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 2011  luglio 27 Mercoledì calendario

ORSON WELLES E DON CHISCIOTTE, IL FILM MANCATO A ROMA

Mi è capitato di condurre Orson Welles per Roma, alla ricerca dei luoghi in cui girare le sequenze del Don Chisciotte: un film che, col suo estro paradossale, intendeva girare nella capitale. Avevo scritto un saggio su Quarto potere, il capolavoro del regista statunitense, e Orson mi conosceva. Gli chiesi: perché Cervantes a Roma? Mi rispose alla maniera sua: «Il cinismo storico di questa città si è nutrito di demoni e fantasmi divoratori di despoti. Qui vale una massima sublime: nulla è impossibile» . C’è stato un tempo, dunque, in cui ho inseguito per Roma un’inafferrabile Dulcinea, essendo per Welles un improvvisato Sancho. Per borghi, viuzze, piazze solitarie o chiassose che gli andavo illustrando.
Lui fantasticava sulle scene che i luoghi gli suggerivano, facendo contemporaneamente la parte dell’Hidalgo e dello scudiero. Pochi riconoscevano, nel maestro a cui facevo da guida, Falstaff o l’infernale Quinlan. Mi rivedo quando introdussi Welles in Santa Sabina, indicandogli il blocco di basalto su cui il diavolo, secondo la leggenda, aveva lasciato l’impronta della mano. L’impronta risaltava sotto i nostri occhi. Egli calò la destra, facendo coincidere le dita aperte con quelle, nere e contorte. Gli raccontai che il demonio aveva scaraventato il blocco di basalto in testa a San Domenico disteso in preghiera sul nudo pavimento. La risata di Welles si alzò fra le volte. Conoscevo, sequenza per sequenza, un altro capolavoro: L’orgoglio degli Amberson. Era la risata, sinistra, di quell’orgoglio. Afferrò la roccia eruttiva come per staccarla e scagliarla nel vuoto delle chiesa che, ai suoi occhi, rifletteva la sua desolazione spirituale da cui cercava di fuggire...
E gli raccontai delle bestie raffigurate per le strade romane: elefanti, scimmie, scrofe, serpenti, draghi e molte altre specie, oltre a creature fantastiche e non identificabili. A saperla vedere, Roma è uno zoo inaudito. E Welles improvvisò: «Bestie sacre con quell’aria attenta che è la stessa di chi ascolta una lingua straniera di cui si cerca di afferrare qualche parola» .
E ora andavamo per l’Appia Antica, alla chiesetta «Domine Quo Vadis» . Qui, l’apostolo Pietro, sfuggito ai carcerieri e diretto verso la salvezza, avrebbe incontrato Gesù e gli avrebbe rivolto la famosa domanda, avendone la risposta: «Vengo a farmi crocifiggere un’altra volta» . E Pietro capì, tornò indietro e si predispose ad affrontare il martirio. La chiesetta conserva solo la copia delle presunte impronte di Gesù. Quasi del tutto ignorate, le impronte spiccavano davanti a noi, e ho visto Welles togliersi le scarpe, compiere quei passi con un raccoglimento intenso. Ha fatto coincidere i propri piedi scalzi con le orme divine, come si era misurato in Santa Sabina con la mano del Diavolo. Stava là, fissando a terra, quasi sul punto di intraprendere un volo di cui la sua mente s’illuminava. Sono rimasto in silenzio, da una parte, ascoltandolo: «Guarda i miei piedi, così grandi, stanno schiacciando i piedi di Cristo, così piccoli e lievi, come quelli di un fanciullo, con la tenerezza di due piume» . È retrocesso, smarrito, dalle orme, sulle quali si depositava un soffio di sole dalla finestrella. Uscendo dalla chiesetta, ha abbracciato con un gesto la campagna: «Questa sarà la Sierra Morena. E Sancho porrà la stessa domanda di Pietro a Don Chisciotte che si è ritirato a far penitenza. Sarà la sequenza della pietà e del sacrificio. Don Chisciotte capirà la stanchezza del povero scudiero e il suo desiderio di mettere la parola fine all’avventura. Gli consegnerà, finalmente con un sorriso, la lettera per Dulcinea» .
Avevamo sognato bene, Welles e io. Dal Bosco Sacro all’Appia Pignatelli alla Scala dell’Aracoeli, alla «Madonna che mosse gli occhi» , in via dell’Archetto (si legge: «Un gran mover d’occhi di Madonne si produsse in giro per la città, durante la Rivoluzione francese» ). «Che sequenza! — esclamò il più grande interprete di Falstaff— pensa, far morire Don Chisciotte, come vorrei morire io, in mezzo a questo delirio di Madonne che muovono gli occhi per indurre il mondo a salutare il miracolo» .
L’ultima notte, ci affacciammo a guardare il Tevere da piazza di Monte Savello. Roma festeggiava una vittoria della squadra di calcio che porta il suo nome. Ciascuno viveva a suo modo la fantasmagoria di Don Chisciotte.
Alberto Bevilacqua