Giovanna Gabrielli, il Fatto Quotidiano 27/7/2011, 27 luglio 2011
IL FATTO DI IERI - 27 LUGLIO 1952
Nello slang sportivo, è rimasto “l’uomo chiamato cavallo”. Per via di quella falcata a strappi, l’ansimare violento, la testa ciondolante. Correva così Emil Zatopek, il gigante delle piste, nato povero nella ex Moldavia, quando la Cecoslovacchia era appena nata dalle ceneri dell’Impero asburgico. L’andatura sgraziata, la lingua penzoloni, gli occhi stralunati, una perenne smorfia di dolore dipinta sul viso. “Uno stile incospicuo” avevano imprudentemente decretato i puristi dell’atletica al suo debutto olimpico a Londra nel ’48, visto l’oro e l’argento portati a casa dopo un paio di sprint spettacolari. Di che pasta fosse il ragazzo che, come un fachiro della sofferenza, si allenava con gli scarponi militari per oltre mille ore l’anno, se ne accorsero tutti all’Olimpiade di Helsinki, quando, nel giro di una settimana, straccerà tutti con una storica tripletta. Oro nei 10.000 e 5000 metri e, il 27 luglio ’52, oro nella maratona, la prima della sua carriera. Mito nazionale per anni, fino ai giorni della Primavera di Praga, quando pagherà con l’esilio e la miniera le sue parole contro i carri armati di Mosca. Ultima eroica impresa del ragazzo-locomotiva, a cui piaceva correre “con i sogni nel cuore”