Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2011  luglio 03 Domenica calendario

AFFARE DA 400 MILIONI ECCO PERCHÉ NEW YORK HA DETTO SÌ AI GAY


Ufficialmente legali da un mese, le prime nozze omosessuali nello Stato di New York sono state celebrate negli ultimi due giorni con una vera “infornata” di 823 coppie, presentatesi di fronte al sindaco Michael Bloomberg. Per la cronaca, il primo di tali strampalati “matrimoni” (se così si possono definire) è stato quello fra due anziane lesbiche, Kitty Lambert e Cheryl Rudd, che pure in gioventù pare abbiano avuto una vita normale, tanto da diventare entrambe nonne con un totale di 12 nipoti. New York è così divenuto il sesto Stato degli USA, dopo Connecticut, Iowa, Massachusetts, New Hampshire, Vermont e Washington DC, a consentire unioni legali fra persone di sesso identico. E anche se gridano vittoria i fanatici dei diritti individuali spinti all’estremo, non manca una forte opposizione. Ieri davanti al palazzo del Governatore Andrew Cuomo, reo di aver firmato la legge, una folla formata da fedeli di un po’ tutte le religioni, ha manifestato la sua contrarietà verso questa storpiatura della natura, chiedendo di sottoporre la legge a referendum popolare abrogativo. Prospettiva che potrebbe affossare sul nascere le nozze gay, come già accaduto in California, dato che l’opinione pubblica americana resta in maggioranza avversa a certe forzature del concetto di “diritto”. Del resto, la stessa approvazione della legge nel Senato newyorchese era passata abbastanza di misura, con 33 sì, ma ben 29 no.
Nell’attesa che la parola passi, come auspicabile, agli elettori, ecco spuntare i moventi assai meno idealistici delle decisioni politiche. Dietro il paravento della“difesa dei gay” c’è nientemeno che il progetto di trasformare New York e paraggi in una vera “mecca” del turismo omosessuale, contando sulle nozze libere come calamita principale di una trasferta in massa di “diversi” da ogni parte d’America e del mondo. Sta iniziando infatti la campagna promozionale “NYC, I do” (dove “I do” è il corrispettivo yankee del fatidico “sì”) per attirare nella megalopoli e nel resto dello Stato legioni di gay in “gita matrimoniale”. Il tutto è nato da uno studio del Senato locale, che ha stimato in almeno 391 milioni di dollari l’anno il giro d’affari potenziale. Anzitutto calcolando in circa 66.000 le coppie omosessuali dello Stato, che ha oltre 20 milioni di abitanti, senza contare i forestieri.
Celebrare le nozze, fra banchetto, ricevimento, lista nozze e luna di miele, può costare a una coppia fra i 10.000 e i 50.000 dollari, mica briciole! Se a ciò aggiungiamo il fascino della Grande Mela, foto in abito bianco nello scenario di Central Park o della Statua della Libertà, si ha un’idea delle dimensioni globali che può raggiungere il business. Non a caso, proprio il via alle nozze gay a New York coincide con l’annuncio che in autunno aprirà il primo albergo destinato esclusivamente ai “diversi”. Si chiamerà “The Out NYC” e accoglierà la sua sceltissima clientela sulla 42esima Strada. Ricca l’offerta, con 105 camere, un nightclub, lounge bar, cabaret, ristorante con caffetteria, più un centro benessere, con sauna e palestra. Si prospetta un prezzo sui 250 dollari a notte, oltre alla possibilità di sposarsi direttamente nell’hotel. Ancora una volta, quindi, ecco lo zampino del dio denaro. Seppure l’indotto previsto dalla nascente “mecca gay” sia in realtà una piccola parte dei ben 31 miliardi di dollari che il turismo fa entrare nelle casse newyorchesi. Forse, non era il caso di scendere a compromessi coi valori per quell’1% di "sghei" in più.

Mirko Molteni