Matteo Persivale, Corriere della Sera 25/07/2011, 25 luglio 2011
BLAKE IL MARITO, PETE E REG. GIOCAVA CON L’AMORE SAPENDO GIA’ DI PERDERE —
Se le ragazze dei pub di Camden Town, a nord di Londra, che tengono tra le mani contemporaneamente la pinta di birra e il cellulare e le sigarette credessero ancora al principe azzurro, il loro principe avrebbe la mascella squadrata e le spalle larghe e gli occhi sensibili di Reg Traviss. L’ultimo compagno della vita triste della party girl di Camden Town più famosa di tutte, Amy Winehouse, l’ultimo ma il primo presentabile ai genitori. Il regista ben educato in giacca e cravatta e capelli impomatati con il quale Amy aveva passato un 2010 relativamente sereno prima della rottura a gennaio di quest’anno — quando lui aveva rifiutato la sua proposta di matrimonio — fino al riavvicinamento nelle ultime settimane, e alla separazione finale (Traviss era tra la folla davanti a casa di Amy, l’altro giorno, senza la cravatta, con il soprabito grigio come il volto pallido, gli occhi cerchiati). Perché al di là della tristezza di quella canzone, «Rehab» , inevitabilmente citata da tutti dopo la sua morte visto il ritornello che dice «non andrò a disintossicarmi, no no no» , il cuore delle canzoni di Amy Winehouse è stato l’amore, sempre lacerato dall’infelicità. In «Back to Black» che dà il titolo al suo secondo e ultimo cd uscito nel 2006 Amy scrive: «Sei tornato alle solite cose, come se quello che abbiamo passato insieme non ci fosse mai stato /E io cammino su un sentiero pericoloso /Le probabilità sono contro di me /Tornerò nell’oscurità» . La stessa oscurità di cui parla in «Tears Dry On Their Own» , «La lacrime si asciugano da sole» , che comincia con «Tutto ciò che potrò mai essere per te è l’oscurità che conosciamo» . E in «Love Is A Losing Game» , «L’amore è un gioco al quale si è sconfitti» Amy si domanda «perché desidero di non aver mai giocato» ? Canzoni scritte sei anni fa da una ragazza diversa da quella morta sabato, presagi delle future relazioni tutte sbagliate. Prima degli inseguimenti dei paparazzi a caccia di un’umiliante foto davanti a un bar aperto fino a tardi, prima che il successo trasformasse la ragazzina paffuta di North London che sognava di essere Billie Holliday in una giovane donna ricca e scheletrica e drogata e disperata, prima dell’intervista in cui sua madre disse «le ho chiesto se preferisce essere cremata o sepolta» , prima delle ultime stazioni della via crucis che hanno portato Amy Winehouse dove si trova oggi— all’obitorio in attesa di un’autopsia che illustri esattamente quanti e quali droghe c’erano nel suo sangue al momento della morte — prima di tutto questo c’era una cosa sola: la scrittura. «La scrittura dei testi e delle canzoni— ricordava— è quello su cui ho sempre basato il senso del mio valore» . E raccontava di come dopo quel primo disco, «Frank» , che lei considerava suo «soltanto all’ 80%» si era presentato il nemico più temibile: non riusciva più a scrivere una nota o una parola. Perché il suo ragazzo, il cantante Tyler James, l’aveva lasciata. Poi, dalle ceneri di quella storia, «Back to Black» . Il successo globale che sognava e che le aveva portato i tour e la fama e anche i guai infiniti: il matrimonio a Miami con il tossico e galeotto Blake Fielder-Civil (che, disse il padre di Amy, iniziò all’eroina e al crack quella ragazza che prima si limitava a alcol e marijuana), l’amicizia tossica con Pete Doherty dei Babyshambles, ex di Kate Moss con il quale Amy girò un video amatoriale tristissimo in cui, uno più stravolto dell’altra, tenendo dei topolini nelle mani luride bofonchiano parole incomprensibili. E poi i viaggi ai Caraibi con l’aspirante attore Josh Bowman subito sparito, il divorzio nel 2009 da Blake detenuto per una rissa al pub nella quale ruppe uno zigomo al birraio, l’autolesionismo di Amy con le coltellate sulle braccia sempre più magre. Fino all’ultima possibilità con Reg, segnata dal presagio di «He Can Only Hold Her» : «Lui può soltanto tenerla tra le braccia, le luci sono accese ma non c’è nessuno a casa, lei è vuota, la sua anima è presa» , prigioniera del talento grande quanto la sua fragilità.
Matteo Persivale