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 2011  luglio 27 Mercoledì calendario

DAI SOLDI NON NASCONO SOLDI

Quando si vuole raccontare il mito di Warren Buffett si comincia sempre dicendo che, a sette anni, acquistò un cartone da sei di Coca-Cola per 25 centesimi, piazzò le bottigliette a 5 cents l’una e, con il guadagno, comprò il necessario per confezionare e rivendere le palline da golf perdute dai nababbi a bordo campo. Si prosegue ricordando che Buffett ha ripetuto questo modello di business per una vita, alzando sempre la posta. E si conclude affermando, con solennità, che in questo modo è diventato il terzo uomo più ricco del mondo.
Gran bella storia. Peccato ci sia un altro passaggio, che al massimo è un rimbalzo tra le parentesi nei tanti articoli su questo arzillo vecchietto con il portafoglio gonfio di una quarantina di miliardi. Buffett, tra una cosa e l’altra, è il maggiore azionista di Moody’s, l’agenzia di rating che un paio di mesi fa ha messo l’Italia, le sue banche e qualche azienda a partecipazione statale "sotto osservazione". Cioè, ha giudicato la loro capacità di restituire i prestiti (fatti di Bot, Btp o classiche obbligazioni) meno solida di un tempo.
Che questa legnata arrivi dalla società di cui Buffett è "padrone" merita una riflessione: è come se gli arbitri di calcio fossero privatizzati e venissero assunti da una holding di cui sono azioniste le squadre di serie A. Senza contare che, sul Pianeta, di agenzie di rating ce ne sono appena tre, anzi due e mezza, perché Fitch è un vaso di coccio tra due caporioni di ferro: Moody’s e Standard & Poor’s.
Alle 19.30 del 10 giugno su eBay si è chiusa l’asta di beneficenza per pranzare con Buffett: 2.335.678 dollari, un milione e mezzo di euro. Il vincitore ha avuto il diritto di averlo ospite da Smith & Wollensky, sulla 49a a New York, un posto da patrioti del gusto americano (anche se lo chef si chiama Chavez e il pasticciere Hussein). È dato per certo che l’anfitrione, oltre alla fattura da detrarre, abbia portato a casa la classica dritta, appuntata sul tovagliolino del dolce alle noci servito con il bicchiere della staffa: compra questo, vendi quello.
Spifferi: è di questo che vive Wall Street. Un luogo nel quale la gente arriva in Rolls-Royce per chiedere consigli a chi viaggia in metropolitana. E dove William Gates III viene detto Bill, come un commesso qualsiasi, perché così, alla storiella che il primo software l’ha inventato in un garage, qualcuno ci crede. Così come qualcuno crede che Buffett abbia fatto i soldi senza una fabbrica e senza un prodotto. Solo con gli spifferi. E magari con il maestrale di un’agenzia di rating.