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 2011  luglio 25 Lunedì calendario

Un contenitore che fa star comoda qualsiasi storia - Una gamba di qua e una di là di un confine ancora incerto

Un contenitore che fa star comoda qualsiasi storia - Una gamba di qua e una di là di un confine ancora incerto. Agenti segreti e spie, avventurieri e strani traffici, aroma di popcorn dove si proiettano i film hollywoodiani che il fascismo aveva vietato e, nei dancing, ragazze scatenate in boogie woogie con soldati ebbri in divisa di altro colore. La Trieste del secondo dopoguerra, per un decennio avvolta in una bolla chiamata Governo Militare Alleato, si nutre dell’immaginario che viene dall’altra parte dell’oceano e lo rimescola nel suo già ricco cocktail di suggestioni cosmopolite stimolando curiosità e nuove fantasie. Non che fino ad allora le sue Rive, le piazze, la quinta asburgica che occulta i vicoli di Cittavecchia a chi la vede dal mare non siano entrate nell’occhio di qualche cinepresa. Frugando in cineteca si va a ritroso fino al 1911 («Da Trieste a Miramar») per dare il primo ciak di un film di fiction in una città che allora non è ancora «di frontiera». Ma è nel decennio post bellico che il set triestino assume una caratteristica tutta sua, scenografia e fonte d’ispirazione a un tempo. Sintomatici già i titoli, firmati con nomi di diverse nazionalità: «Sulla nostra terra» di France Stiglic, «La città dolente» di Mario Bonnard, «Donne senza nome» di Géza Von Radvanji, «Cuori senza frontiere» di Luigi Zampa, «Clandestino a Trieste» di Guido Salvini, «Corriere diplomatico» di Henry Hathaway, «Ombre su Trieste» di Nerino Florio Bianchi, «Inganno» di Guido Brignone. E volti destinati a diventare celebri: Gino Cervi e Valentina Cortese, Gina Lollobrigida e Raf Vallone, Massimo Girotti e Doris Duranti, Gabriele Ferzetti e Carlo Giuffrè. C’è perfino Tyron Power, anche se la sua presenza in città nel film di Hathaway è frutto di montaggi. Giorgio Scerbanenco traeva ispirazione da quella atmosfera per il suo romanzo «Appuntamento a Trieste», storia spionistica e sentimentale che avrà una versione cinematografica nel 1987, firmata da Bruno Mattei. E «La ragazza di Trieste» di Bernard Borderie raccontava un’altra storia di spie e amori che non ha niente a che vedere con quella del film dallo stesso titolo (ispirato dalle teorie psichiatriche di Franco Basaglia) girato da Pasquale Festa Campanile 30 anni dopo, con Ornella Muti. Definita la spinosa questione del confine e sciolto il Governo Alleato, partiti gli americani e nell’ottobre ‘54 arrivati i bersaglieri in un tripudio di folla sul molo più lungo delle Rive, agenti segreti e spie possono andare in pensione e può cominciare un’altra storia. In attesa di trovarne una nuova, e con la consapevolezza che non ce ne sarà mai più una così foriera di spunti come quella conclusa capace di dar vita a un «filone», si ripercorrono i sentieri solcati dai cittadini illustri, più avvezzi a maneggiare penna e carta che pellicola. Gli Anni ‘60 in versione cinematografica si aprono con «Senilità», omaggio a Italo Svevo di Mauro Bolognini, con Claudia Cardinale, Anthony Franciosa e Philippe Leroy. Contemporaneamente, il regista triestino Franco Giraldi narra in chiave documentaristica «La Trieste di Svevo», rafforzando la linea di tendenza già indicata da Francesco de Veo con «La Trieste di Saba». Nei decenni successivi Svevo fornirà a Eberhard Itzenplitz la fonte per «Una vita» e a Sandro Bolchi per il film-tv «La coscienza di Zeno». A UmbertoSaba, in chiave fiction, attingerà Salvatore Samperi per «Ernesto». E la strada letteraria conduce il cinema fino a Susanna Tamaro, da cui Cristina Comencini trae «Va’ dove ti porta il cuore». Intanto, negli Anni 70 registi di grande richiamo si affacciano alle location triestine trovandole in sintonia coi loro intenti. Comincia Luchino Visconti, che sceglie la vecchia stazione di Campo Marzio per una scena di «Morte a Venezia», tratto da Thomas Mann. Stesso set utilizzato da Sandro Bolchi per «Anna Karenina», tratto da Lev Tolstoj, più o meno quando Francis Coppola piazza la sua troupe alla Pescheria Grande, che in occasione Giuseppe Tornatore delle riprese di «Il Padrino - parte II» è riconvertita in Ellis Island, dove i migranti dall’Europa erano sottoposti all’esame d’ammissione a New York. Negli anni Ottanta Peter Del Monte sperimenta l’alta definizione di «Giulia & Giulia». E così avanti, fino a «Il paziente inglese», in cui Anthony Minghella maschera il Porto Vecchio da porto di Tobruk, e Bigas Luna, che per «L’immagine del desiderio» fa ricostruire una fiancata del Titanic sulla banchina della Stazione Marittima. Nel 2000 nasce la Film Commission Friuli e Venezia Giulia, per incentivare le produzioni cinematografiche nella regione. Prima e dopo decine di film di tutti i generi sono stati girati in città, da «Paprika» di Tinto Brass a «Vesna va veloce» di Carlo Mazzacurati a «La sconosciuta» di Giuseppe Tornatore. E si continua a girarne quasi sempre, dissimulando un altrove. Come a dire che se Trieste oggi non vive più una propria particolare storia che stimola l’immaginazione, rimane pur sempre un contenitore mutante, capace di far stare comoda qualunque storia, adattandovisi.