Giorgio Dell’Arti, La Stampa 25/7/2011, 25 luglio 2011
VITA DI CAVOUR - PUNTATA 136 - IL RE E IL DIAVOLO
Cavour rispose alle domande?
Passeggiarono un po’ sulla banchina prima che il generale salisse a bordo. La Marmora era altissimo, sovrastava il conte come un don Chisciotte il suo Sancio Panza. «Senti, io appena arrivo gli dico che di questo lord Raglan non ne voglio sapere...». Cavour fissava il mare. «Almeno questo nel trattato l’avrai stabilito, no? I piemontesi dove si devono mettere, a fianco di chi devono stare, non voglio dire “sotto chi”, questo mi parrebbe troppo». Cavour, niente. «Insomma, non mi vuoi parlare, non mi vuoi dare istruzioni, sei presidente del Consiglio e ministro degli Esteri, io sto per partire e non hai niente da dire...». Cavour finalmente lo fissò. Poi, prendendogli un braccio, mormorò: «Ascolta, Alfonso. Non ho che un’istruzione». Il generale si chinò verso di lui per sentir meglio. E Cavour disse: «Arrangiati».
Bel sistema.
L’importante era esserci. E segnare qualche punto, cioè potersi attribuire qualche vittoria. Ma per questo, ci vorrà qualche mese. E intanto è necessario dir qualcosa su questa legge relativa alla soppressione dei conventi. Anzi, su tutta la politica anticlericale di Cavour, cominciata in realtà quasi nello stesso momento in cui era diventato primo ministro, anche per controbilanciare il passo indietro sul matrimonio civile. La politica anticlericale non poteva poi essere abbandonata del tutto per via dell’Inghilterra.
Come sappiamo. Beh, la legge sui conventi, sentiamo di che si tratta.
L’offensiva anticlericale era cominciata all’inizio del 1854. Prima di quella sui conventi, Rattazzi aveva presentato un’altra legge che sembrava fatta apposta per piacere a lord Shaftesbury: prevedeva la libertà di culto per i protestanti. Portata alla Camera, passò con una bella maggioranza, ma provocò un dibattito drammatico. Costa de Beauregard, il deputato savoiardo che era stato grandissimo amico di Cavour e che da quel giorno gli tolse il saluto, gridò fremente dalla ringhiera che il governo del Regno era ormai protestante, «s’era meritato fin gli elogi dell’Inghilterra». Usò la parola flétrissure (i deputati della Savoia erano gli unici che potevano parlar francese). Rattazzi gli rispose che se i liberali avevan dietro l’Inghilterra, i clericali come lui avevan dietro l’Austria. Al Senato bisognò portar dei ritocchi. Il re aveva ricominciato a smaniare.
E la legge sui conventi?
Era un’altra iniziativa di Rattazzi. Prevedeva la soppressione dei conventi. Una misura davvero estrema. Rattazzi - le ricordo che era ministro della Giustizia - la giustificò con problemi di bilancio. Lo Stato spende un milione l’anno per culti e assegni ai parroci poveri, bisogna recuperare questi fondi in qualche modo e non c’è altra via che sopprimere gli Ordini inutili e incamerarne i beni. Discorsi più o meno così.
Vittorio Emanuele?
Gridava: «Mi si lasci almeno tentare un accordo con Roma!». Mandò tre vescovi a trattare col Papa. Ma un accordo con Pio IX avrebbe fatto cadere l’appoggio inglese a Cavour. Il governo ne sarebbe stato snaturato al punto di doversi dimettere. Così il conte preparò il suo solito fatto compiuto: senza che il re sapesse niente, presentò la legge alla Camera. Era il 23 novembre. Dieci giorni prima dell’alleanza tra Francia e Austria. Revel in quel momento era ancora in corsa, con la cronologia siamo tornati indietro.
Che accadde dopo?
Accadde che in un solo mese morirono la madre, la moglie e il fratello del re. Questo diede modo ai frati di corte di assediare il sovrano. Essi bisbigliavano al suo orecchio: ecco dove conducono le eresie di Cavour, ecco dove portano le offese alla Chiesa del signor Rattazzi! E poi sibilavano: ma la mano di Dio... Vittorio Emanuele non sapeva neanche lui se piangere le tre morti o abbandonarsi senz’altro al terrore. Quando poi sentì annunciare dal Papa che chiunque avesse collaborato all’approvazione della legge sarebbe incorso nelle censure canoniche, prese carta e penna e scrisse a Pio IX. « Sappia la Santità Vostra che sono io che non lasciò votare la legge sul Matrimonio in Senato, che sono io che ora farò il possibile per non lasciare votare quella sui conventi. Forse tra brevi giorni questo ministero Cavour cascherà, ne nominerò uno della destra e metterò per condizione sine qua non che mi si venga al più presto ad un totale aggiustamento con Roma (Mi faccia la carità di aiutarmi) io per parte mia ho sempre fatto quel che ho potuto. (Quelle parole al Piemonte non ci andavano adesso, ho paura che mi guasti tutto). Guarderò che la legge non passi, ma mi aiuti poi Santo Padre. Bruci questo pezzo di carta per farmi piacere ».
Come fa lo Stato a sopprimere un convento?
Era una legge molto discutibile, e che tra l’altro non realizzò i risparmi per cui era stata concepita. Lo scandalo consisteva nel fatto che affermava il diritto dello Stato di disporre dei beni della Chiesa. La separazione tra le due istituzioni era resa ancora più netta perché si prevedeva che le pensioni ai religiosi fossero pagate attraverso una cassa alimentata da un’imposta sugli enti ecclesiastici non soppressi. In Francia avevano fatto diversamente, era direttamente lo Stato a provvedere. Nonostante tutto alla Camera il provvedimento passò con una bella maggioranza, 116 a 36.