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 2011  luglio 24 Domenica calendario

«Ero gay, ora ho una moglie Il professor Veronesi non sa di che sta parlando...» - «Luca era gay e adesso sta con lei / Lu­ca parla con il cuore in mano / Luca dice sono un al­tro uomo»

«Ero gay, ora ho una moglie Il professor Veronesi non sa di che sta parlando...» - «Luca era gay e adesso sta con lei / Lu­ca parla con il cuore in mano / Luca dice sono un al­tro uomo». Quando il 17 febbraio 2009 sentì questi versi al Festival di Sanremo, Luca Di Tolve ebbe un sussulto: sul palco del teatro Ariston, Giuseppe Povia stava cantando la storia della sua vita. Luca era gay e adesso non lo è più. Lo è stato dai 13 ai 31 anni e si senti­va considerato niente più che «un bel pez­zo di carne». Se gli chiedi il numero dei partner che ha cambiato in quel periodo, ti risponde, abbassando gli occhi, «alme­no due a settimana», cioè poco meno di 1.900, il che lo pone una spanna al di so­pra del cantautore Franco Califano, recor­dman dell’acchiappo, che ha cominciato anche lui a 13 anni e che mi ha confessato d’aver avuto nella sua vita 1.500 donne. Solo che quando il Califfo ha improvvisa­to­ questo calcolo era prossimo alla settan­tina e ancora si applicava di buona lena, mentre Di Tolve ha smesso per sempre di andare a uomini da quasi un decennio. Luca, milanese di 39 anni, adesso sta con Teresa, bergamasca di 35, detta Ter­ry, operatrice sanitaria in una casa di ripo­so, che s’è licenziata per stargli vicino - è sieropositivo, ha avuto un’epatite, ogni giorno deve ingollare 12 pastiglie - e per aiutarlo nel Gruppo Lot, una Onlus intito­lata al nipote di Abramo fuggito da Sodo­ma prima che la città venisse incenerita da una «pioggia di zolfo e fuoco prove­niente dal Signore», così narra la Genesi. Per seguire l’associazione che ha creato, Luca ha invece chiesto un’aspettativa di due anni al Comune della Lombardia do­v’è guardia giurata e ora insieme con la moglie gira l’Italia (l’ho rintracciato a Pe­scara, nella parrocchia di Santa Caterina da Siena), per rac­contare la sua sto­ria a ragazzi che vorrebbero cam­biare vita, come ha fatto lui. Attra­verso Internet lo hanno cercato in 2.000, dai 18 ai 45 anni, e un centina­io­ di loro ha già se­guito il percorso di preghiera, sup­port­ato dalla tera­pia riparativa mes­sa a punto dallo psicologo clinico statunitense Jose­ph Nicolosi, mem­bro dell’Ameri­can psychologi­cal association, fondatore del Nar­th (National asso­ciation for resear­ch and therapy of homosexuality) e della clinica San Tommaso d’Aqui­no di Encino, in California. Dieci di questi percorsi si sono conclusi con altrettanti ma­trimoni e la nascita di quattro figli - «un quinto è in arrivo», annuncia raggiante Di Tolve - e tre con altrettante ordinazioni sacerdotali. Luca era gay e adesso dice «sono guari­to», e questo manda in bestia i gruppi omo­­sessuali, Arcigay in testa. Non solo perché fin dal 1973 nel Dsm (Diagnostic and stati­stical manual of mental disorders) l’omo­sessualità è stata derubricata da malattia mentale a variante non patologica del comportamento sessuale, ma soprattutto perché Di Tolve non è un tizio qualunque. Nel 1990 fu uno dei primi a essere eletto Mi­ster Gay nella­discoteca Nuova idea inter­national di via De Castillia, il locale più tra­sgressivo di Milano, che ancor oggi offre «ragazzi tanti e boni» e «le migliori cubiste trans». È stato per due anni nel direttivo dell’Arcigay milanese. Era diventato l’im­presario turistico di riferimento dell’asso­ciazione. Organizzava crociere e vacanze per gay pubblicizzate su Adam e Babilo­nia , i due periodici trendy della comunità omosessuale. Nel 1996 aveva addirittura organizzato, d’intesa con le Ferrovie dello Stato, un treno speciale che avrebbe dovu­to ­portare militanti da tutta Italia al Gay pri­de di Napoli, anche se poi il convoglio ri­mase fermo sui binari perché l’Arcigay partenopea negò la sponsorizzazione con­cessa invece dall’Arcigay milanese. Frequentava il jet set internazionale: ha potu­t­o avvicinare Gianni Versace e Giorgio Ar­mani; ha conosciuto Dolce e Gabbana a Taormina; una foto lo ritrae con Carla Bru­ni, non ancora divenuta premièr dame di Francia; tra Portofino e la Costa Smeralda è stato accolto alle feste o sui panfili di fa­mosi stilisti, insie­me con Naomi Campbell, Flavio Briatore e Sean Combs, il rapper americano noto come Puff Daddy. Da quando Lu­ca Di Tolve non è più gay, si ritrova tutti contro, specialmente dopo che ha avuto il co­raggio di mettere nero su bianco la sua storia nelle 248 pagine del li­bro Ero gay, che è stato edito da Piemme col sotto­titolo A Medju­gorje ho ritrovato me stesso, perché l’autore è arcisicu­r­o che ci sia la Ma­donna apparsa trent’anni fa a sei veggenti nel villag­gio della Bosnia­ Erzegovina all’ori­gine di quella che lui considera una vera e propria re­denzione. S’è tro­vato minacce di morte nella casella della posta, tanto che oggi è costretto a non rive­lare a nessuno il luogo di residenza. Quan­do va a parlare in giro per l’Italia, deve farsi proteggere dalla Digos e dai carabinieri. A Brescia, nella Casa dei diaconi messagli a disposizione dalla curia vescovile, è stato assediato da circa 200 sostenitori dell’Ar­cigay, capeggiati dal presidente naziona­le Aurelio Mancuso e da quello onorario Franco Grillini, ex deputato e leader stori­co del movimento gay. Portavano appeso al collo un certificato Asl di sana e robusta costituzione fisica e inalberavano cartelli con l’ammonizione «Non guarirete mai!» lanciata all’indirizzo di coloro che aveva­no accettato di partecipare alla sua confe­renza. Alla fine è stato scortato da due poli­ziotti in un’altra sede, tenuta segreta per precauzione. Lo stesso è accaduto a Mila­no, nella parrocchia di San Giuseppe Cala­sanzio. «Per la visita del professor Nicolo­si in Italia sono stati mobilitati 20 agenti. E poi i gay hanno il coraggio di sostenere che quelli discriminati sono loro! Mi consi­derano un reietto, un rifiuto umano. Han­no sc­ritto che sono a libro paga del Vatica­no e che prendo ordini da Rocco Buttiglio­ne, escluso dalla Commissione europea per aver detto che come cattolico conside­ra l’omosessualità un peccato, ma non un crimine. Evidentemente per loro è invece un delitto il matrimonio fra un ex omosessuale e una donna. Se un eterosessuale di­venta gay viene salutato come un eroe, lo invitano in Tv, gli offrono un posto da opi­nionista nei giornali, mentre se un omo­sessuale compie il percorso inverso viene messo al bando». A che età s’è scoperto diverso? «Nell’età degli ormoni. Alla scuola media fin dal primo giorno ho cominciato a pro­vare­un’attrazione irresistibile per il com­pagno di banco, Paolino. Mia madre mi portò da due psicologi, che emisero la stessa diagnosi: “È omosessuale, si deve solo accettare”. La televisione e il resto del mondo mi dicevano la stessa cosa. Fu come darmi via libera. Mi misi subito alla ricerca di altri uguali a me». La sua inclinazione che origine ha? «Il movente profondo che spinge ad adot­tare comportamenti omosessuali è sem­pre il medesimo: assumere le caratteris­ti­che maschili che non riesci a esprimere in te stesso. Ho avuto una madre ansiogena e amorevolmente oppressiva. Si sposò a 17 anni.All’epoca mio padre lavorava alla Ri-Fi, la casa discografica di Mina e Fred Bongusto. In casa non c’era mai e, quelle poche volte che c’era, litigava. Alla fine si separarono. A 6-7 anni mamma mi man­dava a scuola in calzamaglia. “Ma sei ma­schio o femmina?”, mi prendevano in giro i miei compagni di classe. Mi tolsero le mu­tande con la forza per accertarlo. Quando il gruppo dei pari ti respinge, tu che fai? Fi­nisci nel gruppo delle femmine. Ho avuto solo maestre. Alle medie persino l’inse­gnante di ginnastica era una donna». Interrotti gli studi, divenne prostituto. «Mi facevo mantenere. È una consuetudi­ne piuttosto diffusa nell’ambiente gay. Conobbi Riccardo, un trentenne milane­se figlio di un miliardario. Lavorava per l’industria orafa e per la moda.Agli stilisti mi presentava come il suo fidanzato. Mi versava tre milioni e mezzo di lire al mese solo per stare con lui. Più la carta di credi­to. Mi pagava il personal trainer perché di­ventassi sempre più bello e palestrato. Nel frattempo ognuno di noi aveva storie parallele.Abitavo in Montenapoleone,gi­ravo con l’autista e il Rolex d’oro al polso ». Poi si mise a fare il personal shopper. «Sì, accompagnavo gay danarosi di tutto il mondo, soprattutto americani, a far com­pere nelle boutique di lusso. Il mio nome era su Spartacus , la guida internazionale per gay.M’è anche capitato di portare in gi­ro principesse degli Emirati arabi. Una di loro spese in poche ore 150 milioni di lire in vestiti, scarpe e borsette. Ero arrivato a guadagnare 30 milioni al mese in questo modo. Ogni anno io stesso andavo a fare shopping a New York e svernavo a Miami. Fu lì che vidi un grande cartello stradale: “Gay cruise”. Caspita, mi dissi, qui siamo accolti anche al Club Med! Decisi di orga­nizzare crociere omosex in Italia». E le navi dove le trovò? «Interpellai la Costa e la Moby. Nessuno dei funzionari delle due compagnie solle­vò obiezioni. Per la prima crociera scelsi la Corsica. Partenza da Genova con 60 passeggeri, tutti travestiti. Naked party, dove si stava nudi. Docce di gruppo. La se­ra sorteggio delle cabine per favorire gli scambi di coppia». Perché solo travestiti? «Ero attratto dai lineamenti efebici dei transessuali. Stavo per ore a osservare quelli che batteva­no in corso Sem­pione. Fu lì che co­nobbi Diego». Un travestito? «Sì, in arte Bella­donna. Ma sul più bello che s’era sta­bilita fra noi una forte intesa, la morte aprì le dan­ze. Allora per l’Ai­ds non c’erano cu­re, si crepava nel g­i­ro di un anno. Bel­la­donna perse pro­gressivamente la vista. Il suo corpo scultoreo si ridus­se allo stato larva­le. Dai, Bella, rifat­ti il trucco che ti porto in crociera!, cercavo di rassicu­rarla. Non volevo vederla soffrire, perciò ripresi do­po tanti anni a pre­gare e le misi fra le mani un santino della Madonna delle Lacrime di Si­racusa. In quel mo­mento Belladon­na perse per sempre conoscenza. “È una fortuna per il suo amico”,mi dissero i me­dici. “Ha sviluppato anche una toxopla­smosi che porta alla putrefazione del cer­vello. Meglio che sia in coma: fosse rima­sto lucido, avrebbe sofferto le pene dell’in­ferno”. E lì ebbi per la prima volta la perce­zi­one che le mie suppliche alla Vergine fos­sero state esaudite». Fintantoché anche a lei non diagnosti­carono il virus dell’Hiv. «Accadde al ritorno da Miami. Avevo sem­pre la febbre a 40. Subito i medici ipotizza­rono che avessi contratto la malaria in qualche zona paludosa della Florida. La sentenza di morte fu pronunciata da una sbrigativa dottoressa dell’ospedale Sacco di Milano: “Sieropositivo.Mi spiace.Ecco qua i suoi esami. Si metta in coda per la prassi”. Mi resi conto che dovevo morire. Tornai ad abitare con mia madre. Alla fe­sta che diedi per il trentesimo complean­no un ragazzo gay dimenticò a casa mia un opuscolo sulla terapia riparativa del professor Nicolosi. Lo lessi con avidità». E che cosa scoprì? «Che era tutto vero. Per anni hai bevuto, hai sniffato coca, hai fatto sesso con più partner contem­poraneamente e in trenta pose di­verse, ma sei infe­lice. Non riuscen­d­o a diventare uo­mo, tenti con gli amplessi di appro­priarti degli attri­buti esteriori del­la mascolinità, una sorta di canni­balismo collegato al godimento. Di giorno provi a di­fenderti da quan­to vorresti fare di notte, perché ti rendi conto che ogni senso di pie­nezz­a svanisce in­sieme con l’eiacu­lazione. Ma la se­ra basta un non­null­a per scatena­re la nevrosi che si esaurisce solo al termine del coito. Per riaccendersi più forte subito dopo». Sa di girone dantesco. «All’inizio pensai di poter trovare la salvezza nel buddismo. Ore e ore a ripetere il mantra “Nam myoho renge kyo” davanti ad altari fatti con le mele. Poi un giorno vidi una corona del rosario sul contatore della luce e sen­tii una locuzione interiore che mi ordina­va: “ Prendilo!”.Mi misi a recitarlo.Alla ter­za posta caddi in ginocchio, letteralmen­te. Avvertii un amore indescrivibile, ma­terno, che non esiste sulla Terra, e scop­piai a piangere. Fu una liberazione. Da quel momento sparirono pulsioni omo­sessuali, angosce, tristezza, sconforto, pensieri negativi, paura di morire. Ripre­si a lavorare in un call center. Continuavo a frequentare i gay, ma come fossero fra­telli. In fin dei conti erano la mia famiglia. Loro mi prendevano in giro: “ecco Gio­vanni il Battista!”, “cara, sei nella fase mi­stica”, “ è arrivato Medjugorje!”.Avrebbe­r­o voluto rivedermi ballare sul cubo col se­dere di fuori. Vivevo nel terrore che le pul­sioni omosessuali si ripresentassero». E per scongiurare quest’eventualità che fece? «Cercai Giancarlo Ricci, psicoterapeuta aderente alla rete Narth del professor Ni­colosi. Cominciai a lavorare sulla mia viri­lità. Dopo essere stato assunto co­me guardia giura­ta, mi misi a studia­re La Gazzetta del­lo Sport­e a guarda­re Il processo di Bi­scardi in televisio­ne per non farmi cogliere imprepa­rato dai colleghi che parlavano so­lo di calcio. Sentii d’avercela fatta il giorno in cui m’in­vitarono con loro al bar a bere una birra. Ero tornato nel gruppo dei pa­ri. Pensai: tu puoi essere eteroses­suale, tu puoi for­marti una fami­glia. Era un’idea che mi faceva sen­tire bene». Le mancava so­lo una donna. «M’innamorai di una ragazza bion­da, bel viso, bei se­ni. Purtroppo era atea e di sinistra, mi parlava della pillola del giorno dopo, mentre io volevo che si convertisse. Dopo tre mesi ci la­sciammo. Nel 2005 andai a Medjugorje per ringraziarela Madonna d’avermi sal­vato. All’ora dell’apparizione, fu come se la creazione si fermasse. Un silenzio asso­luto, irreale. Guardai il sole a occhio nu­do. Caddi di nuovo in ginocchio. Tornato in Italia, a casa di una coppia di amici che era stata in pellegrinaggio con me, conob­bi Teresa. Il 22 agosto 2008, dopo tre anni di fidanzamento, la sposai. Ora vorrei di­ventare padre». Ma lei non è sieropositivo, scusi? «Sì, ma c’è stato un altro miracolo: da quando mi sono convertito,la carica vira­le dell’Hiv è completamente azzerata. Sto benissimo. Quindi un figlio non correreb­be rischi. Purtroppo tarda ad arrivare». Lei dice: «Sono guarito», dando impli­citamente dei malati agli omosessua­li. Ma sul sito per le Pari opportunità trovo scritto:«L’omofobia è una malat­tia dalla quale si può guarire». Quindi è chi ha paura dei gay a essere malato. «Guarito in senso etimologico: mettere al riparo. Una guarigione spirituale. Potrei usare un altro verbo. Uso questo perché ci vogliono rubare anche le parole. Mai pensato che l’omosessualità sia una malattia». E l’omofobia è una malattia? «Secondo il Dsm, il manuale dei di­sordini mentali, perché si possa diagnosticare una fobia devono presentarsi alme­no quattro dei se­guenti sintomi: palpitazioni, ta­chicardia, sudora­zione, tremori, di­spnea, dolore al petto, nausea, di­sturbi addomina­li, sbandamento o svenimento, de­personalizzazio­ne, paura d’im­pazzire o di mori­re, parestesie. Chi viene dipinto co­me omofobo pro­va quattro di que­sti sintomi men­tre parla dei gay? Ma andiamo!». Appena sarà approvata la legge sul­l’omofobia, la arresteranno. «Perché il ministro per le Pari opportunità non promuove invece uno studio serio, scientifico, per inquadrare un fenomeno che desertifica l’anima?Forse perché ritie­ne l’omosessualità una condizione inna­ta e immutabile? Eppure il gene dell’omo­sessualità non esiste, né mai potrà essere individuato. Altrimenti non si spieghereb­be come mai nei gemelli omozigoti, che condividono il 100 per cento dei geni, solo nel 52 per cento dei casi entrambi i fratelli siano omosessuali. Le Pari opportunità non contemplano la libertà di scelta?». Presumo di sì. «Ebbene nella classificazione delle malat­tie l’Organizzazione mondiale della sani­tà include il disturbo F66.1 e stabilisce che, qualora la preferenza sessuale eteroses­suale, omosessuale o bisessuale sia causa di disordini psicologici, “l’individuo può cercare un trattamento per cambiarla”». Come mai si parla tanto di omofobia? È una parola che sulla Treccani neppu­re compare. L’Ansa la usò per la prima volta, e una sola volta, nel 1984. L’an­no scorso l’ha adoperata 816 volte. «Si tratta di una precisa strategia dell’atti­vi­smo gay per arrivare a sanzionare la liber­tà di pensiero e di espressione. Un attacco alla Costituzione. Non vogliono che si par­li di loro, se non per parlarne bene. Una tat­tica intimidatoria: se vuoi essere conside­rato una persona ragionevole, e non un soggetto fobico, cioè un malato, devi con­dividere l’ideologia omosessualista». Perché i mass media darebbero un’im­magine idilliaca dell’omosessualità? «Perché i gay sono stati bravi ad arruffia­narsi la comunicazione. Dopo secoli di persecuzioni, hanno capovolto a loro van­­taggio gli stereotipi negativi. Certo, per in­vitare Lady Gaga al Gay pride di Roma quattro sfigati non devono essere. E poi conta molto il connubio col mondo della moda, che assicura alla comunità omo­sess­uale una visibilità e un potere assai su­periori alla sua consistenza numerica, sti­mata da Nicolosi non nel 10 per cento del­la popolazione mondiale, come vorreb­be uno dei miti più resistenti della cultura gay, ma nell’1-2 per cento al massimo». Che cosa pensa delle affermazioni del professor Umberto Veronesi, secon­do cui l’amore omosessuale «è più pu­ro » di quello eterosessuale, «perché non ha secondi fini, è fine a se stesso, quindi è più autentico, più vero»? «Penso che non sappia neppure di che co­sa parla. Io li ho vissuti, i rapporti gay. Ora Veronesi mi dovrebbe spiegare che cosa c’è di puro nel Leather club Milano,spon­sorizzato dall’Arcigay, dove si pratica ses­so sadomasochistico, o nelle dark room dove s’intrattengono rapporti carnali col primo che capita, con l’aiuto di film por­no, lubrificanti e falli di gomma.Il tutto re­gi­strato come attività culturale e con la tes­sera dell’Arcigay, che vale quale lasciapas­sare obbligatorio. O vogliamo parlare del­­la discoteca Il diavolo dentro, che si defini­sce “il più grande sex club di Roma”? An­che lì entrano solo i tesserati Arcigay. Il se­condo e terzo venerdì del mese vi si cele­bra l’orgia party. Non manca il glory hole , che è un buco praticato nel muro nel qua­le si inserisce il pene, consentendo allo sconosciuto che sta dall’altra parte di pra­ticare una masturbazione o il sesso orale senza che i due partner entrino in contat­to. È questo l’amore “più puro”?Le assicu­ro che non esiste un solo locale per gay do­ve non si favoriscano incontri al buio o non si faciliti la prostituzione. Veronesi do­vrebbe chiedersi semmai perché lo Stato tolleri tutto ciò. Parlo per esperienza diret­ta: se le forze dell’ordine facessero irruzio­ne in questi locali con le lampade di Wo­od, troverebbero ovunque tracce di sper­ma. Un mercato della carne ma­sch­erato dietro se­dicenti associazio­ni culturali non profit e organizza­zioni onlus. Che cosa trattiene le istituzioni dall’in­tervenire? La pau­ra d’essere consi­derate omofobe? Il titolo IX del codi­ce penale, quello dei delitti contro la moralità pubbli­ca e il buon costu­me, non vale per i circoli gay?». Veronesi sostie­ne che «la spe­cie umana si va evolvendo ver­so un “modello unico”» e «che, tra fecondazio­ne artificiale e donazione,l’a­c­coppiamento sessuale non è più l’unica via per procreare, finirà col priva­re del tutto l’at­to sessuale del suo fine riproduttivo». «Quando la scienza non si accompagna alla coscienza, si arriva al delirio di onni­potenza. Il professor Veronesi sta offen­dendo la natura, oltreché milioni di etero­sessuali e di genitori. Si limiti a fare l’onco­logo, va’, che è meglio per tutti». Anche all’Onu,nell’Unione europea e in vari Parlamenti nazionali sta pas­sando l’ideologia del gender . «Vogliono equiparare il modo di vita omo­­sessuale, bisessuale e transessuale a quel­lo fra uomo e donna. In Spagna, da quan­d­o il premier José Luis Zapatero ha legaliz­zato le nozze fra persone dello stesso ses­so, nei certificati di nascita si legge “proge­nitore A” e “progenitore B”. Nel Massa­chusetts sui certificati di matrimonio, an­ziché “ marito” e “moglie”, scrivono “par­te A” e “parte B”. Siamo al social engeene­ring , alla creazione per legge di un indivi­duo nuovo, sessualmente variabile. Al Gruppo Lot arrivano genitori di ragazze diciottenni che vogliono farsi asportare i seni a spese del Servizio sanitario naziona­le; glieli tagliano in due minuti, altro che Hitler, e mamma e papà non possono far­ci nulla perché le figlie sono maggiorenni. Ma i geni non si cancellano. Ho conosciu­t­o transessuali dissociati, come Perry, per­ché conservano la memoria genetica del pene asportato. Non sanno più chi sono». Ma se l’omosessualità si rintraccia per­sino fra gli insetti, gli uccelli e i mam­miferi, come si può spiegarla con fatto­ri ambientali o comportamentali? «Non esiste alcuna prova scientifica che un individuo nasca omosessuale. Inoltre penso che le persone possano considerar­si un gradino più su delle pecore, o no? Gli animali seguono l’istinto,gli uomini la ra­gione. Le femmine dei criceti al primo par­to spesso divorano i propri piccoli. Do­vremmo tollerarlo anche nelle puerpere? Qualora l’omosessualità non fosse altro che un prodotto della natura, basterebbe a renderla desiderabile? La terapia affer­mativa gay propugna che la fonte del disa­gio risieda nella società che odia gli omo­sessuali. Così non è e io posso testimoniar­lo. Il disagio lacerante era dentro di me, non fuori di me. Ero un gay convintissimo, effeminato,e oggi sono un’altra persona». Resta il fatto che l’omosessualità è pre­sente in n­atura anche fra esseri viven­ti che non manifestano alcun disagio, come gli orangutan e i delfini. «La natura dà luogo a innumerevoli con­dizioni indotte biologicamente, dai di­sturbi ossessivo-compulsivi al diabete, ma nessuno li considera normali solo per il fatto che si producono in modo natura­le. Se due omoses­suali desiderano stare insieme, lo facciano. Ma per­ché una ristretta minoranza pre­ten­de di stravolge­re i valori maschi­li e femminili e di snaturare la fami­glia, che è l’archi­trave di qualsiasi consorzio uma­no? ». Che cosa pensa dei registri co­munali per le coppie di fatto? «Che ci sono i regi­stri però manca­no le coppie. A Pa­dova, prima città d’Italia nel 2006 a riconoscerle su proposta dell’allo­ra consigliere ds Alessandro Zan, presidente del­l’Arcigay veneto, fino a oggi vi sono state 50 iscrizioni, ma solo una deci­na di coppie gay. Due all’anno». Di quanti degli omosessuali che ha co­nosciuto direbbe che erano felici? (Ci pensa). «Felici... Forse uno solo. Ma se il piacere fisico è la felicità, tanti. Per me la felicità è la gioia piena, non l’orgasmo». Ha mai la paura o il sospetto di torna­re a essere o di essere ancora gay? «Sempre. È la spina nella carne. Però qui in spiaggia a Pescara mi guardo attorno e sento il Signore che mi dice: “Vai, vai, che sei guarito”».