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 2011  ottobre 27 Giovedì calendario

ACCENDI IL SOLE - IL BOOM DEL FOTOVOLTAICO: FATTURATO RADDOPPIATO IN DUE ANNI. INCENTIVI PER LE FAMIGLIE E PRODOTTI ENERGY SAVING PER LE IMPRESE

Il petrolio facile, quello che per estrarlo basta fare un buco nel terreno, è sempre più complicato da trovare. La lotta contro il riscaldamento climatico è entrata a far parte dei programmi internazionali. E Rifkin parla di Terza rivoluzione industriale. Fin qui c’è accordo: si cambia tutto. Ma tutto cosa? Perché poi, nel concreto, oggi gli esperti si dividono quando si tratta di individuare l’elemento rivoluzionario: le energie rinnovabili o le fonti neo fossili (gas e petrolio non convenzionali)? Oppure il risparmio?
Che questa terza via sia l’unica possibile lo pensa Leonardo Maugeri, per diversi anni direttore delle strategie dell’Eni, che sul tema ha appena scritto un libro ("Con tutta l’energia possibile", Sperling & Kupfer, in uscita il 25 ottobre): "Il Ventesimo secolo è stato quello dello spreco, dei prodotti che non venivano concepiti per essere efficienti; pensiamo alle lampadine a incandescenza che trasformano in luce solo il 4 per cento dell’elettricità usata. La terza rivoluzione industriale sarà quella dei prodotti pensati per ottimizzare i consumi di energia". Qualcosa in questo senso si sta già muovendo. Dopo il diktat dell’Unione che ha vietato, appunto, le lampadine a incandescenza, ora tocca ai motori elettrici, che consumano il 70 per cento dell’energia utilizzata dall’industria continentale. L’obiettivo di Bruxelles è migliorarne l’efficienza del 20-30 per cento entro il 2020. "Purtroppo, a causa di una classe dirigente impresentabile, l’Italia, che con la sua creatività potrebbe fare molto in questo campo, rischia di perdere il treno", aggiunge Maugeri. Come ha sottolineato anche Confindustria, che all’efficienza energetica ha dedicato uno dei punti del cosiddetto "Manifesto" diretto al governo: gli industriali stimano che con nuovi prodotti si potrebbero creare 160 mila nuovi posti di lavoro all’anno per dieci anni.
E sarebbe la seconda fase di una trasformazione verde che di certo è iniziata alla grande anche se, oggi e per colpa della crisi, rischia di perdere colpi. Nel 2010 l’energia pulita in Italia ha coperto il 22,8 per cento dell’intera produzione elettrica nazionale, con un aumento sostanziale dell’eolico e del solare. E con un fatturato di oltre 13 miliardi di euro (cresciuto del 100 per cento rispetto a due anni fa), il settore occupa ormai 120 mila persone tra impiegati diretti e indiretti. Come annota Gualtiero Seva, division manager di Mitsubishi Electric Fotovoltaico: "Il settore sta vivendo un periodo davvero incredibile: se nel 2009 la potenza installata era addirittura inferiore a un GigaWatt, solamente un anno dopo in Italia si sono installati 6GW. E anche il 2011, caratterizzato da instabilità a livello normativo, è comunque un anno positivo per il fotovoltaico nel nostro Paese: basti pensare che, a fine settembre, sono già 4 i GW installati. Non credo che in futuro ci potranno essere numeri tanto grandi: spero che sull’euforia prevalga una programmazione a lungo termine che consenta uno sviluppo regolare e costante. E un ulteriore impulso può arrivare sicuramente dalla rimozione dell’amianto: il nuovo Conto Energia prevede infatti un contributo di 10 centesimi per ogni kWh prodotto da impianti fotovoltaici che sostituiscono coperture in eternit".
Ma ci sono un paradosso e un punto debole. La Cina è oggi il maggior produttore ed esportatore al mondo di pannelli fotovoltaici, che vengono venduti per lo più in Europa. Qual è il problema? Il 65 per cento dell’elettricità cinese deriva dalla combustione del carbone, la più inquinante delle fonti fossili. Insomma, sembra che abbiamo delocalizzato anche l’inquinamento. Che infatti in Cina (Pechino non ha aderito al protocollo di Kyoto) è aumentato del 257 per cento negli ultimi 20 anni, secondo l’ultimo rapporto del Joint Research Centre. C’è poi un altro punto debole del boom fotovoltaico. Dei 20 maggiori produttori globali di celle fotovoltaiche, solo tre hanno stabilimenti nell’Unione europea. In Italia? Nessuno: le grandi produzioni sono tutte in Germania. Il confronto lo riassume in cifre Stefano Casertano, che insegna Politica internazionale all’università di Potsdam e ha appena dato alle stampe con l’editore Brioschi "La guerra del clima": "In Italia ci sono 18 mila impiegati nell’industria solare, quasi tutti lavorano nell’installazione degli impianti. In Germania gli occupati sono 43 mila, metà nell’installazione e gli altri nel resto della filiera". Ne deriva che se da noi si blocca il fotovoltaico tutta l’industria ne risente, mentre in Germania le imprese possono puntare sull’esportazione e limitare i danni. Ed è proprio quello che sta accadendo.
Con lo scoppio della crisi del debito, diversi Stati europei hanno iniziato a tagliare la spesa. E le rinnovabili, incentivate con parecchio denaro pubblico negli ultimi anni, sono tra le vittime principali. In Germania gli incentivi sono stati ritoccati al ribasso, in Spagna il taglio è stato più pesante. "In Italia dalla fine del 2010 a oggi c’è stata una riduzione del 40 per cento", calcola Gianni Chianetta, presidente di Assosolare, che raggruppa un centinaio di aziende del settore con un fatturato di 2,3 miliardi nel 2010.
Chianetta si lamenta soprattutto per il metodo utilizzato dal governo: "Essendo retroattivo, il quarto conto energia è entrato a gamba tesa sugli impianti in corso d’opera. Ci sono molte aziende che avevano investito sulla base di una remunerazione programmata, e adesso si trovano con incentivi diversi, banche che non finanziano più e margini a volte persino negativi. A tutto ciò si è aggiunta la Robin Hood tax". Ovvero l’incremento dell’aliquota addizionale Ires dal 6,5 al 10,5 per cento per tre anni. Un aumento che il governo ha deciso di far pagare a tutte le aziende energetiche, anche a quelle green. Brutta sorpresa per gli operatori, che chiedono un programma nazionale su cui basare i propri investimenti.
Anche qui il paragone con la Germania è impietoso. Spiega Marzio Galeotti, docente di Economia dell’energia all’Università statale di Milano: "Dopo aver deciso di rinunciare al nucleare, Berlino ha messo nero su bianco la sua strategia: tra il 2020 e il 2030 vogliono che le rinnovabili arrivino a coprire tra il 70 e l’80 per cento del fabbisogno elettrico. Invece le linee d’azione italiane sono ancora confuse". Una bozza del Piano energetico nazionale doveva essere presentata a metà settembre. Ma non si è visto nulla. E la crisi incalza: a fine settembre Mx Group, uno dei principali produttori italiani di pannelli fotovoltaici, ha messo in cassa integrazione 200 dei suoi 400 dipendenti. Colossi tedeschi come Solon, Q-Cells e Phoenix Solar hanno registrato risultati negativi già nel secondo trimestre dell’anno. E negli Stati Uniti è andata ancora peggio con i fallimenti di Evergreen Solar, Spectrawatt e quello del gigante Solyndra, costati 1.100 posti di lavoro e 535 milioni di dollari di prestiti federali andati in fumo.
"Questa crisi economica è diversa da tutte le altre, e creerà problemi per alcuni decenni anche sugli investimenti pubblici nella green economy", prevede Vaclav Smil, professore emerito di Scienze ambientali all’università canadese di Manitoba, uno dei 100 pensatori più influenti al mondo secondo "Foreign Policy".
E così il sistema cerca alternative, molto poco verdi: secondo molti esperti presenti al Festival dell’energia tenutosi a Firenze la prospettiva è quella delle neo fossili. Come il petrolio non convenzionale, quello ricavabile dalle sabbie bituminose, gli idrocarburi presenti in mare a grandi profondità. E i maggiori investimenti sono stati fatti sullo shale gas, metano intrappolato in particolari rocce sedimentarie. E molto poco verde. n

Ritorno alla terra

Il maggior limite di eolico e solare? L’intermittenza. Quando si parla di sole e vento, gli esperti concordano su un punto: a costi competitivi con le altre fonti, eolico e fotovoltaico non possono garantire energia a ritmo continuo e costante, cioè quella di cui abbiamo bisogno durante la giornata. Quell’energia è prodotta oggi in Italia con carbone, petrolio e gas. Tra le rinnovabili c’è però una risorsa naturale con queste caratteristiche: è la terra, dal cui calore si ottiene energia geotermica. L’Italia, che è stata la prima nazione al mondo a produrre elettricità in questo modo, è leader in Europa per potenza installata con 772 Mw. Nel 2010 la geotermia ha contribuito all’1,5 per cento della produzione elettrica nazionale soprattutto grazie a Enel Green Power e ai suoi 33 impianti installati tutti in Toscana, tra la Val di Cecina e l’Amiata, dove l’azienda ha in programma di investire altri 700 milioni di euro entro il 2015 per aumentare di 200 MW la produzione. "Ma si potrebbe fare molto di più, e non solo in Toscana, viste le potenzialità del territorio", dice Giuseppe De Natale, dirigente di ricerca all’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia: "Con l’opportuno interesse del governo e maggiori incentivazioni, in 15 anni la geotermia può arrivare a occupare una quota di mercato elettrico di circa il 10 per cento in Italia, più o meno quella appannaggio del nucleare prima del referendum". L’obiettivo è ambizioso, ma vedendo ciò che succede oltreconfine appare abbordabile. La Germania, pur avendo un potenziale geotermico minimo rispetto a quello italiano, ha approntato un piano che dovrebbe portarla, nel giro di un decennio, a raggiungere una potenza geotermica di 1 GW. "Per farlo", spiega De Natale: "Hanno previsto incentivi fino a circa 30 centesimi per kWh, mentre da noi si arriva al massimo a 20 centesimi, con una media di 0,16".

Da Rieti a Pechino

Se è vero che la maggior parte dei pannelli fotovoltaici installati in Italia è prodotta tra Cina e Taiwan, anche a casa nostra c’è qualcuno che realizza i componenti più conosciuti dell’industria del sole. È la Solsonica di Cittaducale, in provincia di Rieti, dove fino a quattro anni fa si producevano semiconduttori.
Allora il gruppo si chiamava Eems. Il fondatore, Enzo D’Antonio, decise però di trasferire in Cina la produzione dei semiconduttori e investire 50 milioni di euro modificando l’uso dell’impianto laziale: realizzazione di celle e moduli fotovoltaici. Con la riconversione il gruppo Eems, quotato alla Borsa di Milano nel segmento Star, ha mantenuto occupati quasi tutti i dipendenti. Oggi sono 260 e l’ultimo bilancio (2010) ha registrato un fatturato di 110 milioni di euro, facendo dell’azienda il primo produttore italiano di celle e moduli fotovoltaici ad alta efficienza in silicio policristallino, con oltre 60Mw venduti l’anno scorso. Anche grazie alla capogruppo Eems, che da 40 anni è attiva nella lavorazione del silicio, materia prima indispensabile per catturare l’energia solare che viene trasformata in elettricità.
Secondo Paolo Mutti, amministratore delegato di Solsonica e azionista di riferimento insieme alla sua famiglia della capofila Eems, però, "l’Italia dovrebbe fare di più per il comparto solare, magari seguendo l’esempio della Germania. Sarebbe necessario incentivare non solo l’installazione dei pannelli, ma anche la realizzazione dei componenti che formano i moduli fotovoltaici, soprattutto adesso che assistiamo a una continua diminuzione dei costi di produzione nel nostro settore". In effetti negli ultimi cinque anni i prezzi dei pannelli fotovoltaici sono diminuiti del 50 per cento, e secondo l’Associazione europea dell’industria fotovoltaica (Epia) nel prossimo decennio potremmo assistere ad una ulteriore discesa dei prezzi compresa tra il 36 e il 51 per cento. Se il calo ci sarà, dice l’Epia, l’energia fotovoltaica diventerà economicamente competitiva rispetto a quella prodotta da una centrale a gas. "Ma in Italia", ricorda Mutti, "gli unici incentivi alla produzione di pannelli fotovoltaici sono stati dati alla joint-venture formata da Sharp, St Microeletronics e dall’azienda di Stato Enel. Andando avanti così, non potremo che essere sempre più dipendenti dai grandi produttori asiatici".