Dario Fertilio, Corriere della Sera 24/07/2011, 24 luglio 2011
L’ANNO MILLE SI E’ FERMATO NEL CASTELLO DI RECANATI
Tutto, come in ogni storia mitica che si rispetti, incomincia da un sogno. A essere precisi, da una serie di segni e di sogni. Siamo all’ ottobre del 2004, su un autobus che percorre l’ autostrada adriatica in direzione di Torino, dove sta per aprirsi il Salone del Gusto. Al fianco di Silvano Strologo, proprietario di un’ azienda vinicola marchigiana molto conosciuta, siede suo cognato Enrico Ragni, in arte Màlleus, personaggio eclettico di sapore leonardesco: chimico e amanuense, musicista e pilota d’ aerei, inventore e alchimista, imprenditore e seguace dello spiritualismo olistico che in altri tempi sarebbe stato sospetto di stregoneria. Al casello di Rimini Sud, Màlleus cade in preda a uno strano dormiveglia, dove immagina di volare su un castello medievale, con pareti di cristallo, completo di sotterranei, terrazzi, ruderi di antiche fondamenta, grande salone al piano superiore... una visione lucida e intensa che, risvegliatosi dopo pochi minuti, s’ affretta ad annotare.
Ed eccolo oggi, sette anni più tardi, il castello sorgere come una visione dalla campagna di Recanati: trasferito qui per filo e per segno, anzi importato mattone su mattone da una piccola fornace del Belgio in modo da riprodurre gli stessi cromatismi dei palazzi storici del luogo, orientato a 21 gradi est per ottenere la quantità giusta di luce in ogni momento della giornata e mese dell’ anno, secondo un modello armonico ispirato all’ antica geometria sacra, in cui confluiscono ispirazione dell’ antico Egitto, tradizione vitruviana, regole della cattedrale di Santa Sofia a Costantinopoli. Con, in più, colpi di genio ingegneristico, come il primo arco di pietra in stile gotico che riesce a seguire la curvatura del corpo centrale del castello (storicamente invece erano sempre progettati per angoli piatti) o la prima grondaia di rame curva.
Sette anni d’ investimenti, fatiche e invenzioni non fini a se stessi: al di là di quadri, armature e interminabili corridoi, il cuore della costruzione è lo scriptorium , il luogo dove Màlleus, amanuense capo un po’ stregonesco, dirige il lavoro di una dozzina di copisti intenti a incidere, miniare, riprodurre e inventare secondo i caratteri originali usati in ogni periodo storico compreso tra il 400 avanti Cristo e il 1600: celtici, romanici, gotici, umanistici, cancellereschi, corsivi inglesi o altri che possano zampillare dalla mente fervida e ambiziosa dei committenti.
Uno schiaffo, beninteso, e assolutamente voluto, all’ epoca dei computer, della virtualità e riproducibilità tecnica: là dove il mondo parla la lingua dei tablet e dei fotoshop, Màlleus e seguaci rispondono con la penna d’ oca e i rivestimenti in oro zecchino, in spregio al tempo e alla fatica che costano, e in omaggio a un’ idea decisamente rinascimentale di bellezza. Possono essere codici o pergamene, biglietti augurali o attestati d’ onore, partecipazioni o conferimenti solenni di laurea: è probabile che ognuno di noi ne abbia incontrato almeno uno in vita sua, di questi gioielli, dato che lo scriptorium è il più grande d’ Europa e fra i principali del mondo, e se ne servono anche i potenti della Terra, dai Papi (l’ ultimo, Wojtyla) ai presidenti (Scalfaro e Ciampi) all’ imperatore del Giappone. Senza dimenticare che è anche l’ unico autorizzato a certificare la carta pergamenata delle principali cartiere italiane. Prezzi compresi fra i 120 e mille euro, con punte fino a 5mila per i pezzi più pregiati. Ma anche, nel caso di una più modesta partecipazione nuziale, appena 10 euro.
Il castello non è nato dal niente: si può considerare la materializzazione dei sogni del suo inventore. Anzi, non solo di quelli di Màlleus, cinquantasettenne energico e vitale che accoglie amici e clienti nella sua bottega, ma in certo modo anche di coloro che lo hanno preceduto. Dal Màlleus delle antiche leggende celtiche cui Enrico Ragni si è ispirato per il nome d’ arte: misterioso personaggio citato fra i segreti di Stonehenge, che appare e scompare lasciando ogni volta una traccia di sé; a Paolo Diacono, che nel 550 attestò d’ aver visto precipitare qui una lingua di fuoco da cui scaturì un cratere, dove in seguito venne costruito un castello poi demolito per ordine della regina Teodolinda (pare perché, forse a causa della contaminazione astrale, le mura biancheggiavano la notte di uno strano chiarore). Sino a Fra Alboino da Chiaravalle, anch’ egli caduto in preda a un sogno visionario nel 1405 mentre pernottava da queste parti, risvegliandosene libero da un fastidioso male alla schiena, per cui s’ affrettò a disegnare la mappa sommaria del posto.
Luogo abitato da presenze benigne, insomma, la futura sede dello scriptorium di Màlleus, anche se è giusto ricollegarlo alla vita avventurosa, nonché pratica e molto terrena, del suo scopritore. Ma per l’ ennesima volta c’ è di mezzo un sogno, avvenuto sei anni prima di quello sull’ autostrada. Nel 1988 Màlleus si era ritirato in meditazione nell’ eremo di Albacina, scosso dalla perdita di un fratello e da un rovescio economico. Di colpo, la visione premonitrice: Màlleus scorge se stesso di spalle, mentre apre il terzo cassetto di una scrivania e ne estrae la cartella con il progetto dello scriptorium . «Una pazzia - ammette lui stesso oggi - perché lo stesso anno era stata inventata la stampante a colori, il mondo andava apparentemente in tutt’ altra direzione... eppure la mia decisione di fare l’ amanuense era presa».
E così fu: ennesima giravolta di una vita inquieta, da bambino poverissimo che smontava e riparava i giocattoli della Befana scartati dai coetanei, a perito chimico, a compositore di spot fortunati per la tv, a proprietario del primo studio di registrazione musicale nelle Marche, a inventore di gadget come la spilla elettronica luminosa che spopolò per anni in tutte le discoteche d’ Italia.
Ma era destino che il punto d’ approdo di Màlleus fosse un altro: amanuense del terzo millennio, appunto, oltre che castellano. Così, dopo aver appreso i segreti dell’ arte dai più grandi maestri (nomi mitici per chi se ne intende, come l’ americano Thomas Ingmire o Donald Jackson di Buckingham Palace), eccolo a misurarsi con miniature, decorazioni, scritture, tecniche dell’ oro a rilievo e produzioni d’ inchiostri, terre e coloranti, quindi padrone di laboratori alchemici, di falegnameria e incisione su pietra. Formule, al solo riassumerle, da far girare la testa: per l’ oro zecchino a rilievo, ad esempio, la scuola a guazzo richiede gesso biidratato di Spagna, colla di pelle di coniglio, zucchero di canna, miele, fino a ottenere un impasto della consistenza di uno yogurt, da ammorbidire con acqua distillata e distribuire con la penna d’ oca. Dopo una giornata d’ essicazione, si leviga la superficie con un bisturi e poi viene l’ operazione più difficile: appoggiare su un cuscino di cuoio un foglio d’ oro a 24 carati, farlo a pezzettini mantenendolo a una percentuale di umidità del 76 per cento, alitare con una canna su ogni parte, disporvi l’ oro e pigiare con una stoffa di seta, concludendo con la brunitura tramite una pietra d’ agata. Una volta immersi nel laboratorio alchemico ricreato sul modello di quello di prima dell’ anno mille - quando l’ inchiostro era più stabile, perché a base di nitrato ferroso - qui si rischia di venir catturati da qualcosa che somiglia a un incantesimo.
Impressione rafforzata dalla cura sacerdotale con cui le dodici amanuensi superselezionate come se dovessero lavorare per una zecca di Stato (tutte donne, per la loro provata superiorità in quest’ arte, e nelle intenzioni di Màlleus destinate a diventare quaranta) si dedicano alla missione. Senza tralasciare i racconti dello stesso Màlleus sui flussi d’ energia non solo termodinamica che emanerebbero dal sottosuolo, nonché - se vogliamo - dalla vicinanza di luoghi mistici cristiani (Loreto) e pagani (i monti Sibillini). Su tutto presiede Silvana, moglie di Màlleus e anima devota all’ incantesimo collettivo; quando di sera la sbarra che blocca il portone del castello viene azionata dall’ interno, viene naturale il paragone con un ponte levatoio che separi gli abitanti del castello dal mondo. Quasi che, dismessi gli abiti esteriori della modernità, Màlleus e la sua famiglia ritornino in segreto al loro tempo prediletto e al loro vero spazio elettivo, situato su per giù attorno all’ anno mille.
Dario Fertilio