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 2011  luglio 24 Domenica calendario

Lepore, il procuratore che si sente il nuovo Borrelli - Non parla ex cathedra come l’allora procu­ratore di Milano Francesco Saverio Borrelli, ma è sulla buona strada

Lepore, il procuratore che si sente il nuovo Borrelli - Non parla ex cathedra come l’allora procu­ratore di Milano Francesco Saverio Borrelli, ma è sulla buona strada. Giovandomenico Le­pore comincia a prendere confidenza con la notorietà e a dispensare frasi che a lui parr­an­no normali ma normali non sono. «Alla fine ­spiega alla Stampa con una certa nonchalan­ce - ha prevalso la ragione». Alfonso Papa è a Poggioreale, primo deputato a finire in cella per un reato da Mani pulite. Ha prevalso la ra­gione, ci informa il magistrato con un certo pi­glio. E si capisce che quelle parole pescano in profondità, in quella tradizione, chiamiamo­la così, che risale al 1992 e dintorni. Altri tempi, ma con somiglianze impressio­nanti. Allora Borrelli era il sacerdote supremo che sull’altare della legalità più adamantina era pronto a sacrificare tutto e tutti. Allora le manette erano senza soluzione di continuità e la Prima repubblica si disfaceva come un ca­stello di sabbia fra la bava alla bocca di Forla­ni, le confessioni fluviali degli imprenditori e i balbettii della politica. Ci volle qualche mese di rodaggio, non di più, poi davanti al crollo ge­nerale, Borrelli afferrò il metronomo della vi­ta italiana e cominciò a scandire, lui che era al­la guida del Pool, vite e destini,quasi fosse l’au­tore di un grande romanzo russo dell’Otto­cento E invece no: Borrelli diventò l’arbitro, meglio il termometro di ciò che era giusto o sbagliato. Dopo gli avvisi di garanzia, ormai inadeguati, si passò ai preavvisi di garanzia. Un preavviso e il terreno si apriva come il mar Rosso davanti al malcapitato, un preavviso e la Borsa cadeva in picchiata come gli aerei giapponesi nella Seconda guerra mondiale, un preavviso e i giornali entravano in fibrilla­zione. Nel 1993,in un’Italia in macerie e diso­­rientata, Borrellli si ritrovò ad essere non solo il capo di una procura potentissima, come in effetti era, ma il custode dell’etica, in qualche modo il garante della tenuta del Paese insie­me al suo amico Oscar Luigi Scalfaro. Il 20 di­cembre ’ 93 Borrelli tuonò: «Se hanno schele­t­ri negli armadi li tolgano prima che li scopria­mo noi ». A quella data Berlusconi si prepara­va alla discesa in campo e a fermare la «gioio­sa macchina da guerra » voluta dai Progressi­sti di Achille Occhetto. Insomma, si dava il via alla grande caccia, come fa il gatto col topo, che ancora oggi prosegue estenuante fra pro­cessi, nuovi scandali e continue scintille. Ma soprattutto con quell’affermazione e con tante altre dei Di Pietro, dei Davigo, dei Colombo e dei D’Ambrosio la magistratura saliva sul gradino più alto e da lì legittimava o delegittimava chiunque provasse a muoversi nello spazio pubblico nazionale. Lepore si sin­tonizza, diciotto anni dopo, sulla stessa lun­ghezza d’onda. Non si limita a fare la sua parte nell’inevitabile gioco dei ruoli, non si accon­tenta di chiedere l’arresto di un deputato, ma ottenuto un clamoroso e insperato sì, imme­diatamente passa a pontificare. E alla Stampa racconta l’altalena della emozioni e delle sen­sa­zioni vissute alla vigilia del voto di Monteci­torio. Quasi un diario di bordo che ci offre una visione in qualche modo caricaturale del par­lamento. «All’inizio ci ho creduto», s’intende al sì all’arresto, «per il fatto che il nuovo leader del Pdl, Angelino Alfano, avesse lanciato lo slogan del partito degli onesti. Poi mi sono in­cupito quando a Montecitorio l’opposizione ha denunciato che era in atto un mercanteg­giamento fra decreto rifiuti e arresto Papa. Ma alla fine ha prevalso la ragione e credo che quel voto aiuti a rasserenare il clima di con­trapposizione fra politica e giustizia». Il procuratore non fa solo il suo, che già è molto e di questi tempi è quasi tutto quello che accade in Italia,ma va oltre:si schiera,par­teggia, alterna momenti di esaltazione ad al­tri di amarezza, in certo modo scruta il Palaz­zo con l’occhio scettico se non cinico del po­polo pronto ad impugnare il forcone contro gli eccessi intollerabili della casta. In fondo, il diario di Lepore è la versione ag­giornata, forse più sofferta e crepuscolare, del borreliano «resistere, resistere, resistere». E quei giudizi temerari, che tagliano l’emciclo in due, echeggiano, anche se con toni più ri­spettosi e meno irridenti, le invettive e i sarca­smi borrelliani sul «tenore alcolico» del guar­dasigilli Alfredo Biondi o su un altro ministro della giustizia, Roberto Castelli, liquidato con due parole condite col disprezzo: «Ingegnere acustico». Certo, Lepore, come Borrelli, deve difen­dersi dalle mille manovre di chi vorrebbe una magistratura di piccola taglia, come un cane da salotto. Che abbaia ma non va oltre la pol­trona. Benissimo. Lepore stia in guardia e pro­ceda con le sue delicatissime inchieste. Ma i commenti dopo la «resa» del Parlamento, as­saporata come una vittoria, fanno riflettere. E echeggiano quella breve stagione giacobina, il triennio 92-94,carica di attese.Che non si so­no realizzate.