Adriana Bazzi, Corriere della Sera 29/07/2011, 29 luglio 2011
LA BIOLOGA MARINA CHE FA CRESCERE SPIGOLE (PERFETTE)
La dottoressa Chiara Gambardella mette a dieta le spigole. Sì, le spigole, o branzini, come si chiamano di solito nel Nord Italia, o Dicentrarchus labrax, se si preferisce il nome scientifico: pesci che si pescano nel Mar Mediterraneo (e sono di taglia piccola), ma anche nell’Oceano Atlantico (e sono più grossi), quelli che, in un menù scritto in inglese, sono indicati come «sea bass» (senza distinzione fra grandi e piccoli), e in francese «loup de mer» o «bar» . Ma le spigole di cui si occupa la dottoressa Gambardella sono di allevamento. Oggi, chi si siede a tavola in un ristorante ha un’altissima probabilità di mangiare un branzino (e non solo: anche un’orata o un trancio di salmone) allevato, anziché selvaggio, cioè pescato. Le risorse marine non sono infinite, i mari (soprattutto il Mediterraneo) si stanno svuotando (l’Unione Europea ha già lanciato l’allarme con il rapporto Fish Dependence: le risorse autoctone sono sufficienti soltanto per 189 giorni all’anno) e l’acquacoltura è una soluzione. Così, il consumatore non sarà costretto a rinunciare a un alimento prezioso per la sua dieta, ricco di grassi Omega 3, quelli che proteggono dalle malattie cardiovascolari, e, per di più, potrà anche risparmiare, perché i prezzi del pescato sono alle stelle e i pesci di allevamento sono più a buon mercato. Ma c’è un problema: di solito i pesci di allevamento hanno meno proteine e più grassi (non gli Omega 3 ma altri, meno utili alla salute) rispetto a quelli selvaggi. Come «creare» allora il pesce nutrizionalmente perfetto, anche se allevato? E ridurre i costi? Problemi che la ricerca può affrontare e— ci si augura— risolvere. «La vita sott’acqua mi ha sempre affascinato, fin da quando ero piccola» , ci racconta Chiara Gambardella, 28 anni, nata a Napoli, ma «genovese» dall’età di quattro anni, biologo marino all’Università di Genova. E non ha mai cambiato idea. Dopo il liceo classico (ma perché fai il classico, se ti vuoi occupare di biologia marina? Meglio lo scientifico: lei, però, non ha ascoltato nessuno), si è iscritta alla Facoltà di Scienze a Genova e si è laureata. «Ho cominciato a interessarmi di pesci di allevamento con un team dell’Università dell’Insubria a Varese, diretto da Marco Saroglia. La ricerca di cui mi occupo ruota attorno a un curioso fenomeno biologico, che si chiama crescita compensatoria. In poche parole: quando i pesci sono sottoposti a uno stress, come il digiuno, riescono a sopravvivere, e quando si alimentano di nuovo crescono rapidamente, ritrovandosi uguali ai pesci che non hanno avuto alcuno stress» . Lo dimostra, nei fatti, il disastro della petroliera Haven, che, nel 1991, ha preso fuoco nel porto di Genova, riversando in mare 50 mila tonnellate di petrolio: i pesci sono sopravvissuti, probabilmente digiunando, e hanno, poi, recuperato la loro stazza. Lo dimostrano, in laboratorio, gli studi della biologa genovese. La ricercatrice ha confrontato tre popolazioni di branzini: la prima alimentata regolarmente, la seconda tenuta a digiuno per 15 giorni e poi rialimentata, la terza a digiuno per 35 giorni, poi riammessa a una dieta normale. Risultato: i pesci del secondo gruppo, una volta tornati a un’alimentazione normale, risultavano del tutto paragonabili a quelli che non erano stati tenuti a digiuno, senza alterazione della carne. Quelli a stecchetto per 35 giorni, invece, presentavano qualche alterazione. Morale: se allevando i pesci li faccio digiunare per 15 giorni e poi gli ridò da mangiare, risparmio i mangimi e ottengo un prodotto di qualità. Passo successivo: valutare se durante la crescita, dopo il digiuno, il pesce fabbrica più grassi che proteine, e analizzare dove questi grassi si depositano: l’obiettivo è quello di far accumulare ai pesci grassi buoni per la salute. È questa la ricerca che Gambardella sta attualmente portando avanti, grazie a una borsa di studio di L’Oréal, che scadrà nel marzo prossimo. Poi si vedrà, ma lei è una persona piena di risorse. «Sono stata otto mesi in Norvegia — aggiunge — all’Università di Bodo, mille e duecento chilometri a nord di Oslo, per studiare i geni dell’obesità della spigola» . Ed è riuscita a sequenziare il gene della leptina, l’ormone anti fame (Genciana Terova, dell’Università dell’Insubria, aveva già sequenziato quello della grelina, l’ormone che agisce stimolando l’appetito, sempre nella spigola). Poi in Ohio, ad Akron, Chiara Gambardella ha studiato il gene della leptina in un pesciolino antartico molto grasso e ha trovato il recettore per l’ormone. Chiarissimo. Se non diventerà famosa in Italia (perché, come si sa, i finanziamenti alla ricerca sono ridotti a un lumicino e i cervelli emigrano), lo farà all’estero.
Adriana Bazzi