Elio Trifari, La Gazzetta dello Sport 24/7/2011, 24 luglio 2011
IL RISORGIMENTO DELLO SPORT. 18 PUNTATA
FENOMENO DOPING. ANCHE L’ITALIA PAGA IL SUO PREZZO -
Nell’avvicinarci alla conclusione del nostro viaggio, esaminiamo due aspetti purtroppo peculiari dello sport moderno; italiano e non, prima di provare a immaginare l’evoluzione del movimento sportivo nel nostro Paese. Lo sport ha, tutto lo sport, tre caratteristiche fondamentali: la semplicità delle regole (il calcio è nato con 17 norme, il basket con 13), che rischia oggi artificiose sovrastrutture che lo rendono spesso difficilmente fruibile; l’universalità del linguaggio (ferme restando le differenze geografiche e socio economiche, una partita di calcio è la stessa da noi o in Angola); infine, la certezza del risultato, che è oggi la più minacciata. Se lascio uno stadio o una pedana dopo aver applaudito il vincitore, non devo essere sottoposto all’alea di ricorsi in Tribunale, di revisioni a tavolino, e soprattutto di dubbi sulla liceità dei mezzi impiegati dal vincitore: ciò, invece, accade sempre più frequentemente. E rischia di inquinare il concetto stesso di sport, la sua immediatezza, la sua capacità di attrarre ed emozionare. Esaminiamo allora un paio delle caratteristiche che alterano il risultato maturato sotto i nostri occhi: cominciamo dal fenomeno doping. La genesi Se l’origine del termine è incerta, il concetto è chiaro a tutti: il doping è l’uso di sostanze atte ad alterare artificialmente la prestazione sportiva. Il doping è vecchio quanto lo sport moderno; nel 1807 un inglese usò il laudano per tenersi sveglio durante una gara di resistenza sull’arco di 24 ore; nel 1896 si verificò il primo caso di morte per doping nel ciclismo, un inglese in Francia. E l’Italia ospitò nel 1960 ai Giochi di Roma il primo e unico caso di decesso in gara olimpica della storia, vittima il danese Jensen. In una intervista, dal tono volutamente scherzoso, rilasciata a Sergio Giubilo per la radio, nel 1952, Fausto Coppi ammise di aver preso «la bomba» , un cocktail di stimolanti a base di simpamina, affermando che «tutti lo facevano» ; otto anni dopo Gastone Nencini fu trovato dal medico del Tour mentre praticava un’autoemotrasfusione, allora lecita, nel suo albergo. Lista nera Se l’elenco rischia di diventare infinito, elevatissimo è anche il numero di sostanze definite illecite dalla Wada, l’Agenzia Mondiale Anti Doping, fondata per combattere il fenomeno solo nel 1999. La Wada a oggi registra 69 anabolizzanti, 8 classi di ormoni, 56 stimolanti, 10 diuretici (che svolgono funzione mascherante), 10 narcotici e 20 betabloccanti, per non parlare del doping del sangue, della manipolazione chimica, delle terapie geniche. Un inseguimento disperato, che ha fatto dire a molti «la battaglia è perduta, meglio liberalizzare tutto» . Intanto la battaglia continua, con il passaporto biologico e nuovi metodi di indagine. Salvo doping Da noi, mentre Pellegrini e compagni scrutano con sospetto la carne cinese ai Mondiali di nuoto, che potrebbe contenere clenbuterolo, è di due settimane fa la richiesta di rinvio a giudizio di due ds di una squadra di ciclismo under 23 a Padova, che distribuivano ormone della crescita, gonadotropina ed eritropoietina, e preparavano una borraccia di stimolanti. Sempre più difficile contare sulla certezza del risultato: negli anni ’80 Giampaolo Ormezzano propose di aggiungere agli articoli celebrativi dei campioni la sigla «s. d.» , salvo doping. Ma spesso ce ne dimentichiamo.