Eugenio Occorsio, la Repubblica 27/7/2011, 27 luglio 2011
SARCINELLI: «AGENZIE DI RATING DANNOSE»
Un´ennesima giornata all´insegna del nervosismo sui debiti sovrani, ma per Mario Sarcinelli, economista di lungo corso, che alla fine degli anni ´80 partecipò alle discussioni sulla creazione dell´euro, attualmente presidente di Dexia Crediop, le tensioni in arrivo dall´America a questo punto giocano un ruolo preponderante. «L´incertezza sull´Europa è la conseguenza dell´onda d´urto che proviene dagli Stati Uniti e dello psicodramma dell´aumento del tetto al debito pubblico», spiega.
«Certo, Moody´s con l´ulteriore downgrading della Grecia ha reso l´atmosfera ancora più pesante».
Perché, professore?
«Perché le agenzie di rating si muovono in modo sempre più improvvido e dannoso. Stavolta Moody´s l´ha fatta proprio grossa soprattutto se si tiene presente che i dettagli operativi relativi al potenziamento dell´Efsf, il fondo salvastati, e alla volontaria partecipazione delle banche al pacchetto di salvataggio, sono ancora da definire. E´ stata una misura del tutto inappropriata: le agenzie devono dimostrare a tutti i costi che spetta loro l´ultima parola, e cercano di rifarsi una verginità dopo gli errori di valutazione nella crisi. Ma stanno uscendo dal seminato inserendosi in una procedura tutta politica che l´Europa porta avanti con grandi sacrifici e sofferenze: si permettono azzardi e giudizi che neanche noi europei osiamo pronunciare. Rischiano di pentirsene: sono entrate nel terreno minato della politica, e rischiano di saltare su qualche mina».
Le pronunce delle agenzie non hanno già una valenza politica?
«Ma non è lecito che ne abusino. Dovrebbero avere solo o prevalentemente un valore tecnico. Questi signori non si sono accorti che il G20 e il Financial Stability Forum hanno indicato di volerne ridimensionare il ruolo e il potere? Il fatto che ci sono fondi d´investimento che operano solo su titoli con un certo rating, quanto potrà reggere?»
Lei diceva però che se si risolve il braccio di ferro negli Usa, l´Europa navigherà in acque più tranquille.
«Almeno questa è la generale speranza. Lo stallo è anche lì politico. Lasciate perdere i numeri, i tetti al debito, le statistiche: c´è in ballo la presidenza degli Usa. I repubblicani cercano disperatamente di arrivare alle elezioni con un presidente alle corde, costretto a rinunciare all´aumento delle tasse sui ricchi e forzato a scegliere quali fatture non pagare. Obama vuole dimostrare che, nonostante l´opposizione radicale del Tea Party, è in grado di far accettare una politica economica improntata all´equità».
Ma di chi è la colpa dell´esplosione del debito?
«Guardiamo le cifre. Il debito a fine 2000, fine dell´era Clinton, era di 5.700 miliardi di dollari. Nel dicembre 2008, a conclusione delle presidenze Bush, era raddoppiato a 10.700 miliardi. Oggi è arrivato ad un passo dal tetto di 14.294 miliardi. Il Congressional Budget Office ha valutato in 9 trilioni in 10 anni l´espansione del debito per effetto del bilancio proposto da Obama per il 2012, ma il presidente ha ereditato due guerre che non aveva avviato lui, e privilegi fiscali da cui è diabolicamente complicato liberarsi. Non sarebbe drammatico fissare un nuovo tetto: il precedente è stato fissato il 12 febbraio 2010, a riprova che c´è una periodicità. Però stavolta è diventata una questione politica».