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 2011  luglio 27 Mercoledì calendario

EINAUDI: «LA TARANTA È IL VERO SIMBOLO DELL’UNITA’»

Fra un mese, su questa piazza, sono attese centomila persone. È così ormai da quattordici anni, da quando, alla metà dei Novanta, un gruppo di giovani amministratori dei comuni della Grecìa Salentina decise di recuperare e dare vita nuova alla tradizione della «pizzica». Un ballo arcaico, danzato dalle persone, donne soprattutto, che, morse dalla taranta durante il lavoro nei campi, si affidavano ad un ritmo, a un canto a una musica che stordiscono per guarire dal veleno del ragno. Una terapia, una possessione, una coinvolgente sensualità.
«Mica soltanto loro: l’anno scorso, ho visto ballare anche mia madre, che ha 92 anni, non era stata morsa dal ragno, non lavora nei campi e non è nata nel Salento», dice Ludovico Einaudi. Compositore, pianista, 56 anni, nato a Torino, figlio dell’editore Giulio, nipote di Luigi, presidente della Repubblica dal 1948 al 1955, Einaudi sarà, per la seconda volta, il «maestro concertatore» del «concertone» che il prossimo 27 agosto chiuderà le due settimane del Festival della Taranta.
Maestro, un torinese che oggi vive a Milano e che si innamora della «taranta» salentina. Nell’anno del Centocinquantenario, lei sembra un simbolo dell’unità del paese...
«Ma questa musica unisce territori e popolazioni ancora più estesi. Guardando gli strumenti, ascoltando il ritmo, la costruzione delle frasi, risaltano intrecci, passaggi, influenze molto vaste».
Si riferisce alla musica greca, cantata in una lingua affine al «grico» ancora parlato qui nel Salento?
«Anche, ma non solo. I tamburelli usati nella pizzica li ritrovi in Egitto, nel Nord Africa, in Medio Oriente. Così come simili sono alcune tecniche di esecuzione, strumentali e vocali. La musica è un’arte generosa, che dà e accoglie. E l’Italia affaccia, sta nel Mediterraneo, un’immensa nazione culturale e musicale dove la musica è sempre stato un prezioso bene di scambio».
Per l’edizione 2011, che è stata presentata ieri, lei ha invitato anche i Chieftains, il gruppo irlandese che celebra cinquanta anni di carriera. Anche l’Irlanda fa parte di questo mondo musicale?
«Questi sono i legami meno ovvi, che pure vanno indagati. Qui si usano le zampogne, in Irlanda le “pipes”. Ambedue le tradizioni popolari fanno ricorso a strumenti a plettro, ad una presenza significativa delle percussioni. Verranno i tamburi giapponesi, i musicisti africani con i quali da tempo collaboro: certi valori di questa musica hanno una dimensione planetaria».
Quando lei siede al pianoforte per scrivere ed eseguire la sua musica, sceglie atmosfere molto diverse. Che cosa davvero l’attrae dell’universo della «pizzica»?
«L’interesse per le tradizioni popolari è una costante della mia attività. Quando studiavo con lui, Luciano Berio sottolineava spesso la necessaria vitalità di questi legami e le sue opere, basta pensare ai Folk-songs , lo testimoniano. Ho lavorato, per spettacoli teatrali, colonne sonore e concerti, con musicisti africani, russi, armeni».
Aveva già affrontato il repertorio popolare italiano?
«Mai. Grazie alla Notte della Taranta ho avuto la possibilità di farlo anche con la nostra musica. Tra l’altro, proprio quest’anno cade il cinquantenario della pubblicazione de La terra del rimorso , il fondamentale libro di Ernesto De Martino dedicato alla storia e al significato, antropologico e culturale, di questa musica e di questa danza».
Uno studio recente dell’Università Bocconi racconta che 1 euro investito nella promozione e nell’organizzazione di questo Festival si moltiplica per 8. Un esempio di manifestazione di cultura e di spettacolo che produce ricchezza, mentre i turisti rappresentano ormai oltre la metà del pubblico. Come spiega questo successo?
«Stando qui, si scopre un’Italia che era stata dimenticata e che ha mantenuto una purezza e un legame con la nostra antichità più difficile da riconoscere altrove. Si percepisce la vitalità di radici arcaiche, ma ancora visibili, sensibili. Sono tradizioni ancestrali che danno un’identità, che sono capaci di legare assieme tutte le generazioni, i giovani come gli anziani. Chi è nato qui e chi visita questo territorio per la prima volta, scoprendolo e ritrovandosi».