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 2011  luglio 26 Martedì calendario

Mutamenti climatici e fame - Cosa ci può dire del mondo un’umile pagnotta? Molto di più di quanto potremmo immaginare

Mutamenti climatici e fame - Cosa ci può dire del mondo un’umile pagnotta? Molto di più di quanto potremmo immaginare. Può essere «letta» come un campione estratto dal cuore di una pessima economia globale. Da un altro punto di vista, rivela alcune cruciali colpe politiche internazionali, incluse quelle che stanno all’origine della Primavera Araba. Da sempre la pagnotta è l’essenziale della vita, ciò che in molte parti del mondo fa la differenza tra la sopravvivenza e la fame. Ma dobbiamo chiederci di che cosa è esattamente fatta: acqua, sale e lievito, ma soprattutto grano. Quando il prezzo del grano cresce a livello globale, sale anche quello del pane, e aumentano i problemi. Un altro ingrediente chiave è il petrolio, presente sotto forma di fertilizzanti e carburanti delle macchine agricole. E non dimentichiamo il lavoro: ai contadini sono subentrati operai che producono trattori e trebbiatrici, e tecnologia. È anche ovvio che senza capitali finanziari, utili ad acquistare macchinari e fertilizzanti, la nostra pagnotta non esisterebbe. Il denaro, poi, può indirettamente incidere con ancora più forza sul prezzo del grano per effetto della speculazione. Gli ingredienti finali appartengono alla natura: sole, ossigeno, acqua e suolo. Ma c’è un elemento in più che non può essere ignorato, il cambiamento climatico, sempre più influente sui mercati. Quando un mix esplosivo di questi ingredienti fa crescere il prezzo del grano, entra in scena la politica. Consideriamo che l’Egitto è il primo importatore mondiale di grano, seguito da Algeria e Marocco. E teniamo a mente che la Primavera Araba ha avuto origine in Tunisia quando i prezzi degli alimentari sono saliti, accendendo le rivolte che si sono concluse con la cacciata del premier Ben Ali. Da lì, le sollevazioni si sono estese in Egitto, mentre il governo algerino ordinava di aumentare le importazioni di grano per sedare le proteste contro i prezzi troppo alti. Quando i prezzi globali del grano sono cresciuti del 70% tra giugno e dicembre 2010, in Egitto i consumi hanno cominciato a scendere. A giugno, il grano costava l’83% in più rispetto a un anno prima, mentre i prezzi del granturco lievitavano del 91%. L’Egitto è il quarto importatore mondiale di granturco, e l’Algeria, la Siria, il Marocco e l’Arabia Saudita sono tra i primi 15. L’anno scorso in Egitto l’inflazione sui prezzi degli alimentari ha superato il 20%, con un impatto devastante sulle famiglie, che spendono il 40% delle loro già esigue entrate solo per nutrirsi. Su questo sfondo, il presidente della Banca Mondiale Robert Zoellick ha lanciato l’allarme che il sistema alimentare globale era a «un passo dalla crisi completa». E se vogliamo ricondurre quella crisi «completa» alle sue radici ambientali, l’elemento a cui guardare è il cambiamento climatico che sta sconvolgendo il pianeta. Nell’estate 2010 la Russia, uno dei maggiori esportatori mondiali di grano, ha sofferto la sua più grave siccità in cent’anni. Gli incendi hanno raso al suolo vaste porzioni di foreste, spianato i terreni coltivati e danneggiato il granaio nazionale al punto tale che il Paese ha bandito per un anno le esportazioni di grano, determinando l’ulteriore crescita dei prezzi. Nel frattempo l’Australia, un altro importante esportatore di grano, veniva colpita da forti inondazioni, mentre piogge eccessive nel Midwest americano e nel Canada danneggiavano la produzione di granturco. Anche le terribili alluvioni in Pakistan, che hanno messo sott’acqua il 20% del suo territorio, hanno spaventato i mercati e sollecitato gli speculatori. Ed è stato allora che i prezzi hanno cominciato a salire in Egitto, sull’onda del cambiamento climatico. La conseguente crisi ha portato alle sollevazioni e infine alla caduta del presidente Hosni Mubarak. Alle rivolte a catena nei Paesi vicini è seguito l’intervento occidentale in Libia, la cui produzione giornaliera di 1,4 milioni di barili di petrolio si è in gran parte arrestata. Ne è derivato un forte aumento del prezzo del greggio, che è svettato a 125 dollari al barile, alimentando le speculazioni nei mercati alimentari e facendo così ulteriormente crescere i prezzi del grano. I mesi recenti non hanno dato tregua. Ancora una volta, alluvioni da record hanno danneggiato i raccolti in Canada, negli Usa e in Australia, e un’inaspettata siccità si è abbattuta nel Nord Europa. Il sistema alimentare globale è pesantemente compromesso dalla domanda crescente, dai prezzi dell’energia che salgono, dalla penuria di acqua e soprattutto dal caos climatico. E questo, dicono gli esperti, è solo l’inizio. Secondo le previsioni, il prezzo del pane salirà del 90% nei prossimi 20 anni, il che significa ancor più proteste, guerre per l’acqua, immigrazioni disperate, violenze etniche e religiose, banditismi, guerre civili e, se la storia può insegnarci qualcosa, la possibilità di nuovi imperialismi. E come stiamo rispondendo all’intensificarsi della crisi? C’è stata un’iniziativa di respiro globale volta a garantire la sicurezza alimentare ai poveri del mondo, che si traduce in un prezzo stabile e accessibile del pane? Al contrario, durante le rivolte in Medio Oriente, le grandi società di commodities traevano profitto dall’aumento dei prezzi del grano. Più costosa diventa la nostra pagnotta, più loro ci guadagnano. Lo si può considerare come la peggiore possibile forma di «adattamento» al cambiamento climatico. Dunque, cosa dovrebbe saltarci in mente quando «leggiamo» la nostra pagnotta? Un avvertimento, naturalmente. Ma un avvertimento finora ignorato.