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 2011  luglio 24 Domenica calendario

COSÌ NACQUE IL GRANDE DITTATORE

Autunno 1938. L’illusione di una pace possibile, nonostante le incalzanti pretese espansionistiche di Hitler, si alimenta dei fragili accordi definiti alla conferenza di Monaco. I Patti di non aggressione tra le maggiori potenze vengono stipulati mentre il dittatore tedesco sta organizzando il suo prossimo balzo verso Oriente per inglobare l’intera Cecoslovacchia.

È in quei mesi che Charlie Chaplin porta a termine la prima stesura della sceneggiatura del Grande Dittatore. È allora – come egli stesso spiegò – che nasce quel film dove, per la prima volta, «la storia è più grande del piccolo vagabondo».

Dove al povero Charlot, oppresso da una società spietata e incomprensibile, non basta resistere rifugiandosi in un’inesausta e creativa vitalità o nel sogno di una diversa realtà. Si rende conto, invece, di dover entrare, appunto, in un’altra storia, ben più grande della sua privata lotta contro le traversie quotidiane, perché questa storia sta divorando le moltitudini dei piccoli uomini di cui egli si era fatto bandiera.

A questo punto Charlot sente la necessità di abbandonare la maschera abituale per descrivere ben altri clown che stavano insanguinando il mondo e, addirittura, per sostituirsi a uno di questi, dopo averlo ridicolizzato, in modo da lanciare lo straordinario messaggio con cui si conclude il film, nel segno di un’esortazione appassionata al realizzarsi di un’umanità migliore: «Voi, popolo, – scandiva, tra l’altro, il finto dittatore quasi a coprire il tuonare terrorizzante dei cannoni in azione allora su tutti i fronti di guerra – avete il potere di rendere la vita libera e bella, di fare di questa vita una meravigliosa avventura. Allora, in nome della democrazia, usiamo questo potere, uniamoci. Lottiamo per creare un mondo nuovo, un mondo ... dove la scienza e il progresso condurranno alla felicità universale». Charlot si inserisce, così, nella tragedia in corso usando la caricatura del potere più odioso, per obbligarlo a esprimersi con le parole pure dell’amore e della fratellanza. L’omino schiacciato dai cinici meccanismi della società si fa voce del popolo sofferente che, in quell’ottobre 1940, quando uscì il film, non poté che accogliere l’evento con partecipe entusiasmo, certo di interpretarne il significato universale e per nulla caduco.

Ed è la sua Hannah, nella scena finale, a rappresentare un simile anelito collettivo, secondo le consuete stringenti e minuziose esortazioni di Chaplin, nella sua veste di regista, alla protagonista femminile Paulette Godard: «Deve essere tutto in chiave di Sincerità. Dimentica l’intonazione. Infondi un sentimento di Verità. Guarda la strada e usa la tua immaginazione. E girati. Credi a questo personaggio nella tua mente. Fammi sentire la verità di non voler essere odiata. (Riferita alla parte della sceneggiatura: "Non sarebbe meraviglioso se smettessero di odiarci"). / (Per ispirare). Non devi recitare guardando in basso. L’ispirazione viene guardando in alto. ... Devi essere onesta e sincera. Otterrai la magia e la bellezza del tutto. Raggiungi lo spirito e sarai bella (Detto per la troppa staticità dell’attrice). Alzati e tira fuori il petto».

In questa inedita trascrizione effettuata dalla segretaria di scena di alcune delle indicazioni di Chaplin, si percepisce il senso della consapevolezza di un messaggio "alto", da lanciare ben oltre le tragiche contingenze di quell’oggi dominato dai soprusi dei dittatori, verso l’eternità di un futuro nel quale l’uomo, tutti gli uomini, potessero liberamente raccogliersi in operosa e serena comunità.

Il brano riportato fa parte di un prezioso documento dattiloscritto in lingua inglese, rinvenuto fra le migliaia di carte dell’Archivio Chaplin conservate presso la Cineteca del Comune di Bologna, in corso di definitiva inventariazione resa possibile dal contributo della Fondazione Carisbo.

Dallo stesso inesauribile deposito è ora affiorato un altro inedito: la foto in grado di testimoniare che fu effettivamente girata la scena relativa a quando il futuro dittatore, in birreria coi suoi compari, si trovò stampate sul sedere le due croci (puntuale allusione alla svastica), casualmente disegnate sulla botte dov’era seduto e destinate a diventare il simbolo del partito.

Un passaggio che – come molti altri – nella sofferta, costante, perfezionistica rilettura effettuata da Chaplin del suo lavoro, fu tolto e che la relativa sceneggiatura così descriveva: «A un certo punto egli Hynkel si alza rivelando impresse sul suo posteriore due X provenienti dal barile di birra, sul quale era stato seduto».

Un’irrisione sarcastica e dissacrante che avrebbe forse dovuto servire, per Chaplin, a esorcizzare il percorso funesto verso il quale, da quella birreria austriaca, si stava incamminando il mondo.