Nuccio Ordine, Corriere della Sera 27/07/2011, 27 luglio 2011
JEAN STAROBINSKI: «CAMBIO VITA A 90 ANNI, ORA INSEGUO LE VOCI» - «A
novant’anni ormai superati cambia l’organizzazione del lavoro. Adesso per me è importante ricapitolare, raggruppare, mettere insieme i saggi sparsi, cercando di andare più lontano, di perfezionare, di arricchire, di imprimere un nuovo ordine alle cose già scritte» : Jean Starobinski non dà per niente l’impressione di aver cambiato stile di vita. Anzi, sin dalle prime battute, non nasconde l’entusiasmo per il suo lavoro, per la letteratura, per i libri in cantiere.
La signora Jacqueline, famosa oculista e preziosa compagna di una vita, conferma la giornata tipo del marito: «Jean non si alza prestissimo— dice sorridendo— perché preferisce lavorare la sera fino a tardi. Al mattino, dopo colazione, inizia a leggere e a scrivere. Poi una pausa a pranzo e, quando il tempo lo permette, una passeggiata nel parco qui vicino. Un riposino e nel primo pomeriggio di nuovo immerso nello studio fino a dopo cena...» .
Da qualche mese, sulla scrivania di Starobinski— nella bella casa di Avenue de Champel, a Ginevra— dominano le opere del grande scrittore e filosofo francese Denis Diderot. Il prossimo libro in cantiere, infatti, già annunciato dall’editore Gallimard per l’inizio del 2012, ha per titolo una battuta che proviene da «Il nipote di Rameau» : Un diable de ramage (Un maledetto cinguettio). «Il volume che sto concludendo— sottolinea il critico, reduce da una serie di iniziative in suo onore che si sono svolte negli ultimi mesi dello scorso anno per festeggiare i suoi novant’anni— riguarda la sistemazione di una serie di saggi su cui lavoro da tempo, dedicati ad alcuni grandi temi dell’opera di Diderot» . «Si tratta— aggiunge— di riflessioni che indagano soprattutto la voce, la parola, il dialogo, il canto. La voce che canta, certamente, ma anche la voce nella sua realtà più estrema: i gridi che l’autore ascolta o immagina» .
L’attenzione, insomma, si concentra in maniera particolare sulla percezione del corpo e sulle diverse modulazioni della voce. «Diderot, come molti intellettuali del Settecento, ha una grande passione per il teatro. I suoi testi teatrali, pur non essendo dei capolavori, mostrano un’immensa esperienza. E all’interno di questo vivo interesse, è possibile inscrivere la sua curiosità per l’ascolto delle voci più diverse: quelle dei salotti letterari, dei palcoscenici, della strada, dei boudoir (salottini intimi). Ma anche le voci immaginarie che provengono dall’eros e che, molto spesso, svelano i profondi segreti della vita» .
Starobinski indaga questo immenso universo sonoro per coglierne le differenze, le sfumature, i sottili legami con la letteratura e con la società. «In Diderot— nota l’illustre comparatista — colpisce la grande varietà. Abbiamo melodie cantate da un giovane cieco, nella famosa Lettera sui sordi e i muti. E abbiamo le voci erotiche che, in contesti caratterizzati da regni immaginari, illuminano gli aspetti più intimi di alcuni personaggi, aprendo una finestra sugli avvenimenti cortigiani del suo tempo: non è difficile intravedere nel misterioso re africano un doppio di Luigi XV o in un personaggio femminile un doppio della marchesa di Pompadour...» .
Nella Parigi in cui imperversano i fanatismi, l’ascolto di Diderot riguarda anche le urla che provengono dalla strada. «Tra il 1730 e il 1740, negli anni della fine del giansenismo, si accendono le querelles religiose e il filosofo sente gridare la gente nelle piazze. Ma assieme agli strilli popolari, si ascoltano le voci dell’autorità politica e giudiziaria: una nuova legge o una condanna vengono lette ad alta voce per informare soprattutto gli analfabeti. E proprio nella strada, Diderot sente recitare la sentenza della sua condanna...» .
Ma, nella fine prospettiva analitica di Starobinski, la voce si combina soprattutto con le immagini. «Per allargare il suo campo di ascolto e di osservazione, Diderot include anche il ramage (il canto degli uccelli). Nel Settecento i volatili sono molto presenti nelle case. Un grande pittore, Chardin, molto amato dal filosofo, dipinge un quadro intitolato «La Serinette» (1751), un piccolo organo capace di insegnare a cantare agli uccelli. In una casa borghese, una signora fa girare l’organo per dare lezioni di canto al suo uccello in gabbia. La scena dipinta diventa un’occasione per riflettere sull’insegnamento di una lingua, sulla dialettica tra ciò che è autentico e inautentico. Diventa anche un’occasione per denunciare gli artifici e chi vuole imporre, con ogni mezzo, un linguaggio agli uccelli...» .
Naturalmente i testi di Diderot pullulano di metafore musicali. «Il nostro filosofo compara molto spesso l’essere vivente a un clavicembalo (i surrealisti amavano molto questo accostamento). Immagina che nell’Universo vibri un suono dalla Terra a Sirio. Ricorre, molto spesso, a figure che evocano strumenti musicali per rappresentare le passioni dell’uomo e per evitare di fare appello alla nozione di anima...» .
A questo punto della conversazione, Starobinski non può fare a meno di puntare il dito sul suo pianoforte, nel salone. La musica, assieme alla letteratura e all’arte, è una delle sue grandi passioni. «Mi capita spesso — confessa — di intervallare le ore di studio con un po’ di esercizio al piano. La musica mi ritempra, mi offre l’occasione di riflettere in maniera diversa sulle questioni di cui, volta per volta, mi occupo» . Del resto, gli interessi sono destinati a mutare col tempo. Non solo in musica. «All’inizio del mio percorso di ricerca mi interrogavo sull’attitudine degli scrittori di fronte a ciò che si nasconde, di fronte alla dissimulazione. E cercavo di capire i meccanismi attraverso cui si denunciano le apparenze, gli inganni, il gioco delle maschere. Ho lavorato molto su Stendhal e su Rousseau. Erano anni in cui queste ricerche si legavano ai miei studi di psichiatria e di psicoanalisi... successivamente — aggiunge Starobinski — ho concentrato il mio lavoro sugli elementi percettibili e concreti che compongono i testi: le parole, certamente, ma anche il rapporto che queste parole intrecciano con il mondo. Tra i due estremi— ridurre il testo a semplici parole o ridurre il testo esclusivamente al suo rapporto con il mondo — ho sempre preferito tenere assieme testo e mondo senza perdere mai di vista le specificità dell’uno e dell’altro...» .
Adesso però le priorità sono altre. «Ho bisogno di approfittare del tempo che mi resta — dice Starobinski — per ridare forma a progetti sparsi e ancora incompleti. Anche se ho coscienza del fatto che noi, esseri umani, siamo comunque condannati all’incompiuto, perché il limite è già scritto nelle nostre cellule...» .
Nuccio Ordine