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 2011  luglio 27 Mercoledì calendario

Se Ikea si ribella ai diktat dell’Italia - Cinque anni di lavoro, sei conferenze dei servizi, riunioni con amministratori, urbanisti, politici, associazioni e poi, nulla, tutto in fumo

Se Ikea si ribella ai diktat dell’Italia - Cinque anni di lavoro, sei conferenze dei servizi, riunioni con amministratori, urbanisti, politici, associazioni e poi, nulla, tutto in fumo. Il no della Provincia di Torino blocca la nascita del secondo store torinese di Ikea, 160.000 metri quadri di punto vendita, verde pubblico e oneri di urbanizzazione tra i comuni di La Loggia e Moncalieri. «Sono terreni agricoli - dice la Provincia - Non possiamo consumare altro suolo». Al massimo ci sono altre aree, industriali e commerciali, si può vedere laggiù. Ma il colosso svedese non ha alcuna intenzione di rinunciare a un progetto che è già costato, senza ancora poter mettere una pietra, un milione di euro. «Piuttosto rinunciamo all’investimento» dicono da Ikea che, da multinazionale, si era fatta due calcoli scegliendo aree agricole perché costano meno. Ma così si perdono di colpo un investimento di 60 milioni, 250 posti di lavoro e un pezzo di fiducia degli investitori internazionali che vedono nell’Italia un Paese sempre più difficile sul quale scommettere. In Slovenia, i terreni quasi li regalano. Negli Stati Uniti, anche. E i tempi sono molto, molto più brevi. Qui, invece, la burocrazia t’impegna per quattro anni e alla fine, magari, ti dice «no, grazie, arrivederci». Come successo proprio a Ikea poco tempo fa, insediamento di Vecchiano vicino a Pisa: quattro anni di lavoro e alla fine tutto è sfumato. O come a Padova: nove anni per aprire. Com’è possibile? Per capire quale labirinto sia investire in Italia, il caso La Loggia è emblematico. Ikea cercava 80.000 metri quadri. «Siamo andati a parlare con l’allora governatore Mercedes Bresso - racconta Giorgio Rocchia, consulente Ikea che ha curato i rapporti con le istituzioni - Era il 2006. La Regione voleva anche un parco. E così abbiamo detto: “D’accordo, nessun problema”. E abbiamo cominciato a opzionare i terreni». Il progetto gonfia: 60.000 metri quadri di parcheggio più store, 20.000 metri quadri di sviluppo urbanistico, 80.000 di parco lineare. Dove farli? Vendendo mobili, Ikea ha bisogno di grandi spazi espositivi. Vista la mole di clienti (3,6 milioni in un solo anno nello store di Collegno) necessita di un grande parcheggio e di grandi vie di accesso e di uscita. Vengono proposte otto alternative, ma via via vengono scartate: Trofarello è troppo piccola, Moncalieri troppo congestionata, all’Ariberti c’è l’amianto, in un’altra zona di La Loggia il terreno è esondabile. Viene individuata l’area attuale: sono terreni agricoli, 50 euro a metro quadro. Ikea è pronta a spendere 8 milioni per l’acquisto, gli oneri tabellari prevederebbero altri 8 milioni, ma Ikea promette un investimento di 17,3 milioni, oltre nove in più. Le comunità locali si dicono preoccupate: l’arrivo del mobilificio farà scomparire i piccoli produttori locali. Ikea promette di accollarsi l’indotto. Il sindaco di La Loggia, Salvatore Gerace, è entusiasta. Ma l’Italia è un Paese complesso: ci sono innumerevoli livelli decisionali. Mettere d’accordo tutti è difficile. Le riunioni si susseguono. Ci sono dubbi, ma nulla di irrisolvibile, dicono tutti. È in dirittura di arrivo che salta tutto. Il 6 luglio tutti gli enti preposti vengono invitati alla Vas, la valutazione ambientale strategica. La Provincia non si presenta: funzionari impegnati, è la spiegazione. Ikea comincia a preoccuparsi. Il presidente della Provincia, Antonio Saitta, parla di speculazione immobiliare: «Il suolo è una risorsa. Se Ikea è sensibile all’istanza ambientalista, come dice, scelga un’altra area». Sembra una prova di forza tra poteri. Non lo è. La Provincia è convinta e il 22 luglio delibera il suo «no». Tutto sfuma. A La Loggia persino il parroco si scaglia contro la Provincia: «Ci hanno rubato il futuro», tuona. Ora la Regione cerca di mediare: «Siamo disponibili a incontrare i vertici Ikea - dice il governatore Roberto Cota - Vedremo se c’è la possibilità di superare gli ostacoli». Ma che potere ha in un sistema dove ognuno ha diritto di veto? Il sindaco di La Loggia, intanto, ha appena trasformato 200.000 metri quadri da industriali ad agricoli come compensazione per Ikea. Ora cosa se ne farà? Almeno lui, lo si poteva avvertire. ***** «NON SI PUO’ ACCETTARE IL CONSUMO DEL TERRITORIO» - Il suo «no» all’insediamento Ikea gli ha attirato le ire dei residenti e del sindaco di La Loggia, la freddezza della Regione e ha provocato un question time in Provincia. Don Ruggero Marini, parroco del paese, lo ha accusato di «aver rubato il futuro» dei loggesi. Ma Antonio Saitta, presidente della Provincia di Torino, tira dritto per la sua strada. Presidente, ne valeva la pena? «Noi abbiamo adottato una delibera che difende il territorio, l’Ikea può localizzarsi da altre parti. In quella zona è stata autorizzata una superficie di 177.000 metri quadri di commerciale, ne sono stati realizzati 95.000 metri quadri. C’è ancora spazio». Ma come si fa ad aspettare cinque anni per dare un «no»? «Siamo stati coinvolti nel progetto solo dal 15 ottobre 2009, prima conferenza dei servizi. E da allora abbiamo sempre dato parere negativo a questa localizzazione». Mai incontrata l’Ikea, prima? «No, solo due volte nel 2010. Dice il falso chi sostiene il contrario». Perché avete detto «no»? «Perché abbiamo un piano territoriale provinciale che tutela i terreni agricoli per evitare il consumo del territorio. Se un imprenditore vuole impiantare un’attività, lo faccia da imprenditore andando su aree industriali o commerciali. Se la sua è una scelta economica». Ma così rischiate di perdere un investimento di 60 milioni di euro e 250 posti di lavoro. Come lo si spiega al territorio? «Mettiamola così: se avessimo detto “sì” a Ikea, l’indomani sarebbero potuti arrivare altri imprenditori a chiedere lo stesso trattamento. E questo non è pensabile. I piani urbanistici servono a questo». Ci sono questi altri imprenditori pronti all’investimento? «Non è compito mio cercarli». Forse sì, vista la crisi. «Il compito della Provincia è gestire il territorio». La Lega l’accusa: come mai la Provincia è stata zitta quando è stata autorizzata l’altra Ikea, a Collegno, anch’essa su terreni agricoli? «Perché la Regione ci ha dato la possibilità di dare un parere vincolante solo dal 2006 e l’operazione Collegno è precedente». Esiste un punto di equilibrio tra capacità di un territorio di attrarre capitali e tutela del suolo? «Sì, ed è il nostro piano territoriale. Siamo sempre stati disponibili a seguire gli investimenti, ma entro i termini di legge. Se un terreno è agricolo e ci sono altri terreni industriali o commerciali abbandonati, preferiamo dirottare là le nuove attività». Anche a costo di andare contro gli anatemi dei parroci? «Ikea è una multinazionale. Arriva, offre lavoro, introiti. Cosa deve dire un piccolo sindaco? No? E un parroco, se gli garantiscono di mettere a posto il campetto dell’oratorio?». Ikea ha promesso questo a don Marini? «Facevo una considerazione di carattere generale». ***** «TROPPI OSTACOLI POLITICI. DIFFICILE INVESTIRE DA VOI» - Sono amareggiato e deluso. Quattro anni di lavoro buttati alle ortiche: in Italia è davvero difficile fare investimenti. Troppa burocrazia, troppi veti». Ton Reijmers è expansion e investments manager di Ikea per l’Italia. Un Paese che ha cominciato a conoscere, ma non a capire. Reijmers, si aspettava questo «no» da parte della Provincia sul punto vendita di La Loggia? «No, sono rimasto sorpreso. Abbiamo incontrato più volte il presidente Saitta e mai ci saremmo aspettati questo diniego in dirittura di arrivo». La Provincia sostiene che non potete costruire su terreni agricoli e che ci sono altri terreni industriali. «Quando scegliamo un posto, non un terreno, lo facciamo dopo un attento studio di mercato. Cerchiamo luoghi che rispondano alle nostre esigenze e dove i nostri investimenti portino sviluppo. Anche noi preferiamo i terreni industriali, ma le alternative proposte dalla Provincia non sono idonee». Secondo lei c’è la possibilità che si riapra una trattativa? «Allo stato, no. Mi sembra che la posizione assunta dalla Provincia sia di principio. Siamo disponibili al dialogo, ma dipende da quali sono le premesse. Dispiace lasciare una localizzazione come La Loggia dove abbiamo investito 4 anni di lavoro e un milione di euro di costi preprogettuali, ma non ci sono le condizioni». Capita spesso? «In Italia il modo di approvare i piani costa molto tempo e denaro. Sono coinvolti molti soggetti e alla fine basta un nulla per perdere tutto. È già successo a Vecchiano, vicino a Pisa». Ci sono regioni in cui è più facile? «Sì, la burocrazia resta farraginosa, ma dove le istituzioni politiche sono più coese è più facile. Certo, in Italia resta un calvario ed è difficile da spiegare al Cda in Svezia». Perché? «Io devo combattere con colleghi concorrenti che operano in altri Paesi dove far partire un progetto è molto più facile. L’attenzione sull’Italia resta alta (negli ultimi cinque anni, Ikea ha investito 250 milioni di euro all’anno nel Belpaese, ndr), ma per i buoni dati di vendita, non certo per le procedure burocratiche». La Regione Piemonte si è detta disponibile a offrire un tavolo dove si possano trovare delle soluzioni condivise. «Se mi si dice “cerchiamo di trovare insieme delle soluzioni” posso tentare di ascoltare, per ora non abbiamo localizzazioni alternative, ma non so quanto la Regione possa far cambiare idea alla Provincia e dunque penso non abbia molto senso». Qual è l’ostacolo più difficile da superare? «La Provincia ha tutto il diritto di dire “no” al nostro insediamento, noi vogliamo restare nella legalità. Ma non è bello sentirsi dare degli “speculatori immobiliari”, soprattutto da chi, come il presidente Saitta, sa quanto investiamo nel verde, nelle energie rinnovabili e negli oneri di urbanizzazione».