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 2011  luglio 24 Domenica calendario

LE RELAZIONI PERICOLOSE DEI MERCATI

Monica Billio e Loriana Pelizzon, docenti del Dipartimento di scienze economiche dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, guardano i risultati e non credono ai loro occhi. Così decidono di fare ulteriori verifiche. Con loro c’è anche Andrew W. Lo, direttore del Mit Laboratory for financial engineering, e Mila Getmansky, docente di finanza presso la Isenberg School of management dell’Università del Massachusetts. Alla fine concordano tutti: il modello matematico che insieme hanno costruito per misurare il rischio sistemico dei mercati finanziari funziona. E funziona così bene che ha appena fatto due scoperte.

La prima. A differenza di quanto si tende a credere, gran parte del rischio per i mercati finanziari è generato da banche e assicurazioni, piuttosto che da broker e fondi hedge: le prime promuovono il rischio, i secondi lo seguono. L’altra scoperta riguarda l’efficienza del mercato: il modello dimostra la sua difficoltà a interpretare e smaltire informazioni. Anche in questo caso con un livello superiore a quello comunemente percepito.

Lo studio condotto tra Boston e Venezia prosegue ormai da anni ed è in costante evoluzione (all’indirizzo www.nber.org/papers/w16223.pdf si può leggere il working paper che fissa i primi risultati). L’intuizione iniziale è stata quella di partire da un dato immediatamente disponibile: i rendimenti delle prime 25 istituzioni finanziarie per capitalizzazione di quattro macro categorie (banche, assicurazioni, fondi hedge, broker). Applicando il concetto econometrico noto come casualità di Granger (dal nome del suo ideatore, Clive Granger, premio Nobel per l’economia nel 2003) i ricercatori hanno costruito una rete che mappa i legami tra queste istituzioni. Ogni connessione del network viene tracciata quando si rileva la capacità di prevedere il comportamento di una istituzione grazie al rendimento di un’altra istituzione in un periodo precedente. Inserendo nel modello i rendimenti di un dato arco temporale, questo traccia il grafico di tutte le relazioni (si vedano gli esempi riportati nell’illustrazione in alto).

Una parte importante del lavoro ha riguardato lo studio dell’addensamento delle connessioni in concomitanza con due recenti crisi finanziarie: il crack del fondo Ltcm, che nel 1998 stava per travolgere l’intero sistema finanziario americano, e la crisi del 2007-2009. «Da queste analisi – spiega Monica Billio dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, uno degli autori dello studio – emerge l’esistenza di un "sistema ombra di fondi hedge" riconducibile all’attività di banche e assicurazioni. Il nostro modello – continua Billio – mostra con evidenza che banche e assicurazioni hanno preso dei rischi tipici dei fondi hedge, e non viceversa». La conferma arriva anche dai grafici: soprattutto in concomitanza con la crisi del 2007-2009, le connessioni di banche (in azzurro) e quelle delle assicurazioni (in rosa) aumentano in modo considerevole. Si tratta di un risultato che capovolge la prospettiva, visto che la lettura più diffusa tra gli osservatori identifica la causa dei mali del mercato nel tentativo, da parte di broker e fondi hedge, di assumere rischi tipici delle banche. Pochi fino ad oggi hanno preso in esame l’ipotesi opposta.

Il passo successivo del team guidato da Andrew W. sarà quello di comprendere se l’addensamento delle connessioni può essere considerato un segnale di rischio sistemico attendibile, utile per prevedere potenziali e future crisi. «La nostra idea – spiega Billio – è quella di individuare dei parametri calcolabili facilmente e in qualsiasi momento, da utilizzare come campanelli di allarme: sia per l’intero sistema finanziario che per i singoli attori».

Il bisogno è avvertito anche dalle istituzioni. In questi mesi infatti ricercatori della Banca d’Italia stanno lavorando con docenti dell’Università di Palermo, dell’Università Politecnica delle Marche e della Scuola Normale Superiore di Pisa per realizzare un modello matematico del network delle reti di credito finalizzato a monitorare il rischio sistemico, attraverso valutazioni sulla fragilità dei diversi agenti economici; e garantire una migliore gestione del rischio. «L’idea positiva dell’ingegneria finanziaria – spiega Stefano Marmi, professore ordinario di sistemi dinamici alla Scuola Normale Superiore di Pisa – dovrebbe essere proprio questa: consentire una più efficiente collocazione del rischio, che è una componente irrinunciabile del mercato. Per ben distribuirlo e quindi ridurlo, non per negarlo e quindi non farlo crescere. E per rendere più democratica l’economia».