Sergio Romano, Corriere della Sera 26/7/2011, 26 luglio 2011
VOTO PALESE, VOTO SEGRETO UNA LUNGA STORIA ITALIANA
Da membro del Parlamento europeo e della sua Commissione giuridica mi sono occupato a lungo dei dossier relativi all’immunità parlamentare. Essendo finalizzata alla tutela dell’autonomia dell’Assemblea in quanto tale, essa copre gli atti o gli «insindacabili» interventi compiuti dal deputato nell’esercizio delle sue funzioni di tipo essenzialmente politico, a prescindere dal dove e quando. In questo quadro era — è — fondamentale accertare l’esistenza o meno di un «fumus persecutionis» teso a limitare le libertà o a ledere la dignità individuale di un rappresentante del popolo. Per la delicatezza del pronunciamento e allo scopo di assicurare piena indipendenza, è chiaro che il voto dei membri dell’Assemblea deve essere segreto, in quanto riferito a persona. Ordini di partito o di gruppo non hanno davvero alcun senso. Sono sorpreso che su questo punto illustri costituzionalisti teorizzino il voto palese, quale forma di trasparenza di fronte all’opinione pubblica. Da noi sono saltate tutte le buone regole. E dire sì o no all’arresto (preventivo) di un deputato diventa test di schieramenti o di alleanze. Uno spettacolo cupo, al di là dei casi sui quali non mi pronuncio, una delle pagine più vanamente grottesche nella storia del Parlamento.
Roberto Barzanti, Siena
Caro Barzanti,
La sua lettera, che ho dovuto purtroppo accorciare, mi permette di rispondere ai molti lettori che chiedono perché il voto, nel caso dei parlamentari indagati, sia stato segreto anziché palese. Cercherò di farlo, oltre che con i suoi argomenti, con l’aiuto di un buon saggio scritto da Angelo Summa per il sito dell’editore Giuffré. Nei primi decenni della vita politica nazionale il voto fu prevalentemente segreto per meglio proteggere il parlamentare dalle pressioni del re e della corte. Ma il fascismo, non appena giunto al potere, impose il voto palese, vale a dire lo strumento che gli avrebbe permesso di scoraggiare e reprimere qualsiasi forma di dissenso. Era naturale, quindi, che l’Assemblea costituente, dopo l’avvento della Repubblica, ripristinasse i regolamenti parlamentari prefascisti e restaurasse il principio del voto prevalentemente segreto. Anche i partiti di massa delle società democratiche, tuttavia, vorrebbero avere deputati ligi, disciplinati e obbedienti. Quando i franchi tiratori, negli anni Ottanta, cominciarono a servirsi del voto segreto per eludere gli ordini di scuderia impartiti dai capigruppo, i maggiori partiti riuscirono a modificare i regolamenti parlamentari e ad affermare la prevalenza del voto palese. Dal 1988, con qualche differenza tra una Camera e l’altra, il voto, quindi, dovrebbe essere soprattutto palese. Ma è generalmente segreto nei casi in cui il parlamentare viene chiamato a dare un giudizio fondato sulla sua coscienza e sull’apprezzamento individuale di una questione particolarmente delicata, come è, per l’appunto, l’arresto di un parlamentare indagato. Nella quotidiana guerriglia del parlamento italiano, tuttavia, il voto segreto viene invocato soprattutto da chi ritiene che possa mettere in imbarazzo l’avversario. Un’ultima considerazione, caro Barzanti, sui voti degli scorsi giorni. Il voto era segreto e doveva rappresentare la somma degli apprezzamenti individuali dei singoli parlamentari. Ma era chiaro che le domande a cui il voto avrebbe dato una risposta erano altre: con Berlusconi o contro Berlusconi?, con i giudici o contro i giudici? A me piacerebbe che in questi casi tutti i partiti, per rispettare il principio dell’apprezzamento individuale, lasciassero pubblicamente ai loro membri la libertà di decidere secondo coscienza. Soltanto così la segretezza del voto sarebbe giustificata.