lorenzo Cremonesi, Corriere della Sera 22/10; [3] la Repubblica 22/10; [4] Giovanni Cerruti, La Stampa 22/10; [5] la Repubblica 21/10; [6] Corriere della Sera, 22/2; [7] Bernardo Valli, la Repubblica 21/10; [8] Guido Olimpio, Corriere della Sera 22/10; [9] Corriere della Sera, 31/10/2008; [10] Gian Antonio Stella, Corriere della Sera 21/10; [11] Francesco Verderami, Corriere della Sera 22/2/2006; [12] Gianfranco Ricci, La Gazzetta dello Sport 12/1/2004; [13] Maurizio Caprara, Corriere della Sera, 29/10/2002; [14] L’Indro.it; [15] Gq.it; [16] Barbara Ciolli, Lettera43 27/2; [17] Vanity.it; [18] Il post, 23/2